Shomèr ma mi-llailah

Ancora un post con video (ho scelto la versione live per la gustosa intro del Guccio), testo e mia riflessione.

SHOMÈR MA MI-LLAILAH (Francesco Guccini, Guccini)
La notte è quieta senza rumore, c’è solo il suono che fa il silenzio
e l’aria calda porta il sapore di stelle e assenzio,
le dita sfiorano le pietre calme calde d’un sole, memoria o mito,
il buio ha preso con sé le palme, sembra che il giorno non sia esistito…
Io, la vedetta, l’illuminato, guardiano eterno di non so cosa
cerco, innocente o perché ho peccato, la luna ombrosa
e aspetto immobile che si spanda l’onda di tuono che seguirà
al lampo secco di una domanda, la voce d’uomo che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell…
Sono da secoli o da un momento fermo in un vuoto in cui tutto tace,
non so più dire da quanto sento angoscia o pace,
coi sensi tesi fuori dal tempo, fuori dal mondo sto ad aspettare
che in un sussurro di voci o vento qualcuno venga per domandare…
e li avverto (sento), radi come le dita, ma sento voci, sento un brusìo
e sento d’essere l’infinita eco di Dio
e dopo innumeri come sabbia, ansiosa e anonima oscurità,
ma voce sola di fede o rabbia, notturno grido che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell…
La notte, udite, sta per finire, ma il giorno ancora non è arrivato,
sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato…
Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete, ridomandate,
tornate ancora se lo volete, non vi stancate…
Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni
e resteranno di uomini e idee, polvere e segni,
ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà,
che la risposta sull’avvenire è in una voce che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell
shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell…

L’ispirazione è la Bibbia, e precisamente pochi versi di Isaia 21,11-12, definiti da Guccini “una pagina di un’umanità incredibile”:
Oracolo su Duma.
Mi gridano da Seir:
«Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella, quanto resta della notte?».
La sentinella risponde:
«Viene il mattino, poi anche la notte;
se volete domandare, domandate,
convertitevi, venite!».”
Sono versi piuttosto criptici che qualcuno non riesce neppure ad attribuire al profeta Isaia. In effetti alla domanda posta da alcuni viandanti, pellegrini o semplicemente dei passanti (potrebbero essere degli abitanti della Duma, un’oasi della parte settentrionale dell’Arabia) alla sentinella, al guardiano, si contrappone una risposta ben poco convincente: si chiede quanto manca all’alba, anzi quante ore ci sono ancora di buio (probabilmente in riferimento al dominio assiro), e si ottiene quella che pare una banalità, cioè che il mattino verrà e poi ad esso seguirà di nuovo la notte (ci sarà sollievo all’oppressione assira, ma seguirà un’ulteriore periodo buio). Nient’altro se non l’invito a continuare a domandare, a non scappare, e a convertirsi…
La canzone si apre con un’ambientazione notturna desertica aperta ai sensi: il suono del silenzio, il calore dell’aria e delle pietre, il sapore di assenzio, il buio che nasconde le palme e fa dimenticare il giorno passato. Il protagonista che parla in prima persona è la sentinella, la vedetta, il custode illuminato di non si sa cosa: è in ricerca della luna ombrosa, una ricerca che sembra vana visto il buio che inghiotte tutto. La sentinella è ferma, immobile: ci sarà una domanda come un lampo secco e accecante che genererà un’onda di tuono. “A CHE PUNTO E’ LA NOTTE?”. La sentinella è in un non-spazio (“fermo in un vuoto in cui tutto tace… coi sensi tesi fuori dal mondo) e non-tempo e non-sentire (“da secoli o da un momento fermo… non so più dire da quanto sento angoscia o pace, coi sensi tesi fuori dal tempo”) in attesa della domanda. Inizia a sentire qualcosa, confuso e vago, un brusio: percepisce anche sé non come chiara voce di Dio (il profeta), ma una sua eco infinita. Già l’eco rimanda al senso dell’eternità, del ripetersi continuo: qui è accentuato dall’aggettivo infinita. E arriva la domanda, misto di fede e rabbia, comunque non sussurrata, ma gridata: “A CHE PUNTO E’ LA NOTTE?”.

Mi vengono alla mente le parole di Turoldo nella sua “La notte del Signore” (qui per intero).
“Perfino gli olivi piangevano
quella Notte, e le pietre
erano più pallide e immobili,
l’aria tremava tra ramo e ramo
quella Notte.
E dicevi:
«Padre, se è possibile…». Così
da questa ringhiera
quale un reticolato da campo
di concentramento, iniziava
la tua Notte.
Si è levata la più densa Notte
sul mondo: tra questa
e l’altra preghiera estrema:
«Perché, ma perché, mio Dio…».
Notte senza un lume: disperata
tua e nostra Notte. «Perché…?».

