Gemma n° 2110

“Per la gemma di quest’anno ho scelto un libro intitolato Siddharta, di Herman Hesse, che ho letto quest’estate. In generale, Hesse ama scrivere di grandi personaggi che nel corso della storia si imparano a conoscere e trovano se stessi, spesso senza farlo apposta. In particolare ho deciso di leggere uno dei passi più significativi, che secondo me riassume perfettamente tutto ciò che lo scrittore vuole comunicare tramite il suo breve romanzo. 
Siddharta si rivolge all’amico Govinda, parlando della ricerca e di come cercare non significhi sempre trovare.
Disse Siddharta: “Che cosa dovrei mai dirti, io, o venerabile? Forse questo, che tu cerchi troppo? Che tu non pervieni a trovare per il troppo cercare?”
“Come dunque?” Chiese Govinda.
“Quando qualcuno cerca,” rispose Siddharta, “allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori da quella che cerca, e che egli non riesca a trovare nulla, non possa assorbire nulla in sé, perché pensa sempre unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: esser libero, restare aperto, non avere scopo. Tu, venerabile, sei forse di fatto uno che cerca, poiché, perseguendo il tuo scopo, non vedi tante cose che ti stanno davanti agli occhi.”
Siamo talmente impegnati nella nostra estenuante ricerca che spesso, alla fine, rimaniamo a mani vuote, non perché non abbiamo trovato l’oggetto della ricerca, ma proprio perché non siamo stati abbastanza liberi e abbastanza aperti da lasciare che altre cose che ci sembravano meno importanti venissero a noi. Abbiamo gli occhi talmente puntati su una cosa sola, sullo scopo, sull’obiettivo, che il nostro sguardo non cade sul resto. Il “resto” non ci interessa, è sempre lì davanti agli occhi, pare scontato. Il punto è che spesso il “resto” ci sembra avere meno valore, crediamo che non ci possa dare quanto lo farebbe lo scopo della ricerca. Però nel “resto”, si può celare l’occasione della vita, un’esperienza indimenticabile, una persona che ci sappia voler del bene: il “resto”, a cui non diamo peso o valore, potrebbe essere anche l’obiettivo stesso.
Riconosco il fatto che il mio pensiero possa essere un concetto difficile da capire, ma a volte sono spaventata dal fatto di essere capace solamente di cercare e non di trovare” (E. classe terza).

Cercare, trovare, non trovare

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Mesi fa mi ero appuntato questa frase di Miguel de Unamuno: “Che m’importa che tu non legga, lettore, quel che ho voluto metterci, se vi leggi quel che ti accende di vita?”. Proprio ieri scrivevo dell’inatteso e del sorprendente che incrocio ogni nuovo anno scolastico e credo che la citazione che ho riportato calzi a pennello.
Ma… c’è un ma… ed è il rovescio della medaglia: cosa succede quando io non riesco a comunicare quello che vorrei e il lettore non vi legge quel che lo accende di vita? Trovo pace e serenità in una delle pagine più belle di Matteo: “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?”.
Mi metto il cuore in pace e interpreto le parole di de Unamuno in questo modo, dicendo a me stesso: fa’ il meglio che puoi, anche se il lettore potrebbe non trovare quel che cerca… Confida che lo trovi, magari altrove, ma che lo trovi.

Rabbi Bunam, i Metallica, Leopardi e Lucio Dalla

E’ venerdì, il mio giorno libero. Il sabato lavoro. Alle 8.00 ho messo il guinzaglio a Mou e siamo andati a fare una passeggiata nel fresco e nel chiarore della luce del mattino di questa bellissima giornata di inizio primavera. Nelle orecchie avevo una puntata di Uomini e profeti in cui il filosofo e psicanalista Romano Madera, ad un certo punto, cita un racconto di Martin Buber tratto da Il cammino dell’uomo:
Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia. Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l’ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripetè per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin li dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere: “E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch’io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l’altra metà Jekel!”. E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata “Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel”. “Ricordati bene di questa storia – aggiungeva allora Rabbi Bunam – e cogli il messaggio che ti rivolge: c’è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare”.
Ho tolto gli auricolari dalle orecchie perché percepivo che la memoria stava cercando di suggerirmi qualcosa, ma non riuscivo a darle ascolto. E poi è arrivato il flash! THROUGH THE NEVER! La canzone dei Metallica!

