Gemme n° 64

balzo

Ho portato un post-it che non è un semplice post-it: con questo vorrei dire che a volte la felicità arriva all’improvviso. E’ l’autografo di un attore del mio paese, Raffaello Balzo. Ero bambino quando me l’ha fatto. Lui ha lottato due volte contro la morte, a 1 anno durante il terremoto quando è stato salvato dalla nonna, e nel 2006 per un malore durante un programma televisivo. A volte la fortuna arriva all’improvviso come la felicità.” Questa è stata la gemma di A. (classe quarta).

A proposito della fortuna Rita Levi Montalcini ha detto: “Ai giovani auguro la stessa fortuna che mi ha condotto a disinteressarmi della mia persona, ma di avere sempre una grande attenzione nei confronti di tutto ciò che mi circonda, a tutto quanto il mondo della scienza, senza trascurare i valori della società.”

Le risposte di Terzi

Il 18 giugno avevo pubblicato alcune domande di Giulio Terzi sulla geopolitica internazionale. Due giorni dopo ha pubblicato le sue risposte:

«Come promesso, dopo il dibattito del post 1 di qualche giorno fa, eccovi il mio pensiero e le mie giulio-terzi-di-santagatarisposte su questo tema che ci riguarda tutti da vicino… Stati Uniti ed UE sono parsi in affanno in un 2014 che sembra aver riportato le rivalità geopolitiche al centro delle relazioni internazionali. Gli occidentali ritenevano “tramontata” la stagione dei confronti territoriali, dell’uso della forza, degli “zero sum games”: multilateralismo e governance globale erano diventati il “playfield” del post-Guerra Fredda, e la speranza che fosse tramontata la “vecchia geopolitica” si alimentava – come ha scritto recentemente Walter Russel Mead – con il trionfo dell’approccio liberale rispetto al comunismo. L’ambito del confronto sembrava evolvere dalla “contrapposizione ideologica” est/ovest verso l’universale accettazione della democrazia, e dalla minaccia dell’uso della forza verso l’applicazione del “diritto internazionale”. Ora dobbiamo invece fare i conti con un “hard power” accresciutosi esponenzialmente da parte di “Potenze revisioniste” che non si sono mai completamente adattate agli equilibri usciti dal post Guerra Fredda e che ora cercano di cogliere tutte le occasioni per modificarli anche con la forza. Il mondo è ripiombato brutalmente nella paura già con l’11 settembre: la guerra al terrorismo e all'”Axis of Evils” della Presidenza Bush si è declinata nelle operazioni in Afghanistan e in Iraq, intervenendo – a torto o a ragione – senza timidezze nell’utilizzo della forza. Obama ha poi tentato una netta sterzata, con un rilancio poggiato su un’agenda assai ambiziosa: a) blocco dell’armamento nucleare iraniano; b) soluzione del conflitto Israelo Palestinese; c) lotta ai cambiamenti climatici; d) accordi di Partenariato strategico con i Paesi più vicini all’America nel Pacifico e con l’Unione Europea; e) “reset” del rapporto con Mosca, concordando ulteriori riduzioni degli arsenali strategici; f) radicale cambio di marcia nei rapporti con il mondo Islamico; g) promozione a tutto campo dei diritti umani, con particolare riferimento a diritti degli omosessuali; h) ristabilimento di un clima di completa fiducia – dopo le crepe verificatesi per l’intervento in Iraq – tra Americani e Europei; i) fine della presenza militare in Iraq e Afghanistan; l) contenimento della spesa militare.
Il “decalogo” Obamiano corrisponde “interamente” anche alle aspettative europee, ed è in astratto pienamente condivisibile, ma gli strumenti di cui l’Occidente vuole e può avvalersi bastano ad esempio a stabilizzare l’Ucraina? E a fermare i conflitti settari in Medio Oriente? E a ottenere che Cina, Giappone, Filippine, Vietnam risolvano le loro controversie attraverso l’arbitrato e non con la forza…? Esiste fra Cina, Russia e Iran un interesse comune di portata strategica che non sia soltanto quello di erosioni opportunistiche e tattiche di singole posizioni dell’Occidente? La Russia teme un eccessivo potere regionale cinese; Russia e Iran hanno l’esigenza di prezzi alti dell’energia, la Cina esattamente il contrario; l’instabilità in Medio Oriente, utile all’Iran, è pericolosa per la Cina e per la Russia; ma l’Iran ha ottenuto un insperabile rilancio del mondo sciita dall’invasione dell’Iraq, e se ne avvale a piene mani in Siria e in Libano, mettendo sotto pressione l’ampia maggioranza sunnita in tutto il Medio Oriente… Quindi: l’Occidente deve avere un approccio realista e pragmatico di breve periodo, oppure imperniato sulla sicurezza cooperativa e sull’affermazione planetaria dei diritti umani e delle libertà fondamentali…?
Io credo possa esistere un “bland” di questi fattori, un giusto mix di tutti questi elementi, che vanno a costituire “il perimetro” entro il quale deve muoversi l’Occidente … Se consideriamo tre dimensioni essenziali, quella economica, quella militare e quella scientifico-culturale, dovremmo esser portati a ritenere che il XXI sarà il Secolo della “leadership mondiale condivisa ” tra l’Occidente/Area Atlantica e l’Asia, con queste precisazioni:
