12 cenacoli


Da La Lettura di domenica 25 marzo. I testi sono di Lauretta Colonnelli.

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Codex Purpureus, Museo Diocesano, Rossano Calabro, Ultima cena https://www.cittadellaeditrice.com/munera/nuova-teologia-eucaristica-1-corpo-pasto-e-eros-di-manuel-belli/

Forse è la più antica, ma non si sa da dove proviene, l’Ultima Cena del Codex Purpureus, un evangeliario greco miniato oggi conservato nel Museo diocesano di Rossano Calabro, Cosenza. Dei 400 fogli originali, in pergamena tinta di porpora, ne restano 188. Contengono l’intero Vangelo di Matteo e quasi tutto quello di Marco, con caratteri in oro e argento. Delle quindici miniature, una dozzina raffigura la vita di Cristo. Tra queste compare l’Ultima Cena. L’ipotesi oggi più accreditata dagli studiosi è che il Codex Purpureus sia stato creato tra il IV e il VII secolo in Siria, forse ad Antiochia, e portato in Calabria durante l’ondata migratoria dei monaci grecoorientali in fuga dal primo iconoclasmo bizantino.

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Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna, Ultima cena https://www.geometriefluide.com/foto/PIC97O.jpg

Siedono molto stretti gli apostoli al tavolo nel mosaico di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna. L’anomalia si spiega col fatto che la Cena si svolge attorno a uno stibadium, la mensa usata dagli antichi romani in alternativa al triclinio. Anziché tre letti intorno a una tavola quadrata, come accadeva nel triclinio, lo stibadium aveva tavola e letto a forma di un arco di cerchio: benché a rigore potesse ospitare fino a nove persone, di solito non ne accoglieva più di sette od otto, figuriamoci tredici. Se gli invitati erano più di nove bisognava disporre altri stibadia. Cristo e Giuda sono seduti alle due estremità, occupate, anche tra i Romani, dagli ospiti più importanti. L’immagine ravennate (sotto) è tra le più antiche raffigurazioni (V-VI sec.) del banchetto pasquale di Gesù, insieme a quelle del Codex Purpureus di Rossano Calabro (Cs), del Dittico delle cinque parti nel Museo del Duomo di Milano, della Pala d’oro che rifulge dietro l’altare maggiore nella basilica di San Marco di Venezia.

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Duomo di Modena, Ultima cena https://www.geometriefluide.com/foto/PIC97O.jpg

Verso la fine del 1100 apparvero Cenacoli con i commensali in piedi. Un esempio straordinario si trova nel Duomo di Modena, dove l’Ultima cena è scolpita nel marmo del pontile che separa la navata centrale dal presbiterio rialzato (sotto). La realizzarono, tra il 1209 ed il 1225, i maestri campionesi, che erano scesi dalla zona dei laghi lombardi, guidati da Anselmo da Campione, per lavorare in varie regioni della penisola. Gli apostoli qui sono in piedi su un solo lato della lunga tavola coperta da una candida tovaglia a pieghe. Gesù è al centro tra di loro e sporge il braccio, passandolo sopra Giovanni che dorme con il capo reclinato sul suo petto, per offrire a Giuda il famoso boccone rivelatore del tradimento. Soltanto Simone Zelota, che chiude la tavolata sul lato corto di destra, è seduto su uno scranno con braccioli, all’uso germanico: lo identifichiamo perché il suo nome è scritto in alto, come i nomi degli altri apostoli che segnano i rispettivi posti.

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Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova, Ultima Cena https://it.wikipedia.org/wiki/Ultima_Cena_(Giotto)

Una piccola stanza. Gesù e gli apostoli siedono stretti l’uno all’altro sulle due banche ai lati lunghi del tavolo. Dalle quattro finestre, mezze chiuse da imposte di legno, filtra un chiarore azzurro luminosissimo, come al tramonto o all’alba, quando il sole è appena sotto l’orizzonte. Al tramonto di una sera di primavera con la luna piena Gesù cenò con i suoi. La stessa ora in cui cenavano i Romani, che all’epoca occupavano la Giudea. Giotto, nella Cappella degli Scrovegni a Padova ha riprodotto esattamente quell’ora e quella luce. E ha dipinto di giallo il vestito di Giuda, come quasi tutti i pittori dei cenacoli, perché nel Medioevo il giallo, soprattutto quello bilioso tendente al verde, era simbolo dello zolfo infernale, del tradimento, dell’oro falso che ha perduto il suo splendore e diventa inganno. Con i secoli hanno perduto l’oro anche le aureole degli Apostoli raffigurati da Giotto: in origine l’unica aureola nera era quella che incorniciava il capo di Giuda.