Alla ricerca della fiducia

FiduciaPubblico spesso riflessioni, idee, pensieri molto differenti tra loro, ma che trovo utili per suscitare altre riflessioni, idee, pensieri. L’articolo che segue lo metto come stimolo a me stesso; cerco nelle parole di Enzo Bianchi la spinta verso qualcosa che faccio fatica a ritrovare in me, la fiducia generalizzata nelle istituzioni politiche. Mentre avverto un’immediata sintonia con quanto il priore di Bose scrive collegandolo alla mia esperienza professionale, sento un’enorme difficoltà nel provare passione e fiducia politiche che un tempo sentivo forti in me. Ecco allora questo articolo pubblicato il 2 gennaio su La Repubblica come auspicio.
Molti leggono la crisi attuale come crisi di fiducia in campo finanziario, economico e politico ma, più in profondità, a livello culturale ed etico. È la diagnosi che emerge anche dall’indagine “Gli italiani e lo stato” condotta da Demos per Repubblica e commentata da Diamanti su queste pagine. Ritengo perciò che, all’apertura di un nuovo anno, valga la pena riflettere ancora sulla fiducia: sentimento, atteggiamento ed esperienza che appare decisiva nell’esistenza di ogni persona così come nella vita sociale della polis.
Non possiamo vivere senza porre la fiducia in qualcuno né senza ricevere fiducia da qualcuno, dagli altri. Ognuno di noi è nato perché sentiva questa spinta ad avere fiducia nella vita, in chi lo portava in grembo, in chi lo poteva accogliere. E ciascuno è venuto al mondo proprio grazie alla fiducia originaria posta nei genitori o in chi ci ha accompagnato nella nascita. Parimenti le nostre storie d’amore sono possibili solo quando uno sa mettere la fiducia in un altro, in un’altra e da questi riceverla. La fiducia è la realtà che rende possibile il vivere e il vivere in relazione: nell’amicizia, nell’amore, nel rapporto maestro-discepolo, nella relazione medico-paziente… Se una persona non riesce a fidarsi di nessuno, è condannata all’isolamento, imprigionata in una situazione mortifera.
È proprio la fiducia che può creare il legame sociale e generare la comunità: a livello politico la mancanza di fiducia genera una stanchezza nella democrazia e quindi ne mina la credibilità, aprendo lo spazio alla barbarie. Se la fiducia oggi difetta lo si deve in particolare a un triplice disincanto, sul piano economico, politico e identitario. Il senso del vivere insieme è compromesso dalla logica del mercato che privilegia l’interesse particolare e nega l’istanza di solidarietà; la vita politica offre il triste spettacolo di uno scollamento rispetto ai cittadini e di una autoreferenzialità elettiva che genera diffidenza e inaffidabilità; l’identità collettiva è smarrita e regredisce in un appiattimento su comunanze di tipo tribale.
Dobbiamo allora porci una domanda: come mai siamo precipitati in questa situazione in cui si afferma che è meglio diffidare, diffidare sempre, diffidare di chiunque? Quali sono i fattori che hanno minato la fiducia che si era creata sulle macerie della seconda guerra mondiale? Quella fiducia sociale che ci aveva dato la possibilità di una convivenza capace di assumere un progetto comune e di condividere una speranza?
Tra i fattori decisivi va annoverata l’illegalità crescente che si è espansa come un’epidemia, dalla quale nessun potere e gruppo sociale è restato immune. L’illegalità macroscopica, quasi sempre impunita, ha autorizzato un’illegalità quotidiana e minuta, che sembra rispondere al “così fan tutti”. Questa illegalità ha minato il senso di sicurezza e il bisogno di protezione dei cittadini, immettendo in loro una sfiducia e tentandoli, seducendoli fino a condurli a non darsi pena della collettività, a scambiare l’etica con il “fare i moralisti”, a lasciar correre… Insieme ai fattori ricordati di autoreferenzialità e di mancanza di senso del bene comune e del servizio alla polis, l’illegalità ha reso inaffidabili molti soggetti politici e le stesse istituzioni di rappresentanza democratica. I cittadini si sentono sempre più lontani dalla politica e finiscono per non partecipare più all’edificazione della polis che sembra invece sequestrata dai partiti, da forze o gruppi di potere sovente nascosti e dunque viene valutata come non possibile, ormai preda dei corrotti.
Qualcuno sostiene che viviamo già nell’epoca della post-democrazia e, a causa di questa debolezza della politica, si affermano il populismo, il sorgere del “salvatore” di turno, la smobilitazione dei corpi sociali, il conformismo e la degradazione dell’etica incapace di competere con illusioni che catturano le masse. La consapevolezza di essere cittadini di una polis comune ha ceduto il passo alla rassegnazione di essere consumatori in un mercato dopato, in cui la libera concorrenza è divenuta corsa alla sopraffazione, al dominio del più forte o del più furbo. E in questo precipitare della qualità della convivenza politica, vanno in frantumi e sono calpestate la solidarietà, l’attenzione ai deboli e alle vittime della storia.
Così i cittadini-consumatori continuano a credere ad annunci e promesse dei soggetti politici, nonostante non se ne vedano le condizioni e tanto meno i segnali di attuazione. Paure e illusioni sono fabbricate un giorno, esasperate quello successivo e dimenticate o mutate il giorno dopo ancora. Le persone sono sempre meno capaci di critica, il dibattito ragionato viene considerato una perdita di tempo e sostituito da urla tra sordi, l’incalzare di sondaggi di ogni tipo e qualità ha rimpiazzato il faticoso delinearsi di una “opinione pubblica”: così si passa d’inganno in inganno, perdendo sempre più il contatto con la realtà. Fino a quando? Sì perché, come ci insegna la storia, a un certo momento sopraggiunge un punto di rottura in cui all’incapacità di indignarsi e di impegnarsi segue la reazione irrazionale di chi si nutre di violenza.
Allora, che fare? Si tratta ora più che mai di rischiare la fiducia a partire dalle nostre relazioni personali, di ribadire la necessità della fiducia come fondamento della vita sociale. “Camminando si apre cammino”, così avendo fiducia si fa crescere la fiducia. I dati dell’inchiesta commentata da Diamanti dovrebbero suonare per tutti come un allarme: l’assuefazione alla sfiducia nelle istituzioni, negli altri, nel futuro non fa che asfaltare la strada alla barbarie e alla violenza. Sta a noi aprire un percorso diverso, resistendo, mettendo fiducia in noi stessi, esercitandoci con convinzione ad avere fiducia negli altri e a non tradire la loro, a partire da chi ci sta accanto. Il primo passo per amare gli altri come se stessi consiste proprio nell’avere fiducia negli altri almeno come in se stessi. La fiducia va cercata alla sorgente: nelle modalità dei nostri rapporti con noi stessi, con gli altri, con il futuro, con la storia, con il fatto stesso di vivere. Sì, la fiducia nella vita è ancora possibile, è un dovere e una promessa di cui siamo debitori verso gli altri e verso noi stessi.”

