Gemma n° 1807

“Ho portato The dark side of the moon perché l’anno scorso, durante i periodi di chiusura completa, di zona rossa, stavo molto male perchè non potevo fare niente di quello che mi appassionava. Mi sono allora rifugiato nella musica e ogni sera ascoltavo questo cd che mi consentiva di dimenticarmi di tutti i miei problemi”.

La gemma musicale appartiene a N. (classe prima). Provo sempre una strana sensazione quando qualche studente o studentessa propone un brano che ha fatto parte della mia esistenza e in particolare della mia adolescenza, qualcosa che ho ascoltato anche io alla loro stessa età; in questo caso avevo la musicassetta riversata dall’LP originale. E quel nastro è andato e andato tantissime volte. The dark side of the moon su un lato e Meddle dall’altro. I Pink Floyd sono stati colonna sonora di tante vicissitudini. E mentre N. parlava e raccontava del periodo difficile passato non ho potuto fare a meno di andare alla frase che chiude quell’album, le ultime parole di Eclipse: “And everything under the sun is in tune but the sun is eclipsed by the moon”, “E tutto sotto il sole è in armonia ma il sole è eclissato dalla luna”. Quanta rispondenza troviamo nella musica! Mi piace anche pensare che per quanto a lungo possa durare un’eclissi non sarà mai in grado di fare completamente buio sulla terra.

Gemme n° 320

La mia scelta è dovuta sia al fatto che mi piace il brano, sia al testo che tratta delle difficoltà e di come superarle. Mi ha fatto pensare a mia cugina che tre anni fa ha scoperto di avere la leucemia. E’ stata fortissima, si è impegnata in tutto. E’ guarita grazie al dono di midollo di suo fratello. Mi hanno colpito molto lei e la sua forza”. In questo modo C. (classe terza) ha presentato la sua gemma.
Una canzone che adoro per restare in ambito musicale. Spazio ai Pink Floyd:

Colonne sonore rosa

Ho pubblicato poco fa una serie di articoli che parlavano di situazioni conflittuali, di guerra e guerriglia. Quando lavoro ho quasi sempre musica ad accompagnarmi e a volte capitano delle coincidenze. Mentre pubblicavo il post precedente la colonna sonora era “The postwar dream” dei miei amati Pink Floyd con le incalzanti domande a Margaret Thatcher, primo ministro inglese che aveva voluto la guerra delle Falkland.

Dimmi la verità, dimmi perché Gesù fu crocifisso.
E per questo che papà è morto? Era per te? Ero io?
Ho guardato troppa televisione?
C’è un ombra di accusa nei tuoi occhi?
Se non era per i Giapponesi, così bravi a fare navi,
i cantieri navali di Glasgow sarebbero ancora aperti.
E non deve essere un gran divertimento per loro
sotto il sol levante, con i loro ragazzi che si suicidano.
Che cosa abbiamo fatto, Maggie? Che cosa abbiamo fatto?
Che cosa abbiamo fatto all’Inghilterra?
Dobbiamo urlare? Dobbiamo gridare?
“Che cosa è successo al sogno del dopoguerra?”
Oh Maggie, Maggie, che cosa abbiamo fatto?

On the turning away

C’è un testo che viene spesso citato per commentare episodi di indifferenza, disimpegno o menefreghismo, un testo la cui origine è piuttosto oscura: qualcuno lo attribuisce al pastore luterano Martin Niemöller e qualcuno a Bertolt Brecht. “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.”. Sembra che Niemöller abbia pronunciato queste parole contro la passività degli intellettuali tedeschi nei confronti dell’ascesa nazista. Le sue parole mi sono tornate alla mente domenica sera, mentre ascoltavo per l’ennesima volta uno dei brani dei Pink Floyd che, da sempre, preferisco: “On the turning away”. Si viene invitati a non volgere lo sguardo altrove rispetto ai “pallidi e oppressi”, rispetto a parole pronunciate e difficili da capire per noi. Si viene invitati a non rassegnarsi ai dolori degli altri: “Non accettare che i fatti siano solo sofferenze altrui i ti scoprirai unito a chi si volge altrove”. Ci si rammarica del fatto che la luce della speranza si affievolisca e diventi ombra: l’egoismo porta a indurire il cuore, l’orgoglio porta alla solitudine (“È un peccato che a suo modo la luce trapassi in ombra e proietti il suo velo su tutto quanto sappiamo. Inconsapevoli del crescere dei ranghi, guidati da un cuore di pietra, potremmo scoprirci ben soli in un sogno d’orgoglio”). E’ con l’avvicinarsi di una nuova luce, di una nuova alba, di un nuovo giorno, di una nuova possibilità, che può rinascere la speranza di un cambiamento (“Sulle ali della notte, mentre si risveglia il giorno, mentre il popolo taciturno unito in accordo silenzioso con parole che scoprirete strane e ipnotiche come la luce della fiamma, percepisce il soffio del mutamento sulle ali della notte”). Basta distogliere lo sguardo da chi non ha forze ed è sfinito, dal freddo interiore: guardare in faccia la realtà e darsi da fare (“Non più volgersi altrove da chi è debole e esausto, non più volgersi altrove dal gelo interiore. Un solo mondo da condividere, non basta stare a guardare. È solo un sogno che si possa non più volgersi altrove?”). E’ uno dei testi dei Pink Floyd più chiari ed espliciti.