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Pietro Lorenzetti, Basilica Inferiore di San Francesco, Assisi, Ultima cena https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pietro_lorenzetti,_ultima_cena,_assisi_basilica_inferiore,_1310-1320.jpg

L’Ultima Cena dipinta nel 300 da Pietro Lorenzetti sui muri della Basilica inferiore di San Francesco d’Assisi è una delle pochissime che, accanto alla stanza dove Gesù è seduto a tavola insieme agli apostoli, mostra anche la cucina. A sinistra del cenacolo, divisa da una parete, c’è la stanza col focolare acceso. Davanti al fuoco, un inserviente che pulisci piatti con un canovaccio, un cane che mangia gli avanzi, un gatto che sonnecchia. Sullo sfondo la credenza con le stoviglie. Dietro il garzone, un uomo in piedi indica col pollice sinistro i commensali, come a dire di accelerare il servizio. Due servitori, che dai vestiti simili a quelli degli Apostoli devono essere di rango superiore, discutono in piedi nel vano della porta che mette in comunicazione i due locali. Anche i gatti in cucina sono una novità. Nell’iconografia del cenacolo, si trovano quasi sempre ai piedi della tavola, accanto a Giuda, in quanto simbolo di tradimento, lussuria, demonio.

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Ghirlandaio, Convento di San Marco, Firenze, Cenacolo https://it.wikipedia.org/wiki/Cenacolo_di_San_Marco

In una decina di anni, tra il 1476 e il 1486, Domenico Bigordi detto Ghirlandaio dipinse tre cenacoli: nel convento di Badia a Passignano e in quelli fiorentini di Ognissanti e di San Marco. Fu uno dei primi artisti a riprodurre la trasparenza delle stoviglie in cristallino, che cominciavano ad arrivare dai vetrai della Valdelsa. La esaltò con tocchi di bianco, facendo intravedere gli oggetti collocati i bicchieri e bottiglie e copiando i riflessi220px-Ghirlandaio,_ultima_cena_di_san_marco,_dettaglio_02 della luce sulle pareti sottili. Le tovaglie dei cenacoli fiorentini sono cosparse di ciliegie: 37 a Ognissanti, 61 a San Marco. A Passignano, nessuna. Forse a causa della lite con i frati vallombrosani che, secondo il racconto del Vasari, trattavano il pittore e i suoi aiutanti non come artisti, ma come manovali, servendo loro scodelle di minestra e “tortacce da manigoldi”. Vennero alle mani. E pareva che “‘l monistero rovinasse”. Domenico e i suoi, per andarsene al più presto, avevano apparecchiato la tavola di Gesù nella maniera più sbrigativa.

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Baschenis, Chiesa si Santo Stefano, Carisolo, Ultima Cena http://www.ilpuntosulmistero.it/chi-e-il-13-apostolo-di-s-stefano-di-carisolo-in-trentino-un-nuovo-articolo-di-franco-manfredi/

Una tovaglia invasa dai gamberi: si trova nella chiesa di Santo Stefano a Carisolo, in provincia di Trento, affrescata nel 500 dai pittori della famiglia Baschenis, di origine bergamasca ma attivi nelle valli sotto le Alpi, dal lago Maggiore al Piave. I Baschenis, che si trasmettevano il mestiere di padre in figlio, dipinsero per anni, in oltre 150 chiesette di questi territori, cenacoli con gamberi di fiume. I gamberi di fiume erano uno dei piatti più frequenti in tempo di quaresima. Per il rinnovo periodico del carapace, la corazza esterna che cotta diventa rossa, erano simbolo di morte e risurrezione. Poiché camminano a ritroso, deviando dalla retta via, erano anche simbolo di eresia: rappresentavano il dissenso teologico sulla presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nelle forme del pane e del vino, codificato dalla dottrina protestante. Alcuni studiosi collegano la presenza dei gamberi, cibo impuro per gli ebrei, alla propaganda antiebraica molto attiva in quegli anni.

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Cosimo Rosselli, Cappella Sistina, Roma, Ultima Cena, https://it.wikipedia.org/wiki/Ultima_Cena_(Rosselli)

Tra i pittori chiamati nel 1480 da Sisto IV ad affrescare le pareti laterali della Sistina, c’era Cosimo Rosselli, definito dal Vasari “non però eccellente e raro”. Insomma non all’altezza di artisti come il Ghirlandaio, il Perugino, Sandro Botticelli, Luca Signorelli, che lo affiancavano nell’impresa di raccontare con i colori le storie di Cristo e di Mosè. Proprio a Cosimo toccò la scena dell’Ultima Cena. I colleghi-avversari lo prendevano in giro perché non era capace di disegnare correttamente l’’anatomia dei personaggi. Suppliva a questa mancanza con l’uso abbondante dell’oro, l’applicazione sapiente dei pigmenti, la meticolosità nel riprodurre certi particolari come la trama a losanghe della tovaglia. Il papa aveva promesso un premio, oltre il pagamento, al pittore che a suo giudizio avesse lavorato meglio. Con stupore di tutti, dichiarò vincitore Rosselli perché “con molto oro illuminò la storia”. E ingiunse agli altri, loro malgrado, di aggiungere quell’oro, giudicato ormai arcaico, anche ai loro affreschi.

