Un tale Caino

Riprendo con il secondo personaggio di Buon Sangue. Jovanotti entra nella prima parte cainoeabele.jpgdella Bibbia e cita due episodi: l’uccisione di Abele da parte di Caino e la costruzione della torre di Babele. Mi fermo su Caino. Nella tradizione cristiana si è tramandata l’idea che Dio abbia rifiutato l’offerta agreste di Caino preferendo quella animale di Abele per riconoscere la bontà di quest’ultimo rispetto alla cattiveria del primogenito. Jovanotti riporta l’attenzione su un dato che emerge dal testo biblico: “Una domanda insanguinava il suo cuore e cervello. Perché Dio quella mattina preferì mio fratello?”. Nel libro della Genesi non vi è alcun riferimento a presunti meriti o demeriti dei due fratelli. E’ la domanda dell’uomo davanti all’incomprensibile. Ieri un’amica scriveva su fb “Questo preciso istante è uno di quei tanti momenti nella vita di un individuo che richiedono (più di ogni altro giorno) una manna dal cielo, un aiuto provvidenziale, un conforto disinteressato, un ‘segno’ ormai insperato”. E’ il momento in cui si percepisce la lontananza, quello del “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, quello della profonda solitudine, del “Padre, se possibile allontana da me questo calice”. Qui Jovanotti apre alla consolazione: “Ma nei giorni più cupi, nei momenti più bui, lui sentiva che invece il più amato era lui”. La speranza è possibile anche là dove pare esserci solo disperazione, c’è luce anche nell’oscurità. Anche per l’assassino di suo fratello? Risponde la canzone: “come segno di amore gli era stato concesso il dolore e la colpa per il male commesso”. Ciò che Caino ha fatto non viene cancellato, non viene rimosso, ma gli viene fatto un gesto d’amore: la possibilità di espiare la propria colpa, il provare dolore per quanto ha fatto (attenzione: il male di Caino inizia con l’assassinio, non prima come spesso si pensa). Senza questo non è possibile vivere l’esperienza dell’essere perdonati. Senza pentimento ed espiazione del reo, quale perdono?

Tra i miei antenati più illustri c’è un tale Caino,

fondò la prima città e fu il primo assassino.

Una domanda insanguinava il suo cuore e cervello.

perché Dio quella mattina preferì mio fratello?

Ma nei giorni più cupi, nei momenti più bui,

lui sentiva che invece il più amato era lui

e come segno di amore gli era stato concesso

il dolore e la colpa per il male commesso.

Fuggirò con occhio storto, e griderò

16 LE TINTORET CAIEN ET ABEL.jpgGli studenti di quinta lo sanno: uno dei temi che più mi affascinano è l’uomo davanti al male. Un libro di Paul Ricoeur si intitola “Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia”, sintesi perfetta. Nella Bibbia, uno dei primi testi è l’uccisione di Abele da parte del fratello Caino. Ne scrive Alessandro Zaccuri su Avvenire, e qui riporto una parte:

“Quanta necessità e, al contrario, quanta intenzione sia presente nel delitto dei delitti è la domanda che si ripete nelle interpretazioni moderne della vicenda. Un’ambiguità che si riverbera, ancora una volta, sulla distinzione, all’improvviso controversa, tra vittima e carnefice. È questo il nucleo attorno al quale si sviluppa il Caino del tedesco Friedrich Koffka, che dopo molti anni torna disponibile per il lettore italiano grazie alla bella edizione curata da Eloisa Perone per Claudiana (pagine 84, euro 9). Nato a Berlino nel 1887 e morto nel 1951 a Londra, dove aveva trovato rifugio alla vigilia della Seconda guerra mondiale, Koffka legò la parte più significativa della sua attività alla stagione sperimentale del teatro espressionista.

Caino fu, anche da questo punto di vista il suo capolavoro. Il testo fu scritto nel 1913, venne pubblicato nel 1917 e andò in scena l’anno seguente a Berlino, attirandosi critiche niente affatto benevole. Lo stile scabro di Koffka fu scambiato per artificioso, la finezza del richiamo scritturistico quasi completamente ignorata a discapito dell’ambientazione in apparenza contemporanea, ma situata in realtà in uno spazio fuori dal tempo. Il dramma, infatti, non si svolge nel giardino dell’Eden, ma nell’interno di una casa di campagna. Adamo ed Eva sono contadini laboriosi e uno dei loro figli, Abele, li aiuta prendendosi cura del bestiame. Caino sembrerebbe lo scansafatiche di famiglia, ma la sua scontentezza non è pigrizia. A tormentarlo è semmai una spasmodica ricerca di purezza, che lo induce a strappare la maschera della perfezione dal volto di Abele. Le intemperanze che vengono imputate al ragazzo troverebbero facilmente perdono nella preghiera, ma Caino sa di essere uno di «quelli cui Dio non permette di pregare». Non potendo essere il «guardiano» del fratello, ne diventa il boia, esegue la sentenza con un colpo di scure e poi si congeda da Eva annunciandole il proprio destino di reietto: «Madre, non verrà per me la morte. Madre, sarò ramingo sulla terra, un malvagio. Madre, fuggirò con occhio storto, e griderò…».

… Che tra i fratelli corra un rapporto più complesso della mera contrapposizione è, del resto, la convinzione di Jorge Luis Borges, che nella brevissima prosa di “Leggenda” (in Elogio dell’ombra, 1969) immagina che i due si incontrino da qualche parte, dopo la morte di Abele, senza più ricordare chi fra loro sia l’ucciso e chi l’uccisore. «Dimenticare è perdonare», ammette Caino, confortato dalla massima con cui Abele conclude l’apologo: «Finché dura il rimorso dura la colpa». Non è un caso che, mentre il teatro indugia sul prodursi della ferita, i romanzi ispirati all’episodio cruciale della Genesi suggeriscono spesso la prospettiva di un possibile risanamento…

Per questo in libri come Abel Sánchez di Miguel de Unamuno (del 1917, stesso anno del Caino di Koffka) e più ancora nella Valle dell’Eden di John Steinbeck (1952) il giudizio rimane sospeso, come se nel narratore subentrasse la consapevolezza che condannare Caino significa, in fondo, condannare noi stessi. Un dubbio che può condurre a una sorta di paralisi morale, ben rappresentata dal Max Gallo di Caino e Abele (2011), ma che in altri casi lascia intravedere lo spiraglio di una pur dolorosa soluzione mistica, come accade nel sorprendente Caino di Paola Capriolo (2012), dove il sangue dell’innocente è misteriosamente assimilato al sangue che Gesù versa sulla Croce.”

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