Gemma n° 1976

“Ho deciso di portare questa boccetta con dentro delle conchiglie. E’ un semplice ricordo di un anno trascorso in Emilia Romagna in terza media. E’ stato un anno piacevole, in cui ho conosciuto nuove persone e un ambiente nuovo. Una persona con cui avevo instaurato una bella amicizia mi ha lasciato questo ricordo raccogliendo semplicemente delle conchiglie dalla spiaggia del paese dove abitavo dicendomi “Le terrai sul comodino e penserai a me ogni tanto”. Un gesto d’affetto che ho pensato di condividere”.

Semplicità, bontà e verità sono le caratteristiche che, secondo Tolstoj, dovrebbero definire la grandezza. E la grandezza può rivelarsi anche nelle cose piccole, come quella raccontata da M. (classe quinta).

L’occhio che batte

A volte capita di imbattermi in citazioni di libri che poi sento l’esigenza di fare miei. E’ il caso di Danny l’eletto di Chaim Potok del 1967. Il passo che mi ha conquistato è questo:

“Gli esseri umani non vivono in perpetuo, Reuven. Viviamo meno di quanto dura un batter d’occhio, se si commisurano le nostre vite all’eternità. Può esser lecito chiedere qual è il valore della vita umana. C’è tanta sofferenza, in questo mondo. Che significa dover tanto soffrire se le nostre vite non sono nient’altro che un batter d’occhio?”
S’interruppe di nuovo, e aveva lo sguardo velato, adesso, poi riprese: “Reuven, ho imparato molto tempo fa che un batter d’occhio è nulla, di per se stesso. Ma l’occhio che batte, quello sì che è qualcosa. Lo spazio di una vita è nulla. Ma l’uomo che la vive, lui sì che è qualcosa. Lui può colmare di significato questo spazio minuscolo, cosicché la sua qualità sia incommensurabile, sebbene la quantità possa essere irrilevante. Comprendi quel che dico? L’uomo deve colmare la sua vita di significato, il significato non viene attribuito automaticamente alla vita. E’ un compito duro, bada, e questo non credo che tu lo comprenda, per ora. Una vita colma di significato è degna di riposo”.

Mi ha fatto venire in mente la differenza tra il sapere oggettivo e il sapere soggettivo: prendiamo ad esempio il morire. Sappiamo che la morte c’è, ce ne accorgiamo continuamente, basta ascoltare o leggere le notizie di ogni giorno. Ma saperlo soggettivamente, ossia farne esperienza quando ci tocca da vicino è tutt’altra cosa. Ecco allora un’altra citazione che utilizzo nelle classi quarte. E’ di Lev Tolstoj, da La morte di Ivan Il’ic:

“Caio è un uomo, gli uomini sono mortali, Caio è mortale”. Per tutta la vita gli era sembrato sempre giusto ma solo in relazione a Caio, non in relazione a se stesso. Un conto era l’uomo-Caio, l’uomo in generale, e allora quel sillogismo era perfettamente giusto; un conto era lui, che non era né Caio né l’uomo in generale, ma un essere particolarissimo completamente diverso da tutti gli altri esseri: era stato il piccolo Vanja, con la mamma e il papà, Mitja e Volodja, i giocattoli, il cocchiere, la governante, e poi Katen’ka, e tutte le gioie, le amarezze, gli entusiasmi dell’infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza.
Aveva mai sentito Caio l’odore del pallone di cuoio che il piccolo Vanja amava tanto? Aveva mai baciato la mano alla mamma, Caio, e aveva mai sentito frusciare le pieghe della seta del vestito della mamma, Caio? E Caio aveva mai strepitato tanto per avere i pasticcini quando andava a scuola? E Caio era mai stato innamorato? E Caio sapeva forse presiedere un’udienza in tribunale? Caio è mortale, certo, è giusto che muoia. Ma per me, per me, piccolo Vanja, per me, Ivan Il’ic, con tutti i miei sentimenti, i miei pensieri, per me è tutta un’altra cosa. Non può essere che mi tocchi morire. Sarebbe troppo orribile.”

Gemme n° 404

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Volevo portare una cosa che potesse rappresentare qualcosa della mia vita o della mia infanzia e allora ho pensato ai miei diari: anche se sembrano due libricini inutili, dentro sono racchiusi i momenti più belli dell’infanzia (e anche quelli brutti, in ogni caso significativi). Secondo me sono molto importanti perché capita di avere qualcosa da dire ma di non sapere con chi confidarsi: i diari ti aiutano a sentirti sollevato per aver esternato pensieri e sentimenti.

Inoltre ho voluto portare un video tratto da un videogioco: lo porto per il significato profondo che racchiude riguardo l’amicizia. Questo è il mio preferito per il percorso educativo mostrato. In particolare sono importanti le ultime parole: “non si è spento ma è morto”. Questa è stata la gemma di M. (classe seconda).
Ecco cosa scriveva Tolstoj a proposito del diario: “Sono due anni che non riprendo in mano il diario, e pensavo che non avrei più ripreso questa abitudine infantile. Ma non è una ragazzata, è dialogare con se stessi, con la parte vera, divina, che vive in ogni uomo.”

Gemme n° 269

eleonora

E. (classe seconda) ha presentato così la sua gemma: “Vi presento Eureka, la mia cavalla, anche se è da un po’ che non cavalco. Era anche una passione di mio nonno che in pratica non ho mai conosciuto, perché scomparso quando io ero molto piccola. E’ un modo per avvicinarmi a lui.”

Così dei cavalli parlava Lev Tolstoj: “Il cavallo possedeva al massimo una qualità che faceva dimenticare tutti i suoi difetti; aveva il “sangue”, sangue “che si fa sentire”, come dicono gli inglesi. I muscoli fortemente rilevati al di sotto della rete delle vene, distesi sotto la pelle sottile, mobile e liscia come raso, sembravano duri come ossa. La testa asciutta, con gli occhi in rilievo, luminosi e vivi, si allargava verso le froge prominenti dalle membrane iniettate di sangue all’interno. In tutta la linea della cavalla, e in particolare nella testa, c’era qualcosa di volitivo e nello stesso tempo di dolce. Era una di quelle bestie che sembra non parlino solo perché la conformazione della loro bocca non lo permette”.

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