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Girolamo Romanino, Duomo di Montichiari, Ultima Cena https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ultima_Cena_(Romanino)_-_Duomo_S._Maria_Assunta_-_Montichiari_(ph_Luca_Giarelli).JPG

Girolamo Romanino, nella pala d’altare del Duomo di Montichiari, in provincia di Brescia, illustrò le buone maniere da seguire a tavola. siamo nel 1542. I due Apostoli seduti in primo piano e quello in piedi accanto a Pietro hanno dispiegato il tovagliolo sulla spalla sinistra. Un dettaglio curioso e insolito nei dipinti del 500. In realtà una finezza da galateo, raccomandata una decina di anni prima da Erasmo da Rotterdam nel De civilitate morum puerilium, dove si prescrive: “se ti viene dato un tovagliolo, devi poggiarlo sull’omero o sul braccio sinistro”. Il filosofo raccomanda inoltre di tenere puliti cucchiaio e coltello, mentre a chi non era dotato di posate suggerisce di mangiare facendo uso di tre dita soltanto, che non andranno leccate o pulite sul vestito. Deplora l’abitudine di offrire a un altro commensale bocconi già masticati, l’usanza di grattarsi, il giocare con il coltello e l’usarlo per pulirsi le unghie.

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Paolo Veronese, Galleria dell’Accademia di Venezia, Convito in casa di Levi https://it.wikipedia.org/wiki/Cena_a_casa_di_Levi

Il telero con l’ultima cena, sei metri per tredici, oggi alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, fu commissionato a Paolo Veronese da frate Andrea de’ Buoni per il convento dei Santi Giovanni e Paolo. L’artista consegnò il dipinto il 20 aprile 1573; il 18 luglio  fu convocato dal Tribunale dell’Inquisizione. L’accusa: interpretazione poco rispettosa del racconto evangelico. Gli veniva contestata la tavola imbandita, che riflette la magnificenza dei banchetti offerti dai signori del Rinascimento. E poi i cani, un piccolo moro che accarezza un pappagallo sul braccio di un nano, un servo a cui esce il sangue dal naso, un commensale che si pulisce i denti con la forchetta. Veronese si difese citando Michelangelo, che nella cappella Sistina “con poca riverenza” aveva dipinto nuda tutta la corte celeste. Gli fu ordinato di correggere il quadro entro tre mesi, a proprie spese. Risolse il problema cambiando il titolo, e scrivendolo a grandi lettere sulla cornice dei pilastri, Convito in casa di Levi.

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Salvador Dalì, National Gallery, Washington, Ultima Cena https://it.wikipedia.org/wiki/Ultima_Cena_(Dal%C3%AD)

Sembra un astronave quella in cui Salvador Dalì ambientò nel 1955 la sua Ultima Cena, oggi alla National Gallery di Washington. In realtà si tratta di un dodecaedro, solido geometrico che secondo Platone simboleggia la perfezione dell’universo, perché le 12 facce rimandano alle 12 costellazioni dello Zodiaco e perché contiene in maniera naturale gli altri quattro soldi, che erano associati ai quattro elementi. Secondo il filosofo greco, nel dodecaedro sono infatti compresi il tetraedro che generò il fuoco, l’ootaedro che generò l’aria, l’icosaedro che generò l’acqua, il cubo che generò la terra. In Dalì le 12 facce del solido corrispondono ai 12 apostoli, i cui volti non si vedono, perché chini in preghiera. Soltanto il volto di Gesù è visibile e ricalca le sembianze del viso di Gala, la moglie-musa di Dalì, da lui ritratta infinite volte. Per avere osato sovrapporla a Cristo fu accusato da molti di blasfemia. Il paesaggio sullo sfondo è lo stesso che il pittore catalano vedeva dalla finestra di casa sua, affacciata sulla baia di Port Lligat.

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Andy Warhol, Collezione privata, Sixty Last Supper http://www.museodelnovecento.org/it/mostra/andy-warhol-sixty-last-suppers

Andy Warhol conservava sul comodino una cartolina con il Cenacolo vinciano, che gli aveva regalato la madre quando era bambino. Ma soltanto due anni prima di morire cominciò a lavorare alle sue Last Supper. Giovedì 25 Aprile 1985 scrisse nei diari: “Sto cercando di trovare un altro negozio dove vendano la scultura de L’Ultima Cena, quella di circa 45 centimetri la vendono in uno dei negozi importanti della Fifth Avenue, vicino al Lord & Taylor, chiedono molto, circa $2500. Così sto cercando di trovarla a buon mercato in Times Square”. Il modellino che Warhol cercava fu ritrovato nel suo studio dopo la morte: misurava 10,8 cm x 8,6. Lo riprodusse in una serie di polaroid in bianco e nero, che trasferì in sequenza nelle serigrafie delle grandi Last Supper. La Sixty Last Supper (60 volte l’originale di Leonardo), è stata venduta nel novembre 2017 da Christie’s New York (dopo essere passata dal Museo del Novecento di Milano) per 60.875.000 dollari.

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