Gemme n° 96

Life Starts Now è una canzone che ascolto sempre. Dice di vivere la propria vita e questo mi fa continuare a essere positivo e ottimista e ad andare avanti”. Lo ha detto T. (classe seconda).

La canzone dei Three Days Grace (che sembra rispondere immediatamente alla gemma 95) incoraggia chi sta attraversando un brutto periodo: “Tutto questo dolore, prendi questa vita e falla tua, tutto questo odio, prendi il tuo cuore e lascia che ami ancora, tu in qualche modo sopravviverai a questo”. E’ una spinta a lasciarsi il dolore alle spalle, prendere la vita e piene mani e buttarsi con coraggio e fiducia verso il futuro. C’è una frase di Hemingway che mi pare calzare bene qui: “Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi” (Per chi suona la campana).

Gemme n° 95

https://www.youtube.com/watch?v=7jjY_ruRG8c

Ho scelto la canzone Weight of Living dei Bastille perché rappresenta un’amicizia importante. Il peso della vita citato nel titolo rappresenta entrambi perché non abbiamo avuto una vita facilissima: avrei potuto scegliere altre tremila amicizie, ma questa è quella più importante, anche se ci conosciamo da poco. Il mio amico mi ha aiutato e supportato in ogni cosa”. Questo è quanto è riuscita a dire D. (classe terza) commuovendosi e trasmettendo la sua emozione ai compagni di classe. Cantano i Bastille: “Tutto ciò che desideravi quando eri un bambino era essere grande, era essere grande. Adesso che lo sei, improvvisamente temi di aver perso il controllo, hai perso il controllo. Ti piace la persona che sei diventato?”. Ecco allora che mi sento di citare un pensiero di Gandhi che spesso è stato fonte d’aiuto e d’ispirazione:
Mantieni i tuoi pensieri positivi,
perché i tuoi pensieri diventano parole.
Mantieni le tue parole positive,
perché le tue parole diventano i tuoi comportamenti.
Mantieni i tuoi comportamenti positivi,
perché i tuoi comportamenti diventano le tue abitudini.
Mantieni le tue abitudini positive,
perché le tue abitudini diventano i tuoi valori.
Mantieni i tuoi valori positivi,
perché i tuoi valori diventano il tuo destino.”