1) analizzati alla lente della geopolitica, gli equilibri – o squilibri – globali non potranno che essere di tipo “bipolare”, con due “masse”, quella Euroatlantica da un lato e quella Cinese dall’altro, contrapposte nella definizione dei rispettivi interessi economici, territoriali e di sicurezza;
2) si tratterà ovviamente di un bipolarismo imperfetto, dato che con queste due “masse” dominanti continueranno a interagire attori “per nulla secondari” come Russia, India, Brasile e l’Islam nelle sue diverse e complesse configurazioni;
3) se i dati del Prodotto Interno Lordo mostrano una tendenza occidentale in progressivo ridimensionamento, ve ne sono altri legati allo sviluppo umano, all’innovazione tecnologica e alla scienza che fanno prevedere una tenuta di competitività del “modello occidentale”;
4) sono convinto che le armi debbano restare l‘extrema ratio nella gestione di qualunque controversia, ma capacità militari e “soft power” continueranno a vedere l’Occidente in vantaggio anche nel lungo periodo, e questo non solo perché il bilancio per la Difesa dell’area Atlantica è superiore al totale degli altri principali Paesi, ma soprattutto perché la capacità di aggregazione dell’occidente è – per la natura stessa degli interessi di sicurezza che difende – infinitamente superiore a quella dei principali “competitors”: gli USA ad esempio sono parte di un sistema di alleanze che li lega a una sessantina di Paesi, la Cina a uno solamente (la Corea del Nord); l’Iran alla Siria e all’Iraq; la Russia a otto paesi…;
5) le potenzialità dell’Occidente dal punto di vista valoriale si rivelano così straordinarie da travalicare ampiamente i confini americani ed europei. Pensiamo all’esigenza, avvertita dalla generalità dei Paesi membri ONU, di esser considerati “Stati di diritto”, di essere visti come vere democrazie, di esser considerati rispettosi dei Diritti Umani e delle libertà fondamentali, anche per “poter così attrarre e garantire investimenti stranieri”… Questi principi sono radicati in una rete densissima di Trattati, rientrano tra le condizioni poste dall’Unione Europea agli accordi di collaborazione e partenariato con Paesi terzi, e sono tutti patrimonio dell’Occidente!
Allora, dinanzi alle “sei sfide” che ho ricordato nel precedente Post di qualche giorno fa, il rafforzamento della leadership dell’Occidente dovrà quindi basarsi su una ritrovata volontà ad agire per:
– combattere i cambiamenti climatici, perché sono state adottate misure che segnano il percorso, ma c’è moltissimo ancora da fare;
– adottare regole di controllo per i mercati finanziari e misure fiscali che assicurino una più equa ripartizione della crescita e dei redditi tra le diverse fasce di popolazione;
– contrastare con vigore la corruzione, la criminalità economica e quella organizzata;
– integrare pienamente l’economia Euroatlantica in un sistema di regole condivise.
– uscire dal sogno a occhi aperti che si possa continuare a pensare al “dividendo della pace” fine a se stesso, perché gli strumenti di Difesa devono essere rapportati all’entità delle crisi in atto e a quelle possibili, e l’intero apparato di Difesa europeo va seriamente adeguato, integrato e ammodernato.
– far diventare una realtà la “politica estera europea”. Le lezioni apprese con la tragedia siriana, con il suo ampliarsi all’intero teatro iracheno, e le distruzioni, le catastrofi umanitarie e migratorie che ne sono derivate, tutti fattori ad alto impatto sui nostri Paesi, dimostrano come l’Occidente debba assumersi ben maggiori responsabilità, con tempestività di iniziativa, con impiego di risorse, con volontà politica assai diversa da quanto non sia avvenuto negli ultimi tre anni.
Moltissimo della risoluzione di queste complesse problematiche è affidato alla Diplomazia, e al suo “coraggio di esprimere e sostenere la cultura politica dell’Occidente” e i valori di libertà e di tolleranza che le sono propri. Non sempre la nostra Sovranità è stata tutelata com’era nostro precipuo dovere fare, e non sempre la diplomazia italiana ed europea si è mostrata attiva e coraggiosa nella tutela dei diritti umani, nel difendere le minoranze religiose, nell’influire con decisione nei processi di transizione verso la democrazia e lo Stato di Diritto di paesi in via di sviluppo. Ci sono cambiamenti importanti di mentalità, di metodi, di strumenti operativi e di formazione – basti pensare all’utilizzo dei social media – che sono necessari per i diplomatici di questa e della prossima generazione. La competizione indiscriminata e le sfide planetarie nelle quali siamo immersi non ci permettono di attendere nell’angolo, di evitare il confronto intellettuale, o di lasciare i problemi nel cassetto nella speranza che diventino…meno urgenti!»

