Nascite, matrimoni e funerali: ecco gli hassidici d’Israele

Un articolo molto interessante con belle foto su uno degli argomenti che abbiamo toccato alla fine dell’anno: l’ebraismo hassidico.

Avatar di leonardberberiFalafel cafè

Pidyon Haben (riscatto del figlio primogenito) di una delle famiglie hassidiche, 2013 (foto di Pavel Wolberg) Pidyon Haben (“Riscatto del figlio primogenito”) di una delle famiglie hassidiche, 2013 (foto di Pavel Wolberg)

«La verità è che non sai mai quando puoi farle le foto. Se a loro va tu riesci a portare a casa qualche scatto. Se a loro non va, ti prendono a calci, fino a cacciarti dal posto che ti interessava immortalare». Pavel Wolberg è un fotografo particolare: non segue molto le frizioni israelo-palestinesi. Gli interessa infilarsi nei posti meno accessibili dello Stato ebraico: la comunità hassidica.

Funerale nel quartiere ultraortodosso di Mea Shearim, Gerusalemme, 2011 (foto di Pavel Wolberg) Funerale nel quartiere ultraortodosso di Mea Shearim, Gerusalemme, 2011 (foto di Pavel Wolberg)

Nato nella russa Leningrado (oggi San Pietroburgo) nel 1966, Wolberg vive e lavora a Tel Aviv. Ha iniziato a fare il freelance nel 1999. E da allora, a due passi da casa sua – nel quartiere-città di Bnei Brak – ha iniziato i suoi primi scatti all’interno degli ebrei ultraortodossi. Da lì si…

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Siamo tutti scheggiati e feriti

Ennesimo bel pezzo di Roberto Cotroneo

Un pomeriggio di imprecazioni

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Ci sono delle volte in cui mi arrabbio. E la risposta, come quasi sempre accade per i calmi, è radicale. Oggi pomeriggio sono venuto a sapere, a seguito di una chiamata al 187 da parte mia, che, avendo disdetto il contratto adsl di Alice (per eccessiva lentezza nel paese in cui vivo e le continue interruzioni di servizio), a breve mi sarà disattivato l’account di posta elettronica, il principale che utilizzo… La gentile operatrice mi ha informato “Avvisiamo sempre i clienti di utilizzare questa mail solo per l’iscrizione e null’altro”. Al che le ho chiesto per quale motivo allora mettano a disposizione giga di spazio agli utenti… Ho condotto una ricerca su internet e ho trovato di tutto, da chi non ha avuto alcun inconveniente a chi si è visto chiudere l’account senza preavviso. Sta di fatto che la mia preoccupazione principale è stata per questo blog, per gestire il quale accedo tramite indirizzo mail di alice. Ed ecco la scelta radicale: ho ripreso in mano un vecchio account gmail, ho esportato il blog http://oradireli.myblog.it e l’ho importato su https://oradireli.wordpress.com
Mi sto dando da fare per affinare le ultime cose, ma sono a buon punto. Devo confessare che, al momento, sono più i vantaggi che gli svantaggi. Staremo a vedere… Certo è che il prossimo passaggio sarà la disattivazione completa dell’utenza domestica Telecom.

Gente sfumata

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A proposito dell’ultimo post sul vivere le relazioni fino in fondo assumendosene il rischio, aggiungo le parole di un libro che ho finito di leggere da poco. Quando leggo mi appunto sulla prima pagina interna del libro il numero di facciata dove ho fatto un segno di matita su un passo che mi ha colpito. Poi ricopio il passo su un quadernetto dove numero le citazioni. La numero 1524 è presa da “Una certa idea di mondo” di Alessandro Baricco, che a pag. 165 scrive: “… siamo goffi al cospetto della felicità, e dignitosi nelle avversità: così manchiamo lo spettacolo della vita spesso, ma ne rispettiamo la dignità come pochi altri. Ciò fa di noi gente sfumata, spesso destinata ai titoli di coda.”

