Scuola: chatGPT è più veloce di qualsiasi riforma

Immagine creata con ChatGPT®

Pubblico un articolo di Nadir Manna pubblicato l’altroieri su Il Post per parlare di uno dei cambiamenti più evidenti che ha investito e sta investendo il mondo della scuola: i chatbot.“Per gli studenti delle scuole superiori italiane il 2024 è stato l’anno in cui i programmi di intelligenza artificiale (AI) hanno cambiato, forse per sempre, il modo di studiare e di fare i compiti a casa. Non è stato deciso da nessuno: gli alunni hanno imparato a usare ChatGPT per conto loro, in certi casi prima degli insegnanti, molto spesso a loro insaputa, e nel giro di un anno è diventato difficile trovare delle classi in cui non venga utilizzato almeno da qualcuno.
Tra i vari software e chatbot disponibili basati sull’AI, ChatGPT è quello di gran lunga più usato, in generale nel mondo e in particolare dagli studenti. In molte materie può svolgere una funzione di consulente, grazie alla sua capacità di scrivere testi, risolvere esercizi e fornire spiegazioni in base alle istruzioni che riceve, e la conseguenza più immediata è stata che i compiti a casa sono diventati meno adatti a valutare o monitorare lo studio e l’apprendimento. Nel frattempo i docenti stanno provando ad adattare e aggiornare i loro metodi didattici, ma l’impatto delle AI varia a seconda della materia d’insegnamento, e non tutti la pensano allo stesso modo su come integrarle nelle lezioni né su quanta libertà lasciare agli studenti nel loro utilizzo.
In base alle testimonianze degli studenti con cui ha parlato il Post, ChatGPT viene usato soprattutto per scrivere i temi e per fare le versioni di greco e latino. Ma anche per farsi spiegare concetti difficili, per ripassare e per fare i riassunti. I vantaggi sono notevoli: nel caso delle versioni, ad esempio, oltre a fare le traduzioni (che si trovano facilmente anche online) ChatGPT spiega i passaggi e aiuta a capire la costruzione del periodo e l’analisi logica.
All’inizio del 2024 gli alunni hanno iniziato a utilizzare ChatGPT prima che gli insegnanti avessero il tempo di conoscerlo e prenderci confidenza. «Nessuno è mai stato scoperto», dice uno studente di quinta di un liceo scientifico di Roma parlando dell’esperienza nella sua classe. Per lui e per molti suoi compagni il chatbot ha cambiato drasticamente il metodo di approccio allo studio di alcune materie: «Quando devi fare un compito a casa la prima cosa che ti passa per la testa è di chiedere a Chat, poi sicuramente lo rielabori e ci aggiungi qualcosa di tuo, ma comunque Chat è la prima cosa a cui pensi».
Anche dai suoi compagni ChatGPT viene usato regolarmente, e per farci un sacco di cose diverse: «è molto utile, può essere usato per studiare prima di una verifica, per ripetere, per sistemare gli appunti; puoi fare una foto al paragrafo di un libro e Chat te lo riassume», dice lo studente.

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Non è un caso isolato. Molti altri studenti delle scuole superiori raccontano che ormai quasi tutti i loro compagni di classe usano ChatGPT, sia per i compiti a casa che per copiare di nascosto durante le verifiche in classe (nel caso in cui i cellulari non vengano ritirati dall’insegnante, cosa che in realtà accade molto spesso). Il chatbot permette di generare risposte e spiegazioni a domande molto specifiche e spesso si rivela più versatile e molto più efficace dei motori di ricerca, specie per le materie umanistiche come storia, filosofia, italiano e latino. «Alcuni compagni di classe usano ChatGPT per farsi fare qualsiasi compito, anche quando le prove non sono valutate», racconta lo studente di Roma.
Usare le AI per studiare però non vuol dire necessariamente imbrogliare e cercare scorciatoie per studiare di meno. Una studente di un liceo delle scienze umane di Milano ha raccontato per esempio di usare spesso la modalità di interazione vocale di ChatGPT per fare conversazione in inglese e per preparare le interrogazioni. «Per qualcuno è uno strumento di supporto allo studio, utile per imparare; qualcun altro lo usa per fargli fare i compiti e per compensare il fatto che non studia», dice la studente di Milano.
Lo stesso discorso non vale per le materie scientifiche come chimica, matematica e fisica, in cui ChatGPT dà spesso delle risposte sbagliate: anche se può sembrare controintuitivo, modelli come ChatGPT infatti non fanno bene i calcoli, perché non ragionano in modo logico e matematico, ma generano le loro risposte secondo dei criteri probabilistici. In questi casi, per gli esercizi algebrici alcuni studenti si affidano ad altri software (alcuni in realtà disponibili già da tempo), come ad esempio Photomath: un’app che fa automaticamente gli esercizi di matematica a partire dalla foto di una funzione scritta sul quaderno o sulla lavagna.
In questo contesto, il modo in cui gli insegnanti assegnano e valutano i compiti a casa è inevitabilmente cambiato. Da quando si sono accorti che gli studenti usano ChatGPT, molti professori hanno deciso di smettere di valutare i compiti o di controllare se vengono fatti. Degli insegnanti raccontano di essersi accorti che alcuni studenti usavano il chatbot dal fatto che i loro scritti erano diventati poco originali e assai carenti dal punto di vista del pensiero critico. Una professoressa di un liceo di Milano racconta di essersene accorta quando, durante la correzione di un tema, ha trovato alcune citazioni di dialoghi dei Promessi Sposi di Manzoni completamente inventate (lo studente alla fine ha ammesso di avere utilizzato ChatGPT).
Molto, comunque, dipende dai metodi di insegnamento, di verifica e di valutazione, oltre che dal tipo di rapporto che gli insegnanti riescono a costruire con gli studenti. Alcuni professori raccontano di usare un metodo didattico che non prevede compiti a casa obbligatori: in questo caso le indicazioni di studio e gli esercizi assegnati servono soltanto per aiutare gli studenti a prepararsi per l’interrogazione, in cui ChatGPT è molto difficile se non impossibile da usare.
Non è semplice instaurare un dialogo tra alunni e docenti sull’uso delle AI, anche perché, a volte, la possibilità di prendere dei voti più alti dipende dal fatto che gli insegnanti non sappiano come funzionano queste tecnologie. I professori, infatti, stanno iniziando a prendere confidenza con lo strumento soltanto ultimamente. Secondo il racconto di una docente di filosofia di un liceo di Milano, quando in una delle sue classi ha provato a farsi raccontare di ChatGPT gli studenti sono diventati sospettosi, restii a parlare del modo in cui lo usavano.

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Quest’anno il ministero dell’Istruzione ha reso obbligatorie per gli insegnanti 20 ore di formazione annuali, e in alcune scuole sono stati fatti dei corsi sulle intelligenze artificiali, in particolare su ChatGPT e su come usarlo come strumento di supporto alla didattica. Oltre che a capire l’uso che ne fanno gli studenti, per i professori può anche essere utile imparare a usarlo a loro volta: il chatbot può essere usato per preparare i compiti in classe, ad esempio per generare quiz e domande, oppure per organizzare e preparare le lezioni. Non tutti i docenti però hanno seguito un corso sull’AI, e anche per questo motivo ogni insegnante ha una percezione diversa dell’impatto di queste tecnologie e della diffusione di ChatGPT tra gli studenti.
Inoltre, in base ai pareri e ai racconti di alcuni docenti sentiti dal Post, ogni professore ha una sua idea su quali siano i vantaggi e gli svantaggi portati da questo cambiamento e su come andrebbe gestito. Alcuni, per esempio, si preoccupano soprattutto della possibilità che gli studenti usino ChatGPT per copiare e per aggirare lo studio, e vedono la soluzione nell’uso di software antiplagio, che in teoria permettono di scoprire quando un testo è stato scritto da un’intelligenza artificiale oppure no.
Questo approccio però presenta dei limiti. Le tecnologie su cui si basano i chatbot in grado di generare testi continuano a evolvere molto rapidamente, lasciando gli strumenti antiplagio sempre un passo indietro. Con un po’ di accorgimenti è semplice aggirarli, passando lo stesso testo per diversi chatbot e programmi di rielaborazione del testo o aggiungendo delle modifiche manuali. In più, i software antiplagio stimano la probabilità che un testo sia stato scritto con un’AI, senza dare risposte certe e con il rischio di generare dei falsi positivi, cioè di segnalare come generati dalle AI testi in realtà scritti da persone.
Altri docenti pensano che il modo migliore per evitare che gli studenti copino con ChatGPT sia quello di integrarlo nella didattica, per insegnare a usarlo in modo consapevole, come uno strumento per imparare e per assistere lo studio. «Sarebbe sciocco non utilizzarlo e non tenere in conto che gli studenti, almeno a casa, lo usano in ogni caso», dice una docente di italiano e storia di un liceo di Vimercate, in provincia di Monza.
In base ai racconti dei docenti, sono stati già pensati molti modi, anche piuttosto creativi, per usare ChatGPT durante le lezioni: la professoressa che insegna filosofia in un liceo di Milano ha raccontato di aver provato a usare il chatbot in classe per simulare una conversazione con Platone, con dei buoni risultati; mentre una docente di italiano e storia che lavora in un istituto tecnico-commerciale in provincia di Bologna ha raccontato di aver istruito i suoi studenti a usarlo per fare delle parafrasi dei testi letterari e per impostare le scalette dei temi. In alcuni libri di testo sono già stati inseriti degli esercizi che danno istruzioni agli studenti per generare un testo con un’AI e successivamente commentarlo.”

Gemma n° 2700

“Ho deciso di portare questa canzone che ho scritto quando ero ancora alle medie. Nella mia vecchia scuola facevamo teatro e, essendo l’ultimo anno, dovevamo mettere in scena il nostro spettacolo per l’ultima volta. Ci tenevo molto a scrivere una canzone e dedicarla alla mia classe, un modo per rappresentarci.
All’inizio l’avevo buttata sullo scherzo e avevo detto alla mia migliore amica che, se un giorno il nostro professore (quello con cui facevamo teatro) ci avesse lasciati, avrei voluto che lei suonasse la chitarra e io cantassi. Quando ne abbiamo parlato con lui, però, la prese seriamente e ci aiutò: supportò molto la mia migliore amica con gli accordi e aiutò me a cantare a tempo.
Quando arrivò il giorno dello spettacolo, tutto accadde molto velocemente e, quando mi resi conto che era finito, sono scoppiata a piangere. Per me, tutto ciò che mi rendeva felice era ormai finito: il teatro, la scuola e i rapporti con i miei compagni. Ancora oggi vorrei tornare a quei giorni, perché ero felice.
La panchina e la chitarra sono i simboli del mio professore, che è una delle persone più importanti per me” (I. classe prima).

Davanti ai nostri occhi

pexels-photo-459971.jpegPropongo un articolo piuttosto vivace e non molto lungo scritto da Vincenzo Brancatisano su Orizzonte Scuola. Ragiono su questi temi molto spesso e frequentemente mi confronto con colleghe e colleghi; poco più di un anno fa, mentre partecipavo ad un convegno sull’adolescenza a Rimini, mi ponevo proprio la questione della preparazione pedagogica e didattica del corpo docente italiano. Mi sentirei di fare solo una puntualizzazione in merito all’accenno che viene fatto all’alternanza scuola lavoro, ma la rimando ad un futuro post.
“Leggo i titoli di centinaia di corsi di formazione per docenti. La maggior parte dei medesimi riguarda la disabilità degli studenti, i loro disturbi specifici di apprendimento (dsa), che meritano la giusta attenzione, le nuove tecnologie da usare in classe, le classi rovesciate o da rovesciare al più presto, Google drive dove infilare alla rinfusa la didattica appena offerta in classe o magari mai proposta in aula e spedita a casa come un pacco di Amazon a beneficio di genitori imbestialiti.
E invece c’è una grande emergenza che meriterebbe la giusta attenzione e che non occupa né sembra preoccupare la categoria dei formatori e degli insegnanti, almeno non nei grandi numeri. E si tratta di un’emergenza forse proprio perché non attiva la giusta attenzione dei docenti.
Questa emergenza si chiama preadolescenza e adolescenza. Quanti sono i docenti che si son dotati della giusta formazione per essere in grado di interpretare le dinamiche psicologiche, psicosociali, neurologiche, affettive dello studente che vive questa epoca ispirata al massimo nichilismo, alla mancanza diffusa di scopo, al desiderio di automutilarsi pur di attirare l’attenzione dei pari, al disastro causato dai genitori che si propongono loro come amici invece che come nomos, alla dipendenza dalle tecnologie talmente devastante che vien voglia di pensare: ma perché non si drogano con le sostanze (è un’iperbole, ovvio, tesa a sottolineare la cifra del fenomeno) invece che con gli smartphone, con le attese ansiosissime e distruttive di una risposta a un messaggino, che dev’essere brevissima (“Perché non risponde? Avrà ricevuto? Sì, c’è la doppia sbarretta blu, forse non ha capito…”) con l’esercizio fisico compulsivo nelle mille palestre sempre più affollate di giovanissimi in cerca di identità (la nuova dipendenza di cui non si parla ancora), con i giochi d’azzardo online.
Tra le tante ricadute positive (si parla invece solo dei lati negativi) dell’alternanza scuola lavoro, una ricaduta apprezzabile emerge dai tanti recenti colloqui con i genitori. Tutti mettono in evidenza il sollievo momentaneo ma intenso indotto in loro dal vedere i propri figli staccati per ore e ore e per settimane dal telefonino e dalle cuffiette, una sorta di disintossicazione involontaria che fa il paio per fortuna con quella che si ripeterà più avanti, quando i nostri ragazzi saranno assunti in aziende per svolgere mansioni che non si conciliano con lo zombismo che abbiamo tutti davanti agli occhi. Ma intanto, questi zombie li abbiamo, appunto davanti agli occhi.
Tutti o quasi tutti ipnotizzati da un nulla cosmico talmente potente che si fa fatica, nei grandi numeri, a farlo sopravanzare dall’interesse per quello che viene proposto in classe da docenti che continuano a proporsi loro come avrebbero fatto vent’anni orsono, senza capire che la connessione di massa alla rete, avvenuta solo di recente, ha cambiato l’assetto sociale, quello antropologico e quello neuronale dei giovanissimi.
Basterebbero i dati sulle crisi d’ansia, sugli attacchi di panico che richiedono ogni giorno il soccorso delle ambulanze nelle nostre scuole, gli occhi assonnati di ragazzi e ragazze che si vede da lontano che hanno trascorso la notte davanti a un mini schermo luminoso, con tutti i danni cerebrali connessi alla privazione di sonno importante a quell’età.
Eppure si continua a minimizzare la dimensione del fenomeno. Continuiamo a preoccuparci, e giustamente, di handicap, di sostegno, di alunni diversamente abili, di alunni neoarrivati e di alunni con bisogni speciali. Ma non dimentichiamoci dell’adolescenza, cari formatori e organizzatori della formazione, né degli strumenti, e ce ne sono, capaci di rendere gli insegnanti capaci di affrontarla nel modo più appropriato e proficuo”.

La stessa musica

overhead

Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che suona la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme. Siccome il piacere dell’armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica”.
(D. Pennac, Diario di scuola, 2007)
Far conoscere la stessa musica, questa è la sfida.

Spunti di scuola

noia-a-scuola.jpg w=500Qualche spunto dall’articolo di Marco Gallizioli su “Rocca” dell’1 gennaio.
“… nelle nostre classi siedono sempre più numerosi ragazzi che arrivano senza entusiasmo o che lo perdono strada facendo, allontanandosi dallo studio in modo lento ma progressivo davanti ai quali mi sento impotente. …
Trasmettere dei saperi a chi vuole apprenderli è compito fin troppo semplice, mentre trovare la modalità per incendiare di desiderio un terreno secco è forse operazione complessa, ma non credo impossibile. …
La scuola dovrebbe essere un laboratorio sociale di primo piano perché in essa comincia l’integrazione, il rapporto con le differenze, l’affinamento delle proprie capacità, il mettersi alla prova, il crescere attraverso errori ed occasioni positive, ma se finiamo con l’accatastare numeri sempre crescenti di allievi per classe, se non offriamo occasioni di crescita pensate per i ragazzi di questo tempo, se non investiamo davvero nella formazione in itinere dei docenti, gli scenari non potranno che essere grigi.”

Una speciale normalità

Una mattinata di scuola. Studenti di prima che per dire cos’è l’amore fanno ascoltare ai compagni La cura di Battiato. Studenti di quinta che parlando di bene, male, Dio, destino e caso citano Schelling. Studenti di terza che ascoltano in silenzio assoluto il monologo finale di Novecento e il brano de Il grande inquisitore di Dostoevskij. Studenti di prima che propongono ai compagni una poesia di Prévert. Studenti di quarta curiosi delle quattro nobili verità… E dalle 8.00 alle 13.00 sento di fare uno dei mestieri più belli che ci siano… E non è un’eccezione, è la speciale normalità.

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