On the turning away
From the pale and downtrodden
And the words they say
Which we won’t understand
“Don’t accept that what’s happening
Is just a case of others suffering
Or you’ll find that you’re joining in
The turning away”

It’s sin that somehow
Light is changing to shadow
And casting its shroud
Over all we have known
Unaware how the ranks have grown
Driven on by a heart of stone
We could find that we’re all alone
In the dream of the proud

On the wings of the night
As the daytime is stirring
Where the speechless unite
In a silent accord
Using words you will find are strange
Arid mesmerised as they light the flame
Feel the new wind of change
On the wings of the night

No more turning away
From the weak and the weary
No more turning away
From the coldness inside
Just a world that we all must share
It’s not enough just to stand and stare
Is it only a dream that there’ll be
No more turning away?
(Ho utilizzato la traduzione disponibile qui)

Scia di vapore nell’aria vuota

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Uno scatto del cielo di Buttrio di qualche settimana fa, mio.

Una canzone di qualche anno fa (1987), decisamente non mia 🙂

“Un’anima in tensione che sta imparando a volare, legata alla terra dal proprio stato di natura ma determinata nel tentare. Non riesco a distogliere lo sguardo dai cieli che girano in tondo, muto per la paura e agitato, solo uno spiazzato essere terreno, io. Al di sopra del mondo su un’ala e una preghiera, il mio sporco alone, scia di vapore nell’aria vuota. Sopra le nuvole vedo la mia ombra volare con la coda del mio occhio bagnato di pianto. Un sogno non minacciato dalla luce del giorno potrebbe soffiare quest’anima attraverso il tetto della notte. Non c’è sensazione che si possa confrontare con questa animazione sospesa, uno stato d’estasi” (Learning to fly, Pink Floyd).

Quanto brilla ancora quel diamante pazzo…

Oggi in prima, mentre mi presentavo: “Amo la musica, praticamente tutta, dal metal al jazz, dai cantautori italiani ai Pink Floyd”. E ora, navigando trovo queste parole di Walter Muto, a commento e introduzione di un capolavoro…

“Sarà stato il 1978. Forse ‘79. La maggior parte dei gruppi che suonavano nelle cantine suonavano rock. Da una sala prove ricavata sotto la casa parrocchiale provengono delle note lunghe di un sintetizzatore. Sta facendo buio, le ombre della sera si stagliano, un po’ come nei primi fotogrammi del video che state per vedere. Gli accordi lunghi di archi analogici (per forza, il digitale non esisteva ancora, almeno per noi) facevano l’effetto di musica che proveniva da un altro mondo. In quei tardi anni Settanta non si era ancora spento il fascino per un mondo futuribile, il 2000 sembrava (forse era) lontano e il nostro presente cinematografico era popolato di incontri ravvicinati di vario tipo. Il mio incontro ravvicinato era stato invece con una musica di cui dovevo assolutamente scoprire la provenienza. Avrei voluto avere Google e Shazam, e invece ho dovuto aspettare che qualcuno uscisse dalla saletta per chiedergli che brano stavano suonando (efficacia insuperabile dei rapporti personali). Erano i Pink Floyd e in particolare Shine on You Crazy Diamond, struggente ballata scritta e pubblicata cinque anni prima e dedicata al vecchio amico e co-fondatore della band, Syd Barrett.

Giocoforza, in breve ho dovuto procurarmi la canzone. Il primo ascolto, in cuffia, è stata come una rivelazione: suoni incredibilmente avvolgenti, fermi, statici, ma affascinanti. Per due minuti sostanzialmente non avviene niente. Un lungo, incredibile accordo di Sol minore. Poi sulle tastiere entra la chitarra elettrica (allora non lo sapevo, una Fender Stratocaster) e si muove su un fraseggio vagamente blues, ma il suono è pulito, effettato; il bending, la maniera di tirare le corde tipica del blues, misurato. E a un certo punto l’armonia si smuove, finalmente, come un cubo di due tonnellate che ruota da una faccia all’altra. Stiamo arrivando ai 4 minuti: normalmente a questo punto una canzone potrebbe anche essere finita: qui non è ancora cominciata.

Poi “quel” suono. Quella sequenza di quattro note (musicisti: per quattro minuti siamo stati in un ambito di Sol minore – Do minore e Re minore. Dal nulla, la frase: SI bemolle-Fa-Sol-Mi naturale – non bemolle come fino a quel momento). Potenza dell’idea musicale: quattro note, il suono giusto, e sembra che il mondo si sia ribaltato sottosopra. Ma non si può andare avanti a parlare senza ascoltare. Cominciate a gustarvi questa versione live del 1990.

Non voglio aggiungere molto di più. Ma stiamo parlando di un Guitar Hero, oppure no? Senz’altro siamo di fronte a un grande dello strumento, non particolarmente veloce, non particolarmente tecnico, forse particolarmente baciato dalla fortuna (alcuni pensano questo dei Pink Floyd, altri, molti per la verità, manifestano un culto che rasenta l’idolatria). In ogni caso, siamo davanti a un grande musicista, che ha scritto pagine memorabili nella storia del rock. Un musicista, David Gilmour, che ha saputo trovare una sua strada, legata a un uso originale delle sei corde, con pagine consistenti anche all’acustica e non solo all’elettrica, e che ha dato alla musica rock un tocco personalissimo e imitato da pochi. Tornando a Shine on you, l’assolo mette in mostra un fraseggio lineare e non affrettato, una bella pronuncia e una buona conoscenza del vocabolario blues. Se avete tempo, non mancate di ascoltare (magari in cuffia e chiudendo gli occhi) anche la versione originale di questa canzone-rivelazione.

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