Le domande di Terzi

Giulio Terzi è un diplomatico, ex-ministro del governo Monti, dimessosi in seguito a dissidi sulla gestione della situazione dei marò in India. Dal suo profilo facebook prendo questo post che può essere utile a settembre, nelle quinte, quando inizieremo a parlare di globalizzazione. Si tratta di una serie di interrogativi: a giorni dovrebbero arrivare le sue risposte (come lascia trapelare nella conclusione).

terzi«Nel lontano 1990, alcuni osservatori avevano previsto che la fine del Patto di Varsavia avrebbe “automaticamente comportato anche la fine dell’Alleanza Atlantica”. La stessa tipologia di analisti sta ora alimentando un dibattito sull'”inarrestabile declino dell’Occidente”. Si evocano nell’ordine: le incertezze americane e europee in Siria, lo stallo dell’iniziativa Usa in Medio Oriente, le incognite sul negoziato nucleare iraniano, l’annessione russa della Crimea con il protagonismo russo, le rivendicazioni territoriali di Pechino nel Mar della Cina, etc etc. L’Occidente è “in una situazione di stallo” che lo rende incapace di influire sulla realtà mondiale nel medio e lungo periodo? Quali sfide dovremo impegnarci a vincere per tornare a essere “centrali” sullo scenario globale? Questi i temi da affrontare senza altro ritardo:

1) una “rivoluzione demografica” senza precedenti nella storia dell’umanità ha portato la popolazione del pianeta in un solo secolo da 1,3 a 9 miliardi di esseri umani, e la crescita è polarizzata nelle regioni maggiormente esposte a tensioni per scarsità di risorse;

2) una “deriva climatica ormai irreversibile”, come indicano tutti gli ultimi rapporti ONU. Il riscaldamento atmosferico è all’origine di sempre più frequenti disastri naturali, di enormi carenze idriche e di migrazioni massicce, tutti eventi che hanno poi un impatto fortissimo anche sulle nazioni occidentali, e – a meno di inserire correttivi immediati – il degrado ambientale, l’inquinamento delle aree urbane dove vive più della metà della popolazione mondiale, la desertificazione e la scomparsa di foreste toccheranno nel secolo in corso livelli incompatibili con la sopravvivenza dell’intero ecosistema;

3) una “crescita economica apparentemente infinita ma in realtà illusoria”, insostenibile per l’Umanità. La crescita dell’economia mondiale, accelerata anche dal ruolo spregiudicato dei Paesi emergenti, tende ad aggravare rapidamente la scarsità delle risorse alimentari, idriche, energetiche e il degrado ambientale. Basti un esempio: agli attuali ritmi di crescita del Paese, il PIL pro-capite cinese potrebbe raggiungere la parità con l’odierno PIL pro-capite americano – oggi superiore di ben 9 volte a quello cinese – in soli 40 anni, ed entro il 2025 la Cina potrebbe superare in PIL la somma di tutti i Paesi del G7. Se già il PIL cinese attuale fa di quel Paese il principale “emettitore” di CO2 e di particelle inquinanti nell’atmosfera, appare chiara la drammaticità del bisogno di sterzare verso diversi modelli di crescita, di consumi e di assetti socioeconomici. Con ogni cautela verso previsioni a così lungo termine che prescindono da rivolgimenti politici, recessioni e cicli economici, il raddoppio dell’economia cinese ogni sette/otto anni e la prospettiva di un suo PIL decuplicato in quarant’anni pone inquietanti interrogativi quanto alla “tenuta” di modelli economici mirati esclusivamente alla crescita senza un occhio alla sostenibilità ambientale e sociale;

4) le “diversità nello sviluppo umano” tra “the West… and the Rest”. Resteranno in ogni caso fondamentali differenze anche nel lungo termine tra “Cindia” e area OCSE per quanto riguarda gli standard di vita. Non è certo irrilevante il fatto che Cina e India siano ancora oggi al 101° e 134° posto nell’indice sullo sviluppo umano stilato da UNDP, mentre i Paesi Occidentali occupano le prime 25 posizioni, e la Russia la 66ma. Un dato che sembra contare più di molti altri nel dimostrare la “vitalità” dell’Occidente e del suo sistema di valori basati sulla democrazia, la libertà individuale e lo Stato di diritto;

5) la “crescita nell’era della globalizzazione che allarga sempre più il divario” – come titola un saggio di De Rita e Galdo – tra “Il popolo e gli Dei”, ovvero tra il 99% e l’1% della popolazione, come accusano movimenti tipo Occupy Wall Street. E’ questo l’altro versante della “rivoluzione” che sta attraversando l’economia mondiale: l’inarrestabile concentrazione della ricchezza e delle attività finanziarie è accompagnata dal regresso della “middle class” e da segnali di forte impoverimento per le fasce basse di reddito. La concentrazione della ricchezza a ritmi così elevati anche nei periodi di recessione costituisce un trend particolarmente dannoso: comprime l’investimento produttivo a vantaggio di quello speculativo, destabilizza la rappresentatività democratica, in quanto le lobby finanziarie sono infinitamente più forti delle altre categorie organizzate che rappresentano interessi settoriali, crea forte insoddisfazione e tensione sociale. ATTENZIONE: “il punto di rottura degli equilibri istituzionali e politici giunge quasi sempre inatteso”: come ha osservato Niall Ferguson, i sistemi ad elevata complessità delle “potenze imperiali” del passato sono passati dall’erosione al collasso non attraverso cicli graduali ma improvvisamente. Merita perciò riflettere sull’importante lavoro dell’economista francese Thomas Piketty, “Il capitale nel ventunesimo secolo”: ne è scaturito un dibattito che dà la temperatura di un forte malessere, causato dall’inarrestabile concentrazione della ricchezza su scala mondiale;

6) la società dell’informazione e della conoscenza costituisce il motore più potente dello sviluppo globale. Un’enorme forza per il mondo Occidentale, dove ancora negli ultimi anni le spese per la scienza e la ricerca sarebbero state più della metà del totale mondiale, e che si sta diffondendo nelle economie emergenti con progressi rapidissimi. In India ogni anno si laureano due milioni e mezzo di studenti, ma le università americane e europee continuano ad attrarre centinaia di migliaia di cinesi e di indiani. La leadership occidentale nella società della conoscenza e dell’informazione non è assicurata tanto dal possesso e dal continuo avanzamento di tecnologie, di reti, di scoperte scientifiche, ma dal clima di libertà nella ricerca, di rispetto della dignità della scienza e dell’espressione del pensiero umano. Sin dal Rinascimento l’universo della scienza collega valori dell’uomo e progresso in uno stretto rapporto. Nel frattempo però le tecnologie dell’informazione tendono anche a esasperare le conflittualità: utilizzo dei “metadati”, cybersecurity, intrusioni esponenzialmente accresciute nella Sovranità altrui per destabilizzare politicamente (Ucraina), economicamente (Estonia), militarmente (Siria) paesi ritenuti ostili, o per carpire progetti industriali o danneggiare la concorrenza, sono ormai all’ordine del giorno. Il CSIS di Washington ha calcolato che i danni complessivi prodotti da attacchi cibernetici si situino tra i 375 e i 575 miliardi di dollari annui, dei quali circa 9 miliardi solo in Italia…

IN DEFINITIVA: viviamo in una realtà “liquida”, fortemente condizionata dalle sei sfide globali che ho sopra richiamato. Domanda: c’è un’Agenda comune dei Paesi “revisionisti”, le nuove potenze mondiali? Russia, Cina e Iran coltivano una grande visione per un nuovo “ordine mondiale alternativo” a quello costruito attorno ai valori Occidentali…? O più semplicemente sono mossi dall’interesse ad affermare la propria Sovranità e il dominio sulle rispettive regioni, per massimizzarne i benefici commerciali, economici e tecnologici? Se così è, l’Occidente “deve” accentuare l'”engagement”, rafforzare il sistema internazionale di rapporti basati sui valori liberali e democratici, e attuare una strategia coerente nelle alleanze, nelle istituzioni multilaterali, nella diplomazia… QUALE MODELLO PERMETTERA’ ALL’OCCIDENTE DI SOPRAVVIVERE E RIACQUISTARE CENTRALITA’ SULLO SCENARIO GLOBALE…? Ditemi la Vostra…e vi prometto che poi io vi dirò la mia con un secondo post tra qualche giorno, che sto preparando ma che voglio tenga conto anche dei vostri commenti…»

Il calore del porcospino

riccio1L’altroieri era il compleanno di Schopenhauer, nato a Danzica il 22 febbraio 1788. Ma era anche il compleanno di Chicco, il più caro amico dei tempi del liceo, un’amicizia fatta di vicinanze e distanze fisiche, uno di quei rapporti dove basta un attimo per ritrovare la sintonia e il ritmo comuni.
Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.
Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l’uno verso l’altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l’uno lontano dall’altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere. A colui che non mantiene quella distanza, si dice in Inghilterra: keep your distance! − Con essa il bisogno del calore reciproco è soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui. − Colui, però, che possiede molto calore interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni sgradevoli.”
(Arthur Schopenhauer, Il dilemma dei porcospini in Parerga e Paralipomena, 1851)
Penso che l’amicizia vada oltre il solo “bisogno di società” e che accetti il rischio e la possibilità della ferita dell’eccessiva vicinanza, l’unica in grado di portare quel calore a cui non so rinunciare. Auguri Arthur, buon compleanno Chicco.

Ci somigliano

Ieri al tg mi sono imbattuto nel video di un pestaggio di una ragazza nei confronti della sua rivale in amore, girato da alcuni compagni rimasti fermi anche davanti alle esplicite richieste di aiuto della seconda. Ecco il commento scritto oggi da Gianluca Nicoletti su La Stampa.
“Il pestaggio di una ragazzina da parte della sua compagna di classe è raccontato in ogni dettaglio da un video che ora gira su Facebook. Lo hanno condiviso quasi 90.000 utenti e continua a rimbalzare tra le bacheche, suscitando a volte rabbia a volte incredulità. Chiunque abbia figli adolescenti è bene che lo guardi, anche se è molto crudo e può far male vederlo. Spiega molte cose dell’universo dei nostri ragazzi, cose che magari avevamo letto o di cui avevamo sentito parlare. Vedere però è un’ altra cosa.
bollateAvviene per strada, in una periferia come tante. In questo caso fuori dell’ Itc Primo Levi di Via Varalli a Bollate, ma poteva benissimo essere accaduto in qualunque strada di qualunque città italiana. Ragazzi e ragazze sono tutti ben vestiti, come prescrive il dress code per sopravvivere in classe ogni giorno senza sfigurare nel gruppo e confondersi rassicurati nelle sue dinamiche.
Si capisce dal video che è in atto una sfida tra ragazzine, o meglio una delle due -la bionda- affronta a brutto muso la nemica -la mora- s’immagina per rivalità amorosa. Comincia a picchiarla a freddo, con tecnica e determinazione. Combinazione di calci e pugni in faccia. Agile determinata, precisa. L’altra è terrorizzata e chiede aiuto.
Il primo cerchio degli osservatori è rappresentato dalle amiche, che fanno cerchio attorno al luogo dove il branco probabilmente amministra la sua giustizia. Più defilati i maschi, con il ruolo di semplici osservatori. Incitano, bestemmiano, si lamentano perché secondo loro si chiacchiera troppo e si agisce poco. Quasi tutti hanno lo smartphone in mano e filmano.
La scena prosegue lungo il marciapiede, la vittima prova a scappare chiede aiuto, l’altra la insegue, la colpisce, la prende per i capelli, la sbatte contro un lampione, la butta a terra e la prende ripetutamente a calci in faccia tenendola sempre per i capelli. Urla disperate, richieste d’ aiuto ai compagni che restano impassibili e continuano a filmare. Finalmente una delle altre ragazze l’aiuta a sollevarsi e le fa scudo, mentre gli altri decidono che può bastare e allontanano la bionda che pare appagata per la punizione.
Facebook storicizza l’evento. La vicenda arriva alla preside del liceo che chiama i Carabinieri di Rho, i genitori della vittima denunciano. La storia seguirà il suo naturale iter giudiziario. Su Facebook invece continua: si sono già creati due gruppi antagonisti che, attorno al filmato, stanno trasferendo quel brutto episodio nel tempo dell’epica 2.0.
I ragazzi non sono molto diversi dai loro genitori che si accaniscono su Twitter per la politica, per il disprezzo verso le donne in genere, per razzismo, per intolleranza verso chi è diverso: “Z….la dai ricci d’oro vieni al Sud, qui nn ti diamo manco il tempo di parlà che come fai A co no calcio in bocca ti facciamo saltà tutti i denti.” Oppure chi inneggia alla bionda che è diventata un’eroina “Brava G….!! Sei finita sul giornale insieme all’algerino con la mannaia!! Sei una da temere!! Sei tosta!! ….. una vacca intostata!!”
Chi se la sente di fare lo scandalizzato, di meravigliarsi, di dire: “Oh che tempi…Che gioventù!!!!” Difficile fare la morale, somigliano troppo a noi adulti questi sciocchi ragazzi. E’ da noi che hanno imparato ad essere pusillanimi, ma spietati se imbrancati. Pronti a eccitarsi alla violenza, pronti a seguire senza discutere chiunque dimostri di essere il più forte, il più spietato, il vincente perché capace di prendere a calci in faccia qualunque suo simile inerme che chiede pietà.
Soprattutto i ragazzi sono come noi convinti che, alla fine, anche i nostri atti peggiori possano assumere mitologica dignità se solo riusciamo a conquistarci l’attenzione dei media. Sia per goderci la gloria di avere spazio in tv e giornali, sia per accontentarci d’essere protagonisti assoluti nelle bacheche Facebook delle nostre molteplici relazioni digitali.
PS
Nel tempo che scrivevo le condivisioni del video sono diventate quasi centomila (ore 10.50)
Ore 18.30: il video è stato rimosso da Facebook

Per sempre?

Una delle canzoni che ho peggio sopportato nella mia vita, e che puntualmente veniva trasmessa a ogni ora del giorno e della notte da radio e tv, era una canzone di Ambra Angiolini che diceva “ti giuro amore un amore eterno, se non è amore me ne andrò all’inferno … se c’è una crisi la mandiamo via perché i problemi tuoi sono problemi miei”. Mi ha assillato a tal punto da conficcarsi nella memoria delle cose brutte e da riemergere oggi mentre leggevo un’intervista di Raffaella De Santis a Zygmunt Bauman, presa da Repubblica. Argomento centrale? L’amore, ma si parla anche di società, contemporaneità, antropologia, mercato, consumi…
“Amarsi e rimanere insieme tutta la vita. Un tempo, qualche generazione fa, non solo baumanera possibile, ma era la norma. Oggi, invece, è diventato una rarità, una scelta invidiabile o folle, a seconda dei punti di vista. Zygmunt Bauman sull’argomento è tornato più volte (lo fa anche nel suo ultimo libro Cose che abbiamo in comune, pubblicato da Laterza). I suoi lavori sono ricchi di considerazioni sul modo di vivere le relazioni: oggi siamo esposti a mille tentazioni e rimanere fedeli certo non è più scontato, ma diventa una maniera per sottrarre almeno i sentimenti al dissipamento rapido del consumo. Amore liquido, uscito nel 2003, partiva proprio da qui, dalla nostra lacerazione tra la voglia di provare nuove emozioni e il bisogno di un amore autentico.
Cos’è che ci spinge a cercare sempre nuove storie?
“Il bisogno di amare ed essere amati, in una continua ricerca di appagamento, senza essere mai sicuri di essere stati soddisfatti abbastanza. L’amore liquido è proprio questo: un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame”.
Dunque siamo condannati a vivere relazioni brevi o all’infedeltà…
“Nessuno è “condannato”. Di fronte a diverse possibilità sta a noi scegliere. Alcune scelte sono più facili e altre più rischiose. Quelle apparentemente meno impegnative sono più semplici rispetto a quelle che richiedono sforzo e sacrificio”.
Eppure lei ha vissuto un amore duraturo, quello con sua moglie Janina, scomparsa due anni fa.
“L’amore non è un oggetto preconfezionato e pronto per l’uso. È affidato alle nostre cure, ha bisogno di un impegno costante, di essere ri-generato, ri-creato e resuscitato ogni giorno. Mi creda, l’amore ripaga quest’attenzione meravigliosamente. Per quanto mi riguarda (e spero sia stato così anche per Janina) posso dirle: come il vino, il sapore del nostro amore è migliorato negli anni”.
Oggi viviamo più relazioni nell’arco di una vita. Siamo più liberi o solo più impauriti?
“Libertà e sicurezza sono valori entrambi necessari, ma sono in conflitto tra loro. Il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza è una minore libertà e il prezzo di una maggiore libertà è una minore sicurezza. La maggior parte delle persone cerca di trovare un equilibrio, quasi sempre invano”.
Lei però è invecchiato insieme a sua moglie: come avete affrontato la noia della quotidianità? Invecchiare insieme è diventato fuori moda?
“È la prospettiva dell’invecchiare ad essere ormai fuori moda, identificata con una diminuzione delle possibilità di scelta e con l’assenza di “novità”. Quella “novità” che in una società di consumatori è stata elevata al più alto grado della gerarchia dei valori e considerata la chiave della felicità. Tendiamo a non tollerare la routine, perché fin dall’infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti “usa e getta”, da rimpiazzare velocemente. Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso”.
Abbiamo finito per trasformare i sentimenti in merci. Come possiamo ridare all’altro la sua unicità?
“Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l’opportunità di enormi profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento. L’amore richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l’altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l’amore. Non troveremo l’amore in un negozio. L’amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana”.
Forse accumuliamo relazioni per evitare i rischi dell’amore, come se la “quantità” ci rendesse immuni dell’esclusività dolorosa dei rapporti.
“È così. Quando ciò che ci circonda diventa incerto, l’illusione di avere tante “seconde scelte”, che ci ricompensino dalla sofferenza della precarietà, è invitante. Muoversi da un luogo all’altro (più promettente perché non ancora sperimentato) sembra più facile e allettante che impegnarsi in un lungo sforzo di riparazione delle imperfezioni della dimora attuale, per trasformarla in una vera e propria casa e non solo in un posto in cui vivere. “L’amore esclusivo” non è quasi mai esente da dolori e problemi – ma la gioia è nello sforzo comune per superarli”.
In un mondo pieno di tentazioni, possiamo resistere? E perché?
“È richiesta una volontà molto forte per resistere. Emmanuel Lévinas ha parlato della “tentazione della tentazione”. È lo stato dell'”essere tentati” ciò che in realtà desideriamo, non l’oggetto che la tentazione promette di consegnarci. Desideriamo quello stato, perché è un’apertura nella routine. Nel momento in cui siamo tentati ci sembra di essere liberi: stiamo già guardando oltre la routine, ma non abbiamo ancora ceduto alla tentazione, non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritorno. Un attimo più tardi, se cediamo, la libertà svanisce e viene sostituita da una nuova routine. La tentazione è un’imboscata nella quale tendiamo a cadere gioiosamente e volontariamente”.
Lei però scrive: “Nessuno può sperimentare due volte lo stesso amore e la stessa morte “. Ci si innamora una sola volta nella vita?

Roma20130428_0179 fb“Non esiste una regola. Il punto è che ogni singolo amore, come ogni morte, è unico. Per questa ragione, nessuno può “imparare ad amare”, come nessuno può “imparare a morire”. Benché molti di noi sognino di farlo e non manca chi provi a insegnarlo a pagamento”.
Nel ’68 si diceva: “Vogliamo tutto e subito”. Il nostro desiderio di appagamento immediato è anche figlio di quella stagione?
“Il 1968 potrebbe essere stato un punto d’inizio, ma la nostra dedizione alla gratificazione istantanea e senza legami è il prodotto del mercato, che ha saputo capitalizzare la nostra attitudine a vivere il presente”.
I “legami umani” in un mondo che consuma tutto sono un intralcio?
“Sono stati sostituiti dalle “connessioni”. Mentre i legami richiedono impegno, “connettere” e “disconnettere” è un gioco da bambini. Su Facebook si possono avere centinaia di amici muovendo un dito. Farsi degli amici offline è più complicato. Ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità. Ciò che si guadagna in facilità (scambiata per libertà) si perde in sicurezza”.
Lei e Janina avete mai attraversato una crisi?
“Come potrebbe essere diversamente? Ma fin dall’inizio abbiamo deciso che lo stare insieme, anche se difficile, è incomparabilmente meglio della sua alternativa. Una volta presa questa decisione, si guarda anche alla più terribile crisi coniugale come a una sfida da affrontare. L’esatto contrario della dichiarazione meno rischiosa: “Viviamo insieme e vediamo come va…”. In questo caso, anche un’incomprensione prende la dimensione di una catastrofe seguita dalla tentazione di porre termine alla storia, abbandonare l’oggetto difettoso, cercare soddisfazione da un’altra parte “.
Il vostro è stato un amore a prima vista?
“Sì, le feci una proposta di matrimonio e, nove giorni dopo il nostro primo incontro, lei accettò. Ma c’è voluto molto di più per far durare il nostro amore, e farlo crescere, per 62 anni”.”

Dall’hic et nunc al nowism

Mi piace leggere Zygmunt Bauman. In questo articolo di Dario Ronzoni per Linkiesta, per quanto breve, si possono trovare molti spunti di riflessione e la nuova declinazione dell’hic et nunc.

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“Sulla modernità, sulla vita online e offline, sull’impatto della tecnologia sulla vita dell’occidente, sui profughi, sulla globalizzazione, sul concetto di tempo, sulla fine degli stati sovrani. Zygmunt Bauman, ha un’opinione su tutto: a domanda, risponde. Il sociologo (uno dei più famosi e citati al mondo) è a Milano per partecipare al ciclo di incontri Meet the Media Guru, organizzato dalla Camera di Commercio di Milano. Il tema è la vita tra online e offline. Ma all’incontro con la stampa in mattinata parla anche di altro, cioè di quasi tutto il resto: passa senza problemi dalla finzione che tiene in piedi gli stati nazionali alle idiosincrasie della vita quotidiana, fino alle chat e le rotte dei migranti. Del resto, è l’uomo giusto per navigare a suo agio in questa modernità liquida (definizione sua e diventata subito celebre – e declinata in ogni modo). Forse non sempre in modo originale, ma senz’altro interessante.

E allora è vero che vivere connessi «impone un altro modo di vedere il tempo». In cui «tutto resta schiacciato nell’immediato». Si vuole «un caffè? Dev’essere istantaneo». La pazienza è scomparsa e a dominare l’epoca delle comunicazioni immediate è il qui e ora, «il nowism». Le conseguenze sono numerose. In primo luogo, scompare la pianificazione a lungo termine. Come applicazione e prima ancora, come concetto: non solo si dimentica l’attitudine su progetti di ampio respiro, ma la società stessa impone una flessibilità sull’immediato: tradotto, non vale più studiare a lungo per imparare un lavoro perché nel frattempo il lavoro stesso sarà cambiato, «e tutto quello che si è appreso sarà già obsoleto». Ma vivere connessi ha conseguenze anche sul piano della politica: la rete permette un livello di interazione «mai visto». Prima «occorreva passare attraverso giornali, ottenere notorietà lungo livelli istituzionali. Internet permette a tutti una visibilità indipendente e questo «lo rende l’elemento naturale della democrazia». Anche se sorvola sull’elemento Beppe Grillo e si concentra sulla natura stessa della politica, e del potere. E nota che «ormai le due cose sono separate – a meno che si resti in una scala locale. A livello globale lo stato nazionale sovrano è solo una finzione». Un’epoca finita: gli organismi politici che reggevano il novecento nella modernità liquida non hanno più senso. Anche perché, se «la politica è l’abilità di decidere le cose che devono essere fatte», in un mondo schiacciato sul presente ogni previsione è impossibile. E allora «la politica segue solo le richieste dell’elettorato, preoccupandosi solo di avere un’offerta adeguata ai desideri del pubblico». Senza una visione di lungo periodo.

«Adesso è un momento di interregno», in cui si registra un passaggio di poteri dalle forme tradizionali alla borsa, ci sono altre cose da imparare. Interrogato sulla strage di Lampedusa, Bauman ha ricordato che «anche il mondo dell’accoglienza è cambiato». Col tempo, si è modificato il pensiero con cui si considera lo straniero: «prima la politica era di assimilazione, adattamento, integrazione». Lo straniero, inserendosi nella nuova società imparava la lingua, i modi, imitava lo stile di vita. Smetteva cioè di essere straniero. «Ora è diverso: chi arriva mantiene salda la propria identità. E allora il destino sarà di vivere sempre accanto a uno straniero». Una condizione nuova e tutta da definire. Ma impossibile da programmare…”