La felicità del dono

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Dare voce agli studenti durante le lezioni… E loro, a commento del volontariato che fanno nel tempo libero, arricchiscono te e i compagni facendoti conoscere cose così: “La vera felicità del dono è tutta nell’immaginazione della felicità del destinatario”. (Theodor Adorno)

Grazie

Come?

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Vi segnalo l’ultimo post del prof. D’Avenia, di cui riporto questo estratto: “Come si fa, ragazzo, ragazza, a raggiungerti dove te ne stai rintanato? Come si fa a metterti sotto gli occhi quella bellezza unica e in costruzione che cerchi a tutti i costi di nascondere tanto fa male non esserle all’altezza? Come si fa a spiegarti che tra gli 80 miliardi di esseri umani che hanno calpestato il suolo non ce n’è uno o una come te? Come si fa a farti credere che sei la tua biografia, ma che sei sopratutto la tua autobiografia? Come posso io insegnante mostrarti sulla mappa geografica del desiderio che le terre di tua conquista sono ancora da scoprire? Come posso aiutarti a costruire il mezzo migliore per raggiungerle? Come faccio a sapere se sei fatto o fatta per una nave, per una bicicletta o per andare a piedi?”

Cosa si fa laggiù?

Sto leggendo “Margherita Dolcevita” di Stefano Benni e mi sono imbattuto in una pagina che mi ha fatto sorridere dolcemente, pensando al mio passato da studente e al mio presente da insegnante. Durante una lezione di matematica la prof. si accorge che in fondo alla classe ci sono chiacchiere e risate. Parte da qui la citazione di quella pagina:

“- Cosa si fa laggiù all’ultimo banco, si ride?

ridere scuola.jpgHa pronunciato “si ride” con un tono come se dicesse “si spaccia droga”, “si fabbricano bombe”.

Allora mi sono alzata e ho detto:

– Effettivamente, signora professoressa, stavamo ridendo in quanto ritenevamo buffo ciò di cui parlavamo, ma non c’era niente di oggettivamente malsano o criminoso nel nostro atteggiamento, io capisco bene che se ridessimo ininterrottamente per tutto l’orario scolastico ciò farebbe sospettare una nostra disattenzione, o spregio, o beata cretinaggine, ma ritengo che un po’ di umorismo anche in questa austera sede faccia bene allo spirito e, di riflesso, alla gioia dell’apprendimento. In quanto al rapporto fra riso e matematica….

Non mi ha fatto finire. Ha ringhiato: ”smetti-o-ti-do-due”, e per fortuna è suonata la campanella.

Ma insomma, ho pensato, quasi tutti i film e la tivù e i giochi per ragazzi ci invitano a ridere e stare allegri, così poi vediamo le puntate successive e compriamo i gadget. Però a scuola non possiamo ridere un minuto.

La morale è: non dobbiamo ridere quando siamo contenti noi, ma quando sono contenti loro.”

Un’anima che si sta ancora cercando

artista-del-giorno-il-talento-italiano-alessa-L-pDpq5b.jpegC’è un insegnante italiano diventato famoso per i libri che ha scritto. Molti studenti lo conoscono: è Alessandro D’Avenia. Sul suo blog sta trattando del talento presente all’interno di ciascuna persona, in particolare degli studenti che incontra. Spesso il talento è visto come qualcosa di nascosto che va fatto emergere e portato alla luce. In riferimento ai ragazzi che stanno terminando il percorso liceale e che quindi sono pronti a spiccare il volo verso nuovi lidi, afferma:

“Molti di loro sono più preoccupati di fallire che pieni di entusiasmo per l’inizio di qualcosa di nuovo. Tali sono le pressioni dell’ideologia stritolante del successo come riconoscimento della folla, che la paura finisce con l’offuscare la chiarezza della loro vocazione professionale che si è mostrata almeno parzialmente nel corso di 13 anni di scuola, dei quali ho assistito agli ultimi, i più importanti in questo senso. Devo sempre ricordare loro che il successo non è negli occhi degli altri, ma nell’essere se stessi. La scuola spesso allena a superare prove e non alla vita, a cui ci si allena solo con una progressiva conoscenza di se stessi (limiti e talenti) e scelte conseguenti. Shakespeare scriveva che “quando l’anima è pronta, allora le cose sono pronte”. La paura di ragazzi che non riescono a scegliere è frutto di un’anima che si sta ancora cercando, molti invece sono più sicuri della scelta e ne hanno sì paura, ma proprio perché è la sfida nuova della loro vita: riuscirò a realizzare il mio talento? L’anima è pronta, le cose a poco a poco, con sacrificio e passione, lo diventeranno.”

A questo punto, D’Avenia si rivolge ai colleghi insegnanti: “Potremmo provare a impostare il lavoro educativo in chiave di talenti invece che di pratiche di addestramento, necessarie sì, ma non sufficienti. Che me ne faccio di un ragazzo che sa affrontare un test e non sa neanche se quel test è quello che gli serve per realizzare la sua vocazione professionale e portare a compimento i germi di destino che ha intravisto negli anni di scuola?”

Una speciale normalità

Una mattinata di scuola. Studenti di prima che per dire cos’è l’amore fanno ascoltare ai compagni La cura di Battiato. Studenti di quinta che parlando di bene, male, Dio, destino e caso citano Schelling. Studenti di terza che ascoltano in silenzio assoluto il monologo finale di Novecento e il brano de Il grande inquisitore di Dostoevskij. Studenti di prima che propongono ai compagni una poesia di Prévert. Studenti di quarta curiosi delle quattro nobili verità… E dalle 8.00 alle 13.00 sento di fare uno dei mestieri più belli che ci siano… E non è un’eccezione, è la speciale normalità.

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Quell’aula semivuota…

Oggi, in una quinta, erano presenti, in tutto quattro alunni. La prima domanda che ho fatto a chi c’era è stata “Cosa avevate oggi? Compito? Interrogazione?”. Risposta: “No, oggi niente, ce li abbiamo i prossimi giorni”. La cosa era diversa da come mi ero immaginato: pensavo avessero voluto saltare qualche verifica, invece no. Oggi pomeriggio ci ho riflettuto sopra e i miei pensieri sono andati da A a Z. Sono partito da A, le parole di mio padre quando ero al liceo: “Te lo scordi di stare a casa per evitare una prova o per studiare. Andare a scuola è un po’ il tuo lavoro, resti a casa solo se stai male”. E’ con questo che sono cresciuto, col fatto di avere rispetto verso gli altri, che a scuola ci stavano andando, e verso me stesso: “è una questione di dignità” diceva scuola, insegnanti, insegnare, studenti, studiare, d'avenia, votosempre il papi. Poi i miei pensieri hanno fatto un ampio giro e sono finiti in Z: per tutto il periodo della scuola noi insegnanti diciamo continuamente “dovete studiare per voi stessi, non per il voto, ma per la vostra crescita, per la vostra cultura, per formarvi”. Peccato che poi, nei fatti, la maggior parte di noi disattenda queste parole. E il fatto che quasi un’intera classe preferisca stare a casa a studiare piuttosto che essere presente a una lezione la dice tutta. Il protagonista di “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di D’Avenia, a un certo punto dice: “Io non studiavo molto lo stesso, perché le cose le fai se ci credi. E mai un professore è riuscito a farmi credere che ne valeva la pena. E se non ci riesce uno che ci dedica la vita perché lo dovrei fare io?”.

E tra la A e la Z ci siamo in mezzo noi, studenti, insegnanti, famiglie e tutti coloro che fanno parte del nostro mondo, con i nostri piccoli desideri da crescere, custodire e magari realizzare. Ve ne svelo uno mio. Smentire un’altra frase di D’Avenia: “Tanto i compiti di religione non li fa nessuno. Nella vita serve solo ciò per cui ti danno un voto”. Ovviamente, voi che mi conoscete sapete che la frase che mi interessa è la seconda visto che di compiti non ve ne ho mai dati…