Sicuro, ma freddo

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In prima mi capita di raccontare la storia di Mister Gustavson di Leo Buscaglia, un uomo che passa la vita chiuso in una noce di cocco nella speranza che qualcuno lo trovi; muore lì dentro senza poter raccontare di un cugino che vive in una ghianda. Ne avevo scritto anche il 23 gennaio. L’argomento? Il mettersi in gioco nelle relazioni, il rischiarsi. Oggi aggiungo una paginetta di Alessandro D’avenia presa da “Cose che nessuno sa”:

“Qualunque sia la cosa che ti è cara, il tuo cuore prima o poi dovrà soffrire per quella cosa, magari anche spezzarsi. Vuoi startene al sicuro? Vuoi una vita tranquilla come tutti gli altri? Vuoi che il tuo cuore rimanga intatto? Non darlo a nessuno! Nemmeno a un cane, o a un gatto, o a un pesce rosso. Proteggilo, avvolgilo di passatempi e piccoli piaceri… Evita ogni tipo di coinvolgimento, chiudilo con mille lucchetti, riempilo di conservanti e mettilo nel freezer: stai sicuro che non si spazzerà… Diventerà infrangibile e impenetrabile. Sai come si chiama questo, Giulio?” chiese Filippo, che si era infervorato nel parlare. Gli era spuntata una vena nella fronte.

Giulio scosse la testa. Voleva sentire il seguito.

“Inferno. Ed è già qui: un posto dove il cuore è totalmente ghiacciato. Sicuro, ma freddo. Là fuori è pieno di queste persone. Glielo leggi in faccia che hanno il cuore freddo: per paura, per mancanza di fame, per pigrizia. Tu non sei così Giulio. Questo ti salva, anche se fai delle gran cavolate… Perché c’è modo e modo di tirare i rigori!”

Lo spirito di domanda

41W7yQLm5zL._SL500_AA300_.jpgSull’onda del post precedente ecco che mi imbatto in queste parole di Paolo De Benedetti nel libro Quale Dio? Una domanda dalla storia:

“Dopo Auschwitz (perché è stata la Shoà a far “ricominciare” la teologia, come afferma Johann B. Metz), la domanda sul male ha assunto molte voci, secondo il credere o il non credere degli interroganti: c’è chi, come Elie Wiesel, si è chiesto dov’era Dio, e chi come Primo Levi, dov’era l’uomo. Se la spiegazione è forse in quel volto divino dal quale la morte ci separa, non per questo Dio ci ha liberati dalla domanda: anzi, vien quasi da pensare che quell’alito insufflato nel primo uomo altro non sia che lo spirito di domanda. E tuttavia non c’è dubbio che anche nelle domande più “aperte”, cioè senza risposta, c’è un progresso rispetto alle certezze precedenti. Soprattutto se si va oltre l’abbaglio di una terminologia ingannevole e di una retorica devota.”

nuovo inizio

benvenuti! partite da qui per scrivere quello che volete…

E l’Armenia?

48b2fbbd97bf77beb1a321911a28d589.jpgSi celebra oggi 24 aprile 2008, la 93esima “Giornata della memoria del popolo armeno” per ricordare il “Metz Yeghern” , lo sterminio di un milione e mezzo di armeni ad opera dei “Giovani turchi”, a partire proprio dal 24 aprile del 1915. La Comunità Armena italiana ha già lanciato in questi giorni una campagna di sensibilizzazione dal titolo “Una tragedia che non ha parole”.

Si legge nel comunicato che “Il Consiglio per la comunità armena di Roma, sempre attento, vigile e sensibile alla salvaguardia della memoria del Metz Yeghern (Grande Male) e avverso ad ogni sorta di negazionismo, vuole sensibilizzare l’opinione pubblica ed in particolare le giovani generazioni perché tragedie simili non accadano mai più e affinché la memoria di un milione e mezzo di armeni non sia calpestata in nome di biechi interessi politici od economici”.