Gemme n° 92

La mia gemma è mia madre” ha detto C. (classe quinta). “E’ la persona per me più importante, è il mio voceesempio. Da piccola ho avuto la leucemia e i ricordi di quel periodo sono legati a lei. Ho il registratore della bambola che usavo quella volta: l’ho trovato qualche mese fa e mia madre si è commossa a sentirne la voce. Ne è anche nato un gioco, il bacio nell’orecchia per far ridere una persona”.
Nicolás Gómez Dávila afferma: “L’uomo primitivo trasforma gli oggetti in soggetti, quello moderno i soggetti in oggetti. Possiamo supporre che il primo si illuda, ma sappiamo con certezza che il secondo si sbaglia”. Penso che sia bello che a volte ci leghiamo a piccoli oggetti insignificanti agli occhi dei più, ma profondamente significativi per pochi: sottendono relazioni, emozioni, pensieri, immagini che bazzicano i luoghi della memoria e gli angoli del cuore.

Gemme n° 84

Ho deciso di portare la canzone “Blue” che parla fondamentalmente del rapporto madre-figlia. In questo periodo mia mamma sta soffrendo molto, ed io non riesco a starle molto vicina perché ho molto da studiare e non le posso dedicare lo stesso tempo di una volta. Mamma è a casa con me, anche se a volte mi sembra lontanissima.” Profondamente commossa, così V. (classe terza) ha presentato la sua gemma; e ha proseguito: “Da un po’ di tempo mamma sta cercando lavoro; apparentemente, spero che riesca a trovarlo. In realtà ho timore che il nostro rapporto possa in qualche modo cambiare. Da quando mamma ha perso suo padre fa fatica a sorridere. Oggi ho portato anche tre foto da cui traspare tutta la sua premura nei miei confronti, tutto il suo sostegno, in tutto. Mamma è speciale, è il mio primo pensiero. Spero davvero, durante le vacanze di Natale, di riuscire a trovare più tempo per lei”.
Mi è venuta in mente una canzone di Christina Aguilera, “I turn to you”: “Quando sono persa nella pioggia, nei tuoi occhi so che troverò la luce per illuminare la mia strada e quando sono spaventata e mi manca la terra sotto i piedi, quando il mio mondo impazzisce, tu puoi ribaltare la situazione. E quando sono giù tu ci sei, spingendomi verso l’’alto. Sei sempre lì, dandomi tutto quello che hai”.

Gemme n° 83

Non è la mia canzone preferita ma l’ho ascoltata in corriera e l’ho scelta come gemma. Le parole mi hanno colpita: mi sono ritrovata in esse. Questo per me è un periodo molto intenso: studio, problemi personali, c’è un po’ di tutto. In certi momenti sono persa e non trovo punti di riferimento. Parlare con un amico non mi fa sentire sola e mi fa sentire bene. Avere degli amici è fondamentale.”

https://www.youtube.com/watch?v=dvvJ7MYaK8o
Direi che il testo di James Taylor, proposto da D. (classe quinta), sia emblematico: “Quando sei giù, pieno di problemi e hai bisogno di un aiuto e niente, niente va nel modo giusto, chiudi gli occhi e pensami e subito io sarò là per illuminare anche le tue notti più buie. Semplicemente urla il mio nome e sai che ovunque sarò verrò di corsa per rivederti ancora. Inverno, primavera, estate o autunno tutto ciò che devi fare è chiamare ed io arriverò, sì, tu hai un amico. Se il cielo sopra di te dovesse diventare scuro e pieno di nuvole e se quel vecchio vento del nord iniziasse a soffiare, mantieni salda la tua testa ed urla forte il mio nome e subito busserò alla tua porta semplicemente urla il mio nome e sai che ovunque sarò verrò di corsa per rivederti ancora. Inverno, primavera, estate o autunno tutto ciò che devi fare è chiamare ed io arriverò, sì, tu hai un amico…”
Dice Kahlil Gibran: “E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell’amicizia, poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore ritrova il suo mattino e si ristora”.

Gemme n° 81

Ho scelto questa canzone perché mi ha fatto riflettere molto sull’importanza della famiglia e della relazione tra genitore e figlio e o capito che, anche se apparteniamo a due mondi differenti e magari noi ci sentiamo incompresi e soli, dobbiamo ritenerci fortunati ad avere persone come loro che ci aiutano ad affrontare la vita proteggendoci, come dice la canzone, dalle nostre paure, dai turbamenti e dalle ingiustizie e ci sostengono nei dolori e nei fallimenti.”
E’ così che S. (classe seconda) ha presentato e poi commentato “La cura” di Franco Battiato. Personalmente uