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anche dopo l'ora di religione

Mese: luglio 2016

Pubblicato in: Bibbia e Spiritualità, Filosofia e teologia, opinioni, Pensatoio, Scienze e tecnologia, Scuola, Società, Storia

Complessità versus fondamentalismi

Pubblicato il 1 luglio 2016 da Simone Del Mondo

Lavoro-interdisciplinare

Giulio Bertoli è nato a Firenze nel 1989. Nel 2015 si laurea in fisica teorica ad Amsterdam. Attualmente vive a Parigi dove fa un dottorato in gas quantistici disordinati ultrafreddi. Si interessa di teoria della complessità, sul ruolo della contingenza nella conoscenza scientifica e sull’interdisciplinarietà. Nel 2015 ha tenuto una lezione di filosofia della scienza all’Università di Bergamo. Su “L’Indiscreto” è stato pubblicato questo articolo molto interessante (da lì ho anche preso le note biografiche sovrastanti).
“Il fondamentalismo religioso è indubbiamente uno dei temi più caldi nel mondo occidentale. È intimamente connesso all’emergenza sociopolitica dei migranti, solleva dibattiti legati al controllo statale e alla libertà del cittadino, si lega allo spettro inconscio del rifiuto della diversità. La società occidentale si propone come baluardo della lotta al fondamentalismo (islamico) e fa di questa battaglia uno dei suoi obiettivi primari, sotto la bandiera dei valori liberali, ma un altro tipo di integralismo imperversa nei meandri del suddetto liberalismo, imperturbato se non inconsapevolmente lodato, meno esplicito ma altrettanto pericoloso, forse proprio per la sua capacità di nascondersi nelle pieghe del discorso: lo scientismo.
A onor del vero, da molto tempo suonano dei campanelli di allarme: già il vecchio Popper se ne lamentava, quando non parlava di tacchini. Ma il problema non è soltanto lo scientismo accademico o dei corsi di filosofia, che lo interpretano come una moda passeggera, parto dell’onda meccanicista di fine ottocento. Lo scientismo è più che mai esteso e attuale. Benché ormai studiosi e scienziati diano per assodato che l’autosufficienza scientifica sia un mito, infatti, il ritratto pubblico della scienza è oltre il più sfrenato positivismo. Si parla di particelle di Dio, di manipolazione del genoma umano, del provato scientificamente come garanzia della certezza assoluta. Ciò che si nasconde dietro a tutto ciò è il sogno infantile del riduzionismo: l’idea che debba esistere un qualche codice, uno schema, qualcosa di semplice dietro alla complessità che ci avvolge. E che questo codice sia in un certo senso ottenibile, se non direttamente per lo meno in maniera asintotica, riducendo il tutto in parti costituenti e carpendone il funzionamento. Siamo così immersi nel mito popolare di un Dio onnisciente e assoluto, talmente divorati dal tentativo di emularlo che perdiamo di vista una delle cose che ha fatto la scienza: distruggerlo.
Il riduzionismo, è vero, ha portato a grandi trionfi scientifici. D’altro canto uno dei suoi più grandi limiti è stato di non considerare tutto quel che rimaneva fuori dalla sua (per altro esigua) sfera di applicabilità, e, almeno fino agli anni sessanta del secolo scorso, guardare dall’altra parte, concentrandosi soltanto sui suoi successi. La selezione artificiosa dell’oggetto scientifico, però, preclude una visione globale del mondo e ha in effetti contribuito a creare un’immagine che ancora persiste, seppure sia enormemente fuorviante, ovvero che tutte le cose accadano in maniera riduzionistica.
Il bias è talmente forte che persino nella prima teoria scientifica che è andata oltre questo modus operandi, ovvero la teoria del caos, abbiamo sviluppato una fallacia riduzionista. Ci viene detto che il battito d’ali di una farfalla in Brasile può scatenare un uragano in Giappone, ma mentre il significato della teoria è che il sistema è fortemente sensibile alle condizioni iniziali e che il loro minimo cambiamento invalida ogni meccanismo di previsione, ciò che passa al pubblico è l’idea di poter ricollegare cause ed effetti fino al più piccolo particolare in una simmetria temporale. È proprio sulla nozione di simmetria che si basa il riduzionismo: l’abilità di ridurre tutto a delle leggi fondamentali, obbedite dalle parti costituenti, e che la comprensione di tali leggi implica la possibilità di ricostruire il tutto. Ma ciò è ben lontano dalla realtà: fenomeni emergenti, sistemi complessi, rotture di simmetria sono esempi di come la struttura riduzionista ci abbia illuso fino a farci dimenticare che la previsione è un lusso applicabile solo in pochissimi frangenti.
Un altro fatto spesso tralasciato è che, dato quest’imprinting simmetrico, ci fidiamo altrettanto ciecamente dell’estrapolazione di dati. Niente in realtà crea più confusione: può anche darsi, infatti, che il famoso battito d’ali causi un uragano, ma ovviamente l’osservazione di un uragano non potrà dirci niente su ciò che l’abbia causato. Con che coraggio, inoltre, si creano previsioni “scientifiche” sulla base di modelli che si rifanno su dati già ottenuti di sistemi complessi (vedi in economia)? Purtroppo “provato scientificamente” ed “elimina il tuo senso critico” stanno diventando pericolosi sinonimi, in cui il bisogno di completezza si sfoga del vuoto lasciato dalla religione e si appiglia a un nuovo Dio tecnologico.
Che dire quindi delle “leggi di natura”? Potremmo cominciare a vederle senza la rigidità che contraddistingue la dogmatica impostazione dell’asintoto, dell’avvicinamento a un ideale assoluto figlio dell’Iperuranio. Le nostre leggi stanno diventando asimmetriche nello spaziotempo: la nascita della vita stessa è vista come un fenomeno emergente, così come sciami, stormi e altri sistemi complessi ci stanno insegnando che, in ogni caso, le leggi e regolarità che governano i sistemi non ci danno la possibilità di controllarli e men che mai di prevederne l’andamento. Spesso l’approccio alla scienza è paradossale: da un lato viene considerata legittimante, dall’altro è criticata a priori, o si percepisce nei suoi confronti una certa diffidenza. Spesso questi atteggiamenti coesistono. La confusione, senza considerare fattori come la politicizzazione e la democratizzazione dell’informazione scientifica, è generata dall’ascrivere “poteri” al metodo scientifico riduzionista che semplicemente non sono rappresentativi della realtà: si potrebbe arrivare a dire che la fede nel metodo scientifico (riduzionista) è totalmente non-scientifica.
La biologia potrebbe insegnarci qualcosa al riguardo. Interessante in questo senso è l’apporto degli studi sull’evoluzione, dove l’ambiente esterno gioca un ruolo fondamentale. L’idea di un ambiente esterno “inesorabile” prende probabilmente forma dal modo in cui viene considerato in fisica statistica, ovvero come serbatoio termico infinito. In biologia, l’assunto diviene quello di ambiente come infinito interrogatore, invece che serbatoio; questa visione può essere superata se si considera la relazione ambiente-soggetto non come causa-effetto ma come un dialogo. L’importante è considerare l’evoluzione nel tempo, dove gli eventi per via della loro unicità e irripetibilità sono significativi e necessari ma non sufficienti e inevitabili. In altre parole, ciò che osserviamo è compatibile con le leggi di natura che deriviamo, ma non è in alcun modo deducibile. La vita stessa non è un fenomeno inevitabile e necessario, e neppure l’esistenza di Jacques Monod.
È innegabile che la scienza occupi un posto dominante nella nostra vita, soprattutto nel rapporto uomo-natura che ha contribuito a creare con la tecnologia. Tale rapporto si profila come uno dei temi più importanti (se non il più importante) del secolo che stiamo vivendo. Una maggiore consapevolezza del ruolo dell’indeterminatezza in questo rapporto ci farebbe sicuramente vedere tutto in una nuova luce: quella di sistemi complessi visti non più nella maniera riduzionistica del “complicato” e quindi non interessante, ma nel loro significato originale della parola: cum-plexus, intrecciato assieme.
L’educazione scolastica in questo senso ci insegna a separare le materie dalle altre, oggetti e soggetti dall’ambiente, le scienze dalle arti, o a vedere la storia come una dispiegamento lineare di cause ed effetti; ma non ci insegna ad intrecciare, collegare, cum-plectere. Per poter cominciare a risanare il nostro rapporto con la natura abbiamo bisogno di ricomporre la realtà che noi stessi abbiamo ridotto a scompartimenti e frammenti, credendo sconsideratamente in questo modo di poter prevedere le conseguenze. La scienza si trova a un bivio, verso uno sfrenato fondamentalismo o la rivoluzione. Speriamo che Khun almeno su qualcosa avesse ragione.”

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