Quella canzone si apre con queste parole: “Tutto ciò che esiste, è esistito ed esisterà, l’universo è troppo grande per conoscerlo, tempo e spazio sono infiniti. Sorgono pensieri inquietanti, domande restano in sospeso, i limiti della comprensione umana”. E poi ancora: “Nell’oscurità, guarda oltre i nostri sguardi alla ricerca della verità non importa dove sia, fissando la brezza dei cieli alla ricerca del senso, della ragione, perché sia arrivato ad esistere, come sia cominciato”.
E così Martin Buber e James Hetfield hanno iniziato a dialogare nella mia mente: in questi giorni da molte riflessioni svolte nelle seconde e nelle quinte sono emersi molti interrogativi. Domande simili a quelle che si poneva pure Leopardi nel suo Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: “Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? dimmi: ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale?”.
Mi piace pensare che una possibile risposta sia insita nella domanda che un altro cantante si pone. Questa volta si tratta di Lucio Dalla e della sua canzone Le rondini (tra l’altro stanno per arrivare!): “Vorrei seguire ogni battito del mio cuore per capire cosa succede dentro e cos’è che lo muove, da dove viene ogni tanto questo strano dolore, vorrei capire insomma che cos’è l’amore, dov’è che si prende, dov’è che si dà”.

Appunto

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“La nostra speranza è che il nuovo assomigli a ciò che già conosciamo almeno quel tanto da poterlo comprendere. E questo sempre succede… Al contrario. Più scendiamo nell’infinitamente piccolo, meno comprendiamo. Ci sono dei fisici che hanno spinto la loro sottile analisi delle cose tanto in là da perdersi in un mondo in cui la stessa, vecchia Casualità non li seguiva più… Che fare, in un ordine di grandezza dove non si pone più il problema delle immagini?… Se le cose hanno un fondo, questo fondo non assomiglia a nulla… La similitudine sparisce… La profondità è insignificante. Ma quanto è curioso questo ricercare, nell’estrema divisione, la chiave dei problemi del nostro ordine!…”

Paul Valéry, L’idea fissa

Cerca l’acqua

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C’è un pezzo di deserto, tutto sabbia e morte, tutt’al più qualche spino. Gli uomini vogliono trasformare il deserto in un’oasi verdeggiante. Incominciano a lavorare. Si fanno strade, stradette, canali, ponti, case, ecc. ecc. Non cambia nulla: tutto rimane deserto. Manca l’elemento base: l’acqua. Allora chi ha capito (è strano che si capisca bene nel mondo fisico e poco bene in quello soprannaturale) incomincia non a lavorare in superficie, ma si mette a scavare in profondità. Cerca l’acqua. Fa un pozzo, la fecondità dell’oasi non dipenderà dai canali fatti, dalle strade, dalle case, ma da quel pozzo. Se sgorgherà l’acqua tutto si vivificherà, se no niente”. (Carlo Carretto)

Chi cerca cosa trova?

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Quelle volte in cui ti viene alla mente la bella frase di un libro e svuoti la libreria a furia di cercarla e mano a mano che vai avanti e sfogli pagine e pagine sei costretto a fermarti perché ne leggi altre belle di frasi… Fino a che ti blocchi: “cosa sto cercando?”. Scrive Roberto Cotroneo: “Perché cercare e trovare non sono due verbi simili, sono due verbi lontanissimi tra loro. Trovare quel che si cerca è un processo logico e fortunato. Trovare quel che non si è cercato è passare da un universo a un altro, attraversando la forza oscura dell’universo.”