Ecstasy

Visto che ne stiamo parlando in II …

 

 

Droghe: 19enne uccisa dall’ecstasy, arrestato lo spacciatore

(Il Giorno, 16 aprile 2008) Sono state due pasticche di ecstasy acquistate in discoteca da un ventitreenne di Lecco a uccidere Kristel Marcarini, la 19enne di Clusone (BG) morta ieri mattina agli Ospedali Riuniti di Bergamo dopo due giorni di coma. In serata i carabinieri della compagnia di Clusone hanno eseguito un decreto di fermo a carico del giovane, M.P., 23 anni, residente nella provincia di Lecco, che sabato notte, avrebbe venduto alla ragazza le pasticche all’interno della discoteca Fluid di Orio al Serio, in provincia di Bergamo.
L’inchiesta condotta dai Carabinieri e coordinata dal pubblico ministero Mauro Clerici, è stata avviata dopo il ricovero in ospedale della ragazza, le cui condizioni, già nella giornata di domenica, erano apparse molto gravi. Le indagini hanno permesso ai militari di ricostruire la serata trascorsa da Kristel Marcarini insieme ad alcune amiche nel locale alle porte di Bergamo, che, peraltro, era già stato chiuso più volte dagli stessi carabinieri, proprio a causa delle attività di spaccio di stupefacenti.
Il giovane arrestato, già pregiudicato per reati legati allo spaccio di stupefacenti, al momento è rinchiuso nel carcere di Lecco. Per le stesse ipotesi di reato i carabinieri hanno denunciato a piede libero un altro giovane lecchese, anche lui di 23 anni, che al momento della cessione delle due pasticche si trovava in compagnia dell’arrestato.

 

Materiale 5Cl

Ciao ragazzi. Ecco il materiale che avete prodotto: non ho avuto tempo di guardarlo, quindi lo metto così come me l’avete trasmesso. A martedì

Action Directe.doc

Al Kaeda.doc

Al Qaeda.doc

Banda Stern.doc

Brigate Rosse.doc

ETA.doc

HAMAS.doc

Hezbollah.doc

Irish Republican Army.doc

Rote Armee Fraktion 2.doc

Settembre Nero + OLP.doc

IDENTITÀ E SVENTURA IL SISTEMA DELLE CASTE IN INDIA

In quarta abbiamo affrontato l’induismo e questo articolo di Stefano Vecchia è piuttosto interessante. E’ tratto dal sito di Missione Oggi

 

Radicato, al punto da essere inattaccabile da evoluzione culturale, progresso, leggi e nuove consuetudini, il sistema della caste in India è insieme identità e dannazione. Dipende, ovviamente, in quale contesto socio-religioso si nasce all’interno della multiforme società indiana o all’esterno di essa. E a quale livello di una teoricamente infinita scala evolutiva le azioni precedenti di un individuo (karma) lo pongono alla rinascita.541c292820401538af27305607904e9a.jpg

“Si è sempre cercato di spiegare il fenomeno delle conversioni di tribali o fuoricasta, verso cristianesimo, islam e buddismo come un fenomeno che tendeva alla ricerca di giustizia e uguaglianza. Ma se questo fosse vero, come spiegare e ancor più accettare il permanere di una logica castale nelle fedi dei convertiti, Chiesa cattolica compresa?” – si chiede padre Nithiya Sagayam, segretario esecutivo della Commissione nazionale per la giustizia, la pace e lo sviluppo della Conferenza episcopale indiana -. La discriminazione si situa in profondità nella psiche degli indiani, nella convinzione che quella indiana non sia una società ‘divisa’ (né tantomeno discriminatoria, secondo concezioni occidentali), bensì ‘integrata’. Stabilito per ciascuno un ruolo dalla nascita e messo ciascuno in condizione attraverso l’adesione al Dharma, legge eterna di ispirazione divina, di liberarsi da un carico originario di negatività nel trascorrere delle esistenze, niente altro può esservi al di fuori. Non esistono scappatoie: la salvezza è nella condivisione del sistema castale, nella rinascita sul sacro suolo indiano, nella partecipazione a cerimonie e riti, nel non opporsi all’ineluttabilità del fato in versione hindu.

LE CASTE REGOLANO ANCORA LA VITA DEGLI INDIANI

Forse il sistema della caste va indebolendosi in un’India che macina mode e record, e che sempre più si identifica con le esigenze e le aspirazioni della sua classe media. Tuttavia continua a restare la maggiore e la più solida tra le cornici che definiscono la vita degli indiani, e questo a partire dalla politica. Dove s’incontra uno e forse il maggiore dei paradossi della democrazia indiana. La discriminazione è fuorilegge, ma è legale il riconoscere la sua esistenza e agire per limitarne le conseguenze.

Uno Stato che combatte in nome della democrazia e dell’uguaglianza la discriminazione gestisce un complesso sistema di caste e di tribù regolarmente registrate, e di altri gruppi “arretrati”, distribuendo posti di lavoro pubblico, seggi parlamentari e iscrizioni universitarie.

“Molti sostengono che i cambiamenti, la maggiore mobilità sociale e le più vaste informazioni disponibili favorirebbero la scomparsa delle caste, ma non è vero. Esse si ripropongono invece in nuove forme. Il sistema di sanzioni delle caste sta forse perdendo lentamente terreno, ma nel suo complesso il sistema discriminatorio si riproduce automaticamente – dice ancora padre Sagayam -. Se nei villaggi la discriminazione resta scritta nei luoghi e nelle attività umane, sancita dalle necessità cerimoniali, perpetuata insieme agli interessi che da sempre la sottintendono, quello che inquieta è il suo trasferirsi nelle periferie cittadine e l’associarsi a nuove divisioni, come quelle politiche, economiche, di opportunità”.

LA”CASTALIZZAZIONE” INTERNA ALLA CHIESA

Che nel contesto indiano la Chiesa rappresenti insieme uno stimolo allo sviluppo socio-economico e alla giustizia in un’ottica universale e non solo di stampo occidentale (come viene spesso accusata) è indubbio. Una cartina di tornasole può essere l’opposizione che si trova a fronteggiare da parte di gruppi religiosi radicali e ancor più delle forze politiche ed economiche che li utilizzano a loro beneficio. Tuttavia non si possono ignorare anche altri due aspetti. Il primo è il posto che spetta alla comunità cristiana nel contesto castale; il secondo è la “castalizzazione” interna alla stessa Chiesa. Fenomeni storici non alieni da interessi estranei alla fede ma che hanno finito, ancora una volta, con il diventare tratti precisi e non eludibili della stesa Chiesa indiana, in un contesto che sfuma mito e storia ma che tutto schematizza e organizza. Il raduno di leader cattolici e protestanti che si è tenuto il 29 novembre 2007 a Nuova Delhi (ultimo in ordine di tempo di queste dimensioni) ha voluto ancora una volta sollevare il problema del riconoscimento, anche per i cristiani di origine castale inferiore, dei benefici concessi per legge agli omologhi di altre religioni. I circa 300 partecipanti, membri della Conferenza episcopale dell’India e del Consiglio nazionale delle Chiese (che riunisce diverse denominazioni protestanti e gli ortodossi) si sono radunati all’interno del complesso del Parlamento, normalmente interdetto a qualunque manifestazione. Il segretario della Commissione della Conferenza episcopale per dalit e tribali, padre Cosmon Arokiaraj, ha definito i dalit (un tempo chiamati “intoccabili” o “fuoricasta”) “umiliati, sottoposti ad abusi e considerati arretrati, oltre che essere privati dei diritti costituzionali”. Ha poi proseguito: “Per questo chiediamo giustizia”.

La legge indiana garantisce quote nel pubblico impiego e nei diversi gradi d’istruzione scolastica agli appartenenti alle caste più basse e ai fuoricasta, benefici non riconosciuti a cristiani e musulmani, religioni ugualitarie al cui interno, tuttavia, permangono antiche e spesso dolorose discriminazioni. La Costituzione, se da un lato abolisce il sistema castale, dall’altro prevede iniziative di supporto ai gruppi meno favoriti della popolazione. In India il 60% dei 25 milioni di cristiani sono di bassa casta o fuoricasta e la richiesta sempre più insistente dei cattolici di equiparazione alle caste più basse o ai fuoricasta della galassia hindu indica più una necessità di sviluppo e benessere che la volontà di partecipare a un sistema discriminatorio. La Chiesa non può fare altro che assecondare questa necessità, anche per non vedere crescere al proprio interno le contraddizioni.

PER I CRISTIANI DELLE CAMPAGNE NON C’È SICUREZZA

In ogni religione le caste giocano un ruolo fondamentale. E al loro interno si ripropongono in nuove forme, senza all’apparenza accusare i colpi del tempo e dei mutamenti sociali. Il sistema di sanzioni delle caste sta lentamente perdendo terreno, ma il sistema si riproduce automaticamente. Questo fenomeno, per quanto riguarda fedi egualitarie e di origine esterna al contesto indiano, avviene soprattutto mediante un procedimento di assimilazione di elementi sociali marginali. Come, ad esempio, per i tribali (8% della popolazione), comunemente non considerati hindu (nonostante le pretese in tal senso degli hindu e il loro inserimento come hindu nei censimenti e il loro corteggiamento da parte dei nazionalisti). La maggioranza della conversioni arrivano però, non casualmente, dai dalit. L’associazione a una tradizione universalistica, e a condizioni socioeconomiche in genere migliori, garantiscono loro un’opportunità, ma diventano presto conferma di antiche discriminazioni.

Come dice il leader cattolico di Mumbay, Dolphy D’Souza, “una delle cose che è facile osservare è che per i cristiani delle campagne, sia nelle regioni controllate dal Bharatiya Janata Party (la maggiore espressione politica del nazionalismo hindu), sia dal Partito del Congresso (di ispirazione laicista e oggi presieduto da Sonia Gandhi), non c’è sicurezza. Violenza e insicurezza prevalgono ovunque. Il governo tende a non avere un approccio ‘morbido’ ai nostri problemi, in quanto politicamente contiamo poco. I musulmani ricevono molta più attenzione e riescono ad ottenere di più. Per questo lottiamo, affinché i dalit cristiani vengano inclusi nel sistema delle quote, come è successo nel 1990 per i buddisti”. Ma quali sono le ragioni di questa insensibilità da parte delle istituzioni? Continua ancora D’Souza: “Fondamentalmente i dalit cristiani sono segregati e chiunque può rendersene conto. La loro è una duplice segregazione: all’interno del sistema socio-religioso indiano e all’interno della nostra Chiesa. La Commissione Mishra, istituita negli anni scorsi per valutare l’opportunità di includere nel sistema di quote di cristiani e musulmani, ha stabilito che non ci sono obiezioni all’esclusione dei dalit nel sistema di caste schedate, ma noi non ci arrendiamo e siamo pronti ad arrivare fino alla Corte Suprema. Non capiamo come mai ci vengano negati benefici concessi ad altri. I musulmani sono ora inclusi tra le classi arretrate. La scusa per noi è che i cristiani non credono nel casteismo, ma è un dato di fatto che per i nostri dalit lo status sociale non cambia per il fatto di essere cristiani”.

Il Tibet piange

Senza aiuto, di fronte all’aggressione cinese

di Nirmala Carvalho


Così il Dalai Lama descrive sé e il suo popolo, mentre scade oggi a mezzanotte (ora di Lhasa) l’ultimatum di Pechino per la fine delle proteste. Un attivista pro Tibet commenta la grave situazione. L’appello alla comunità internazionale e l’India “troppo prudente”.

Dharamsala (AsiaNews) – “E’ importante che la comunità internazionale chieda alla Cina [cosa accade in Tibet] e faccia pressioni perché Pechino consideri le richieste dei tibetani e fermi le violenze a Lhasa”. Tsewang Rigzin, presidente del Congresso dei giovani tibetani, uno dei gruppi organizzatori della Marcia di ritorno degli esuli dall’India al nativo Tibet, parla ad AsiaNews della situazione in Tibet e della posizione del Dalai Lama.
“La Cina – dice – parla di rivoltosi ma le proteste erano pacifiche. La Cina vuole diffondere notizie false”. Ma non è d’accordo con il Dalai Lama, quando dice che i tibetani non vogliono l’indipendenza da Pechino ma solo una maggior autonomia. “Noi tibetani vogliamo l’indipendenza, ognuno deve lottare per un Tibet libero, è un nostro dovere. Comunque il Dalai Lama predica la non violenza e noi seguiamo la stessa strada”.
Rigzin è uno dei 100 che hanno iniziato la marcia a Dharamsala l’11 marzo. Non è d’accordo quando il Dalai Lama dice che le Olimpiadi non vanno boicottate perché sono comunque un evento positivo per la Cina. “La Cina – commenta – non merita di ospitare le Olimpiadi, per le violazioni dei diritti umani, nell’intero Paese e ancor più in Tibet. Il Paese ha promesso di migliorare la situazione dei diritti, mentre le violazioni dei diritti da parte del governo cinese sono innumerevoli”.
Ieri il Dalai Lama in una conferenza stampa a Dharamsala aveva detto che “la Cina in Tibet sta realizzando una sorta di genocidio culturale, intenzionale o meno”. Richiesto di cosa farà per fermare la violenza ha risposto che “non ho tale potere, mi sento privo di aiuto”. Si è appellato alle organizzazioni internazionali perché intervengano e “dicano cosa è successo in Tibet” e ha espresso preoccupazione per cosa accadrà allo scadere dell’ultimatum cinese di oggi, perché “se le autorità cinesi vogliono fermare le proteste con l’aiuto delle armi, anche i tibetani sono ugualmente determinati a proseguire le proteste”. Ha espresso il “sospetto” che ci sono stati “intorno a 100 morti”. Ha anche commentato che la confinante India è “troppo prudente” sul problema.
Intanto l’India, con una dichiarazione molto attenta, ha soltanto auspicato che “tutte le parti coinvolte operino per migliorare la situazione e rimuovere le cause degli attuali problemi in Tibet, che è una regione autonoma della Cina, attraverso il dialogo e con metodi non violenti”.

 

Personalmente penso che il Dalai Lama non possa assentire al boicottaggio delle Olimpiadi in quanto la reazione cinese sarebbe durissima e si abbatterebbe sul popolo tibetano. Tuttavia reputo che noi possiamo farlo: presonalmente ho preso la decisione di non guardare alla tv alcun evento legato ai giochi olimpici. E’ una piccola cosa, ma qualcosa dev’essere fatto…

Mi farebbe piacere condividere la mia scelta. Chi decide di farlo lo comunichi con un commento a questo post, così ci contiamo e ci diamo coraggio. Simo

Gulag

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27 gennaio, giornata della memoria, di tutte le memorie

CRONACHE DALL’INFERNO:

I GULAG E I KATORGI DELL’IMPERO SOVIETICO

Pubblico alcune pagine di “In Siberia” dedicate ai campi di prigionia (gulag) e di sterminio (katorgi) della Russia comunista.

VORKUTA

“Poi raggiungemmo il guscio della miniera 17. È qui che nel 1943 fu creato il primo dei katorgi, i campi di sterminio di Vorkuta. Nel giro di un anno, dei 30 campi di Vorkuta 13 divennero katorgi: il loro obiettivo era quello di liquidare i reclusi. In un inverno in cui la temperatura precipitava a 40° sotto zero, e ululavano le tempeste di neve, i katoršane vivevano in tende con un fondo di assi leggere cosparse di segatura… Lavoravano 12 ore al giorno, senza tregua, trainando carrelli di carbone: nel giro di tre settimane erano distrutti. Entro un anno erano morti già 28.000 uomini… In inverno i cadaveri venivano ammucchiati in baracche aperte finché non erano abbastanza perché valesse la pena di seppellirli; a quel punto un ufficiale del NKVD, l’antenato del KGB, fracassava i crani con un piccone, e quindi i corpi venivano scaricati in una fossa scavata d’estate per l’occorrenza”.

LA KOLYMA

“Nella memoria dell’uomo contemporaneo quella vastità era solo un continente di campi di sterminio. Nel 1931, qualche mese dopo la scoperta di immensi giacimenti auriferi, una regione che abbracciava tutta la Siberia nordorientale oltre il fiume Lena – un territorio più vasto del Messico – fu messa sotto il controllo di un’agenzia che si chiamava Dal’stroj e che divenne ben presto una branca del ministero dell’interno e della polizia. Dal’stroj era una legge a parte. Sotto la sua giurisdizione la Costituzione sovietica non entrava in vigore. Governò un incubo a occhi aperti… Questa terra della Kolyma ricevette in dono ogni anno decine di migliaia di prigionieri arrivati via mare, la gran parte innocente. Nel punto in cui arrivarono costruirono il porto, poi la città di Magadan, poi la strada verso l’interno fino alle miniere, dove morirono. All’inizio i prigionieri erano contadini kulaki e criminali comuni, poi – quando la paranoia di Stalin dilagò – presunti sabotatori e controrivoluzionari di ogni classe: funzionari di partito, soldati, scienziati, medici, insegnanti, artisti… Perirono nelle gallerie delle miniere, uccisi dai crolli o dai carichi, dai fumi di ammonio e dalla silicosi, dallo scorbuto e dalla pressione del sangue troppo alta, sputando sangue e tessuti polmonari… Dopo meno di 10 anni la Kolyma arrivò a fornire 1/3 della produzione mondiale di oro. Ma il numero dei morti rimane di fatto sconosciuto. Si è ipotizzata una cifra oltre i due milioni… I primi dirigenti del Dal’stroj furono fucilati come spie nel 1937. Da allora si instaurò un regime di pura crudeltà. Gli indumenti di pelliccia e gli stivali dei prigionieri vennero sostituiti con calzature di tela e giacche imbottite che si ridussero ben presto a brandelli. L’intenzione era quella di uccidere. Si passò a una dieta da fame: 800 grammi di pane con l’aggiunta di qualche pezzetto di pesce salato o di cavolo in salamoia… La giornata lavorativa raggiunse le 14 ore, le condanne da scontare i 25 anni… Ogni sera e ogni mattina gli ufficiali, levando la brina dai fogli che tenevano in mano, leggevano gli elenchi dei condannati a morte e di quelli già giustiziati… A volte intere squadre venivano prelevate sul lavoro e fucilate all’istante… In alcuni campi non ci fu nemmeno un superstite”.

SERPENTINKA

“Su uno sperone sopra la strada che scendeva serpeggiando fino al fiume ci accolse Serpentinka. Pavlov e Garanin, i nuovi signori del Dal’stroj, ne avevano fatto un centro di tortura e sterminio… Su uno strapiombo vicino alle celle d’isolamento, due trattori venivano tenuti con i motori al massimo per soffocare gli spari e le grida delle esecuzioni. Nel 1938 vi morirono 26.000 prigionieri, centinaia per mano dello stesso Garanin. I corpi venivano trascinati dietro la collina su slitte trainate dai trattori, oppure i prigionieri erano condotti ancora vivi a occhi bendati sull’orlo delle fosse e uccisi con un colpo di fucile alla testa. Poi, in linea con la politica di Stalin di liquidare i responsabili degli apparati di sicurezza, anche Garanin fu fucilato, e con lui tutto il personale di Serpentinka, e il campo venne raso al suolo”.

Shoah

Ecco la dispensa “A proposito di Auschwitz”: nella II parte in particolare sono presenti alcuni errori in quanto non ho tempo ora per sistemare il lavoro.

A PROPOSITO DI AUSCHWITZ.doc

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