Gemma n° 2098

“Ho scelto di portare Wonder perché il testo mi piace molto: Shawn Mendes vorrebbe sapere come sarebbe il mondo se non ci fossero dei filtri con le altre persone, se fossimo molto più sinceri con gli altri” (G. classe seconda).

Gemma n° 1934

“Considero gemma tante cose; volvevo portare dei rapporti che ho con alcune persone per me importanti oppure un luogo. Poi ho pensato a quello con cui sto giocando anche in questo momento: un elastico per i capelli. Non è un portafortuna, non è il primo che ho avuto e non sarà l’ultimo. Ricordo che alle elementari un’amica me ne aveva chiesto uno per legarsi i capelli e io glielo aveva dato senza problemi; solo che lei non me l’ha più tornato e ci sono rimasta male, perché è stato come se una parte di me se ne fosse andata via. Invece un’altra volta sono stata io a darlo ad una persona per me molto importante, ma è stata una mia decisione, una mia scelta di dare una parte di me”.

La gemma di L. (classe terza) mi ha fatto pensare alla differenza tra i piaceri fatti per dovere e fatti col cuore, tra beneficenza estorta e spontanea, tra dovere etico e naturalezza di un’etica interiorizzata, tra rapporti sinceri e costruiti… e mi son perso 😀

Gemma n° 1804

“Ho portato una clip di Maniac, una mini-serie Netflix: l’ho guardata durante la quarantena. Cercavo qualcosa che mi confondesse un po’ le idee e l’ho trovata perché c’ho messo qualche tempo a capire questa serie. Una casa farmaceutica sviluppa un farmaco sperimentale grazie anche all’aiuto di un software avanzato; il farmaco fa rivivere i traumi a dei pazienti volontari. Tra di essi vi sono i due protagonisti Annie e Owen. La scena che ho portato si svolge nella mente di Annie che è sotto l’effetto della terza pasticca, la pasticca C, che sta per “Confronto” col trauma più grande della propria vita. Sta parlando con la sorella Ellie, deceduta in un incidente stradale mentre erano in auto insieme e stavano litigando a causa di una foto che Ellie desiderava scattare per avere un ricordo della sorella prima di trasferirsi mentre Annie rifiutava perché non voleva restare sola. La mia gemma è l’ultima frase che viene detta: Sometimes people leave and we don’t know why, A volte le persone vanno via e noi non sappiamo perché. Molte volte non si accetta l’idea di perdere qualcuno e io fino a pochi anni fa non avrei accettato l’idea di allontanarmi da qualcuno o di avere un amico in meno da un giorno all’altro. Ora sto cominciando a capire che le persone importanti della vita faranno di tutto per farne parte e non saranno coloro che ti lasciano o ti ignorano alla prima litigata. Le persone che vanno per la propria strada, che non coincide con la tua o che non prevede la tua presenza, forse è meglio lasciarle andare perché è meglio salutarsi una volta per tutte che continuare a prendersi in giro.”

Questa la gemma di V. (classe quarta). Non ho potuto fare a meno di pensare a Gio Evan e alla sua Finita la festa dall’album Natura molta
“Papà mi diceva, “Per capire chi è un buon amico, organizza una festa, fai una festa bellissima, prendi buone birre e dei vini sopra i 13, prendi del buon cibo, e che la musica di sottofondo sia bella e che possa accogliere tutti. Mettila alta da poter far dire ‘Bellissimo sto pezzo! Che gruppo è?’ ma non troppo alta, lascia che i vostri dialoghi non vengano coperti dagli assoli”. “Invita amici”, mi diceva, “Invitane tanti, invita tutti gli amici che conosci e poi, finita la festa, lascia che ognuno prenda la via che preferisce. Non forzare mai nessuno a rimanere, non convincere, non prolungare mai la festa, che le feste hanno origini più antiche di noi, sanno loro quando finire. Tu saluta e augura la buonanotte a tutti e osserva, osserva bene chi di sua volontà resta ad aiutarti, chi ti aiuterà a lavare i piatti, chi ti aiuterà a rimettere a posto, a sistemare le cose. Questi saranno i tuoi buoni amici, quelli che non ti staranno accanto quando la musica e il vino gioiranno con le tue buone lune; questi sono i buoni amici, quelli che rimarranno anche quando la tua vita avrà da offrire solo briciole e disordine”. “E alla fine di tutto”, mi diceva papà “ricorda, alla fine di ogni bellissima festa, alla fine di ogni momento epico, di ogni grande successo e di ogni impresa riuscita, vedrai che accanto a te resteranno sempre pochissime persone. Ma quelle pochissime, ricordalo sempre, valgono tutto”

Gemma n° 1787

“Ho scelto di portare questo dipinto che ho concluso pochi giorni fa. L’ho voluto portare sia perché sono abbastanza soddisfatta di com’è venuto, sia per l’interpretazione personale. Guardando il cielo mi viene in mente un posto sereno, senza regole, dove puoi essere chi vuoi, soprattutto te stesso; guardando invece la città, disegnata solo con il pennello rispetto al cielo, mi viene in mente un posto dove non puoi essere te stesso perché ci sono le persone che ti giudicano”.

E’ artistica la gemma presentata da F. (classe terza). Le parole che ha detto le accompagnerei con una canzone che ho fatto ascoltare il primo giorno di scuola in tutte le classi due anni fa, che altre volte ho ripreso, ma alla quale non ho mai dedicato un post qui sul blog. Si tratta di Io sono l’altro di Niccolò Fabi (dall’album Tradizione e tradimento). Lui stesso presenta la canzone così: “Esiste un’espressione ‘In Lak’ech’ che nella cultura Maya non è solo un saluto ma una visione della vita. Può essere tradotta come “io sono un altro te” o “tu sei un altro me”. Che si parta dalla mistica o dalla fisica quantistica si arriva sempre alla conclusione che l’altro è imprescindibile nella nostra vita e che siamo solo particelle di un tutto insondabile. Allora l’empatia diventa non solo un dovere etico, ma l’unica modalità per sopravvivere, l’unica materia che non dovremmo mai dimenticarci di insegnare nelle scuole. Conoscere e praticare i punti di vista degli altri è una grammatica esistenziale, come riuscire ad indossare i loro vestiti, perché sono stati o saranno i nostri in un altro tempo della vita.” Ed è la base per non giudicare. Qui sotto testo e video.

Io sono l’altro, sono quello che ti spaventa, sono quello che ti dorme nella stanza accanto
Io sono l’altro puoi trovarmi nello specchio, la tua immagine riflessa, il contrario di te stesso
Io sono l’altro, sono l’ombra del tuo corpo, sono l’ombra del tuo mondo, quello che fa il lavoro sporco al tuo posto
Sono quello che ti anticipa al parcheggio e ti ritarda la partenza, il marito della donna di cui ti sei innamorato, sono quello che hanno assunto quando ti hanno licenziato, quello che dorme sui cartoni alla stazione, sono il nero sul barcone, sono quello che ti sembra più sereno perché è nato fortunato o solo perché ha vent’anni di meno
Quelli che vedi sono solo i miei vestiti adesso facci un giro e poi mi dici e poi…
Io sono il velo che copre il viso delle donne, ogni scelta o posizione che non si comprende
Io sono l’altro quello che il tuo stesso mare lo vede dalla riva opposta
Io sono tuo fratello, quello bello
Sono il chirurgo che ti opera domani, quello che guida mentre dormi, quello che urla come un pazzo e ti sta seduto accanto, il donatore che aspettavi per il tuo trapianto, sono il padre del bambino handicappato che sta in classe con tuo figlio, il direttore della banca dove hai domandato un fido, quello che è stato condannato, il Presidente del consiglio
Quelli che vedi sono solo i miei vestiti adesso vacci a fare facci un giro e poi mi dici, e poi mi dici, mi dici…

Gemme n° 490

Il video che propongo è sul bullismo, ma chi parla tocca molti temi, e mi ha colpito la sua carica espressiva. Penso che possa insegnare molto anche a chi non è toccato direttamente dal problema. L’ultimo pezzo con la musica è parte di una sua poesia”. Con queste parole E. (classe quinta) ha presentato la sua gemma.
Consiglio a chi non conoscesse l’inglese di attivare i sottotitoli: non sono quelli automatici, per cui permettono di capire bene il video. Mi piace riportare una frase della parte iniziale del video in cui si fa riferimento all’identità: “Ci dicevano che in qualche modo dobbiamo diventare quello che non siamo, sacrificando ciò che siamo per ereditare la maschera di ciò che saremo”.

Gemme n° 441

La mia gemma è il Libro «The help», uno dei miei preferiti, ambientato nel Mississippi del 1962. Si intrecciano le storie di tre donne, una domestica di colore che da 40 anni si occupa dei bambini dei bianchi, una domestica che sa cucinare benissimo ma ha un caratteraccio (licenziata 19 volte), una the help.jpgdonna bianca che aspira a diventare scrittrice: costei raccoglie le storie delle domestiche di colore nelle case dei bianchi. Le tre diventano amiche e alla fine altre domestiche si aggiungono per parlare delle loro vicende. Desidero citare una frase: God says we need to love our enemies. It hard to do. But it can start by telling the truth”. Così S. (classe seconda) ha presentato la propria gemma.
Nessuno mi aveva mai chiesto cosa provavo ad essere me stessa. Quando ho detto la verità mi sono sentita libera.” è un’altra citazione tratta da The help. Non penso sia facile dire la verità quando riguarda se stessi, ma devo ammettere che aiuta a camminare con la schiena dritta, senza avvertire sulle spalle il peso della menzogna o dell’incoerenza.

Gemme n° 386

lavoretto

Questo è un lavoretto fatto dai ragazzi della parrocchia, dalle elementari alle superiori: li portiamo durante le feste ad anziani e soprattutto malati che non possono uscire di casa per far capire che non sono abbandonati e soli. Lo faccio da 5 anni, è una bella esperienza, importante. E’ un atto di reale e cortese affetto; lo si dice nel film “Un’impresa da Dio” (Dio: Sei stato all’altezza! Hai cambiato il mondo! Evan: No, non è vero! Dio: No? Vediamo… Passi più tempo con la famiglia, li hai resi più felici, hai dato una casa a quel cane! Evan: Va bene, e allora? Dio: Allora? Come si cambia il mondo? Evan: Con un atto di reale e cortese affetto alla volta! Dio: Con un Atto di Reale e Cortese Affetto). Penso sia un gesto che faccia stare bene te e gli altri: ti accolgono con un sorriso e con lacrime di felicità. L’unica parte per me negativa è che questi anziani parlano solo friulano e mi è un po’ difficile rispondere, soprattutto quando mi chiedono di chi sono figlia. Allora solitamente rispondo facendo riferimento a qualche loro conoscenza e me la cavo. Dietro la confezione del lavoretto abbiamo poi messo una frase del papa: “ll Natale di solito è una festa rumorosa: ci farebbe bene un po’ di silenzio per ascoltare la voce dell’Amore. Natale sei tu, quando decidi di nascere di nuovo ogni giorno e lasciare entrare Dio nella tua anima”. Questa è stata la gemma di E. (classe quinta).
Per un po’ di anni ho fatto volontariato in casa di riposo e una delle cose che ricordo meglio è il modo con cui quegli anziani attendevano le due ore di visita del sabato pomeriggio e devo dire che ho ricevuto molto da quelle persone, a inverare la frase di Seneca: “Ovunque vi sia un essere umano, vi è possibilità per la gentilezza”.

Gemme n° 307

Ero indeciso tra varie canzoni: alla fine ho optato per questa non tanto per il testo (che è personale), quanto per gli artisti. Si tratta dei miei cantanti preferiti, era tanto che aspettavo un loro duetto.” Così si è spresso A. (classe terza).
Eminem, ad un certo punto canta “Perché il fallimento è qualcosa che riesco appena a digerire e ascolto solo il mio stomaco”. Guardarsi dentro, con sincerità: è inutile raccontarsi bugie. Costruire castelli di sabbia per se stessi è fatica insensata che non fa approdare a terre sicure. Tirare una linea dalla quale ripartire, mettere un punto fermo chiaro, evidente. E ripartire.

Gemme n° 303

don't grow up

Don’t grow up, it’s a trap! Questa frase è la mia gemma. Mi rappresenta perché i bambini sono persone che ancora riescono a sognare; da adulti ci sono preoccupazione e problemi. Loro poi sono sinceri e riescono a dire le cose in faccia senza nasconderle come invece fanno certi adulti. Anche l’amicizia tra bambini è molto più sincera e forte.” Così si è espressa A. (classe seconda).
Desidero citare una canzone di Claudio Baglioni che secondo me ha un testo bellissimo. In uno dei passi canta: “io non chiedo un poco più di pane ma che tu lo mangi insieme a me e non credo che ci sia una pace mai se la pace non è dentro te e così crescendo e cercando via altrove e come e quando troveremo infine chissà la via della felicità, ogni dì crescendo e cercando sì ma dove domani o quando prenderemo insieme la scia nel tempo della fantasia”.

Gemme n° 250

cwtch

Oddio” ha sospirato S. (classe seconda) iniziando a parlare per presentare la sua gemma alla classe. “Non sapevo cosa portare come gemma, pensavo a cose troppo generalizzate come famiglia o amici… Allora ho deciso di portare due parole, anche per sottolineare l’importanza dei piccoli gesti. La prima è GRAZIE, perché significa che una persona ha apprezzato quella che ha fatto l’altra e che, in fin dei conti, la vita di entrambi è stata migliorata. La seconda è usata in Galles e la scrivo alla lavagna perché è difficile pronunciarla: CWTCH. Indica un abbraccio, ma non solo hug; qui si tratta di qualcosa capace di portarti in a safe place, in un posto sicuro. Adoro i piccoli gesti importanti, quelli che sono fatti col cuore. Lascio poi una canzone che rappresenta alcune situazioni della mia vita in cui volevo andare avanti ma non ci riuscivo, e mi ritrovavo a metà strada”.
Parto dalla prima parola messa in risalto da S.: grazie. Paolo Stefanato scrive: “come ricorda il Pianigiani, grazie deriva da “chàris”, “ogni cosa che ci rende piacevole ad altri, quindi avvenenza, favore, dono, ricompensa, benevolenza”; il verbo “charizomai” significa “faccio piacere, sono indulgente, dono in ricompensa”. Il latino attinge qui anche per la parola “carus”, caro, che suscita sentimenti d’affetto, e per “caritas”, che prima di voler dire elemosina è innanzitutto benevolenza, amore. Derivano da “chàris” anche carezza e carisma, che è un affascinante misto di influenza e autorevolezza, da cui l’aggettivo carismatico. La stessa parola greca “chàris” ha dunque generato con successo due parallele e ampie famiglie latine (e poi italiane) che hanno come riferimento “gratia” e “carus”.”
Ecco, mi pare bellissimo questo passaggio grazie-carezza-cwtch.

Gemme n° 182

Ho portato questa canzone perché “The script” sono la mia band preferita, e questo brano mi piace in particolare. Sono poco conosciuti, ma io penso che siano veramente bravi”. Questa la presentazione della gemma da parte di M. (classe quarta). Ho cercato in rete la traduzione del brano e penso valga la pena riportarla perché sotto la gemma di M. c’è altro, scende una lacrima dai miei occhi e le mando un abbraccio:
Se potessi vedermi ora, se potessi vedermi ora
Era il 14 febbraio, San Valentino, arrivarono le rose, ma ti portarono via
Tatuato sul mio braccio c’è un amuleto per disarmare il male
Devo rimanere calmo, ma la verità è che te ne sei andato
E non avrò mai l’opportunità di farti sentire queste canzoni
Papà, dovresti vedere tutti i tour che faccio!
Ti vedo vicino alla mamma, cantate insieme, sotto braccio
E ci sono giorni in cui perdo la fede
Perché quell’uomo non era buono, era grandioso
Mi diceva “La musica è il rifugio per il dolore”
e mi spiegava, benché fossi giovane mi diceva
“Prendi quella rabbia, scrivila su un foglio, porta il foglio sul palco e fai saltare il tetto!”
Sto provando a renderti orgoglioso facendo tutto quello che hai fatto tu
Spero che tu sia lassù con Dio dicendo “Quello laggiù è il mio ragazzo!”
Cerco ancora il tuo volto tra la folla oh se solo potessi vedermi ora
Ti vergogneresti di me, o mi faresti un inchino, oh se solo potessi vedermi ora
Se poteste vedermi ora mi riconoscereste?
Mi dareste delle pacche sulla schiena o mi critichereste?
Seguireste tutti i solchi del mio viso provocati dalle lacrime
Mettereste la mano sul mio cuore che è freddo
sin dal giorno in cui vi hanno portati via da me
Lo so che ne è passato di tempo ma vorrei sentirvi dire che bevo e fumo troppo
ma se non potete vedermi ora questa merda è una routine
Mi dicevate che non avrei riconosciuto un vento prima che mi avesse colpito
e che avrei conosciuto il vero amore solo se avessi amato e l’avessi perso.
Se tu hai perso una sorella, qualcuno ha perso una madre
e se hai perso un padre, qualcuno ha perso un figlio
E mancano, mancano tutti
Se avete un secondo per guardarmi da lassù, mamma, papà, mi mancate
Cerco ancora il tuo volto tra la folla oh se solo potessi vedermi ora
Ti vergogneresti di me, o mi faresti un inchino oh se solo potessi vedermi ora
Mi chiameresti un santo o un peccatore?
Mi amereste comunque se fossi un perdente o un vincitore?
Ogni qual volta che mi guardo allo specchio
Ci assomigliamo così tanto, e la cosa mi fa venire i brividi”

Gemme n° 157

jess«Ha nevicato anche l’anno scorso: ho fatto un pupazzo di neve, mio fratello l’ha buttato giù, e io ho buttato giù mio fratello. Poi, abbiamo preso il tè insieme.» (Dylan Thomas)
Ho voluto cominciare con questa citazione perché non credo ci sia modo migliore di descrivere il rapporto fra me e mio fratello.
Fin da piccoli, noi due siamo sempre stati agli antipodi su tutto, dal cartone animato preferito, al gusto della torta di compleanno, eccetera eccetera. Piccole cose, certo, ma che hanno sempre reso complicato ogni più piccolo confronto. Anche se tra fratelli è normale litigare, troppo spesso finivamo per urlarci contro per ore o per non parlarci del tutto per giorni; era come se mancasse qualcosa, come se, sotto sotto, io non conoscessi veramente quella persona che avevo visto nascere e crescere accanto a me. Quel “punto d’incontro” che serviva ad unirci è arrivato nella maniera più improvvisa e impensabile possibile: l’anno scorso, mia madre è stata male, e la nostra vita ha iniziato a cambiare. In quel periodo, in cui mio padre lavorava molto e mia madre non poteva occuparsi di noi, io e mio fratello ci siamo trovati spesso soli, ad aspettare in silenzio. Se devo essere del tutto sincera, inizialmente io credevo che lui non capisse appieno la situazione, o che semplicemente la ignorasse; quando però un giorno sono entrata in camera e l’ho trovato seduto sul letto che piangeva a dirotto, ho capito di avere di fronte a me una persona molto più intelligente e sensibile di quanto credessi. Principalmente però, era un bambino che aveva bisogno di conforto. Quella sera, io e lui siamo stati seduti l’uno di fronte all’altra a parlare per ore, sia di cose serie che di stupidaggini, e ci siamo un po’ scoperti a vicenda. Ho capito per la prima volta cosa volesse dire avere un fratello minore da proteggere, e ho giurato che l’avrei sempre fatto, perché so che, qualunque cosa accada, lui sarà sempre lì per me, pronto a difendermi e a sostenermi; perché alla fine non importa quante volte ci butteremo giù, l’importante è che uno sarà sempre pronto a risollevare l’altro e ad «offrigli una tazza di tè».”
Questa è stata la toccante gemma di J. (classe terza). Mi è venuta in mente una frase che arriva dal passato. Mio nonno adorava i film di Totò, di Franco e Ciccio e di Bud Spencer e Terence Hill. Nel film “Lo chiamavano Trinità” uno dei protagonisti afferma: “Come ti permetti lurido ladrone! Questi sono i miei fratelli e i miei fratelli li picchio solo io!”. Mi ha fatto sorridere, ma pure riflettere. I rapporti umani più profondi sono quelli sinceri, ma non è facile essere sinceri ed accettare la sincerità. Significa essere nudi davanti all’altro e nudità significa anche vulnerabilità. Ci vuole tempo per svestire gli abiti che fanno da corazza, ma una volta che si scopre la bellezza dell’altro non vi si rinuncia.

Tu dormi e non pensare ai dubbi

Sul filone del post “Appuntamento con lei” della scorsa settimana, oggi mi soffermo su una vecchia canzone che Enrico Ruggeri ha scritto per Fiorella Mannoia. Parto dalla seconda strofa perché sintetizza quello che molte studentesse e studenti di prima affermano quando parlano di cosa sia importante per loro nell’amore: il saper comunicare, il dirsi le cose, il rimanere innamorati con gli occhi dei primi istanti… “Ma se domani io mi accorgessi che ci stiamo sopportando e capissi che non stiamo più parlando ti guardassi e non ti conoscessi più”. Ruggeri elenca i rischi di una relazione stantia, appiattita sulla routine e sull’abitudine e propone la sua ricetta: “io dipingerei di colori i muri e stelle sul soffitto, ti direi le cose che non ho mai detto, che pericolo la quotidianità e la tranquillità”. Nella prima strofa si era anche ipotizzato che tale amore potesse finire: “Se una mattina io mi accorgessi che con l’alba sei partito con le tue valigie verso un’altra vita”. Cosa succederebbe? Forse in molti se lo chiedono. Ruggeri risponde. “riempirei di meraviglia la città, ma forse dopo un po’ prenderei ad organizzarmi l’esistenza, mi convincerei che posso fare senza, chiamerei gli amici con curiosità e me ne andrei da qua. Cambierei tutte le opinioni e brucerei le foto con nuove convinzioni mi condizionerei, forse ringiovanirei e comunque ne uscirei, non so quando, non so come”. Mi viene in mente la risposta che ho dato l’altro giorno ad una alunna sul “mal d’amore” e in cui avevo tirato dentro il Dottor Tempo che riesce a sanare le ferite; anche nella canzone c’è la fiducia, c’è la speranza, non ben definite, certo, ma ci sono. Eppure non è sempre così facile vederle, soprattutto quando si hanno 15 anni e un rapporto che entra in crisi o una storia che finisce fanno oscurare il cielo con le nubi più cupe e pare che il sole non debba sorgere più.

Le parole finali della canzone mi riportano a una delle cose per me più importanti nella coppia: la fiducia, senza la quale non sarei in grado di amare. “Tu dormi e non pensare ai dubbi dell’amore ogni stupido timore è la prova che ti do e rimango e ti cerco”.

Sdrang!

Corsi per essere vincenti, master per potersi affermare, soggiorni per numeri “uni”. Consigli spassionati “al giorno d’oggi devi guardare il tuo” oppure “ma chettefrega di lui, l’importante è che sia dietro”. Mazzate nascoste dietro a un “devo dirti una cosa, sai, io preferisco dire le cose in faccia, non parlare alle spalle” e … SDRANG! Mi viene alla mente il folgorante e paradossale incipit di “Golden gate” dello statunitense Raphael Aloysius Lafferty:

“Avendo sparato ad un uomo, ed avendolo ammazzato, avete in una certa misura chiarito il vostro atteggiamento verso di lui. Avete dato una risposta definita ad un problema definito. Nel bene o nel male avete agito in maniera decisiva. In un certo senso, la mossa successiva spetta a lui.violenza-domestica2.jpg

 

Dietro un paravento

arroganza.jpeg“Una prepotente rozzezza dei modi e del linguaggio scambiata per franchezza e sincerità” scrive Fulvio Scaparro, sul Corriere della Sera 30 dicembre scorso. Mi capita spesso di sperimentarla, quella rozzezza, e di rifletterci sopra. Chi la utilizza spesso premette “Sai, sono uno schietto, le cose le dico in faccia”. Peccato che a volte si dimentichi che le parole, dette e scritte, possono far male come pugni, più di pugni. Canta Francesco Guccini in Cyrano: “con questa spada (la penna) vi uccido quando voglio”. Ecco l’articolo di Scaparro, dal titolo “I bambini gentili hanno successo, ma l’esempio deve venire dagli adulti”.

“Alcuni ricercatori della University of California sostengono che i bambini al di sotto dei dieci anni ai quali è stato chiesto di compiere tre atti di gentilezza per quattro settimane nei confronti dei compagni di classe acquistano popolarità tra i coetanei e appaiono più contenti. Stando ai risultati la gentilezza paga e, aggiungono i ricercatori, si tratta di un comportamento che consente di ottenere risultati simili anche da adulti. Per di più, rinforzare le relazioni sociali tra bambini servirebbe anche a combattere il diffondersi del bullismo. Su questo punto occorre chiarire che gli studiosi non ritengono sufficiente essere gentili per bloccare un bullo che per definizione è impermeabile alle buone maniere dei coetanei ed è incline a ritenere la cortesia un segno di debolezza. Quello che appare chiaro dalla ricerca è che il clima collaborativo che si instaura nella classe taglia l’erba sotto i piedi del bullo o addirittura potrebbe contagiarlo positivamente. L’Oxford Dictionary of Current English definisce la cortesia come il possesso e l’impiego di buone maniere unito alla considerazione per gli altri. Sono proprio la considerazione e il rispetto per gli altri che conferiscono alla gentilezza una profonda moralità e un elevato valore di coesione sociale. Di qui l’invito agli adulti a dedicare la dovuta attenzione a questo aspetto dell’educazione che a me pare oggi trascurato a favore di una prepotente rozzezza dei modi e del linguaggio scambiata per franchezza e sincerità. In italiano il congiuntivo, modo della possibilità, è a rischio di estinzione ma pare che anche il condizionale, modo della cortesia, non goda di buona salute. «Voglio» dice il piccino, «vorrei» lo correggono i genitori aggiungendo per buon peso «per favore». Tutto molto edificante; peccato che troppo spesso dentro e fuori casa il garbo, la buone maniere e la gentilezza non vadano per la maggiore. Genitori ed educatori abbiano fiducia nella forza del loro esempio: crescere in un clima di rispetto e considerazione fa stare meglio noi e gli altri e, aspetto non trascurabile, ci aiuterà non solo a scuola ma anche nel mondo del lavoro e nelle relazioni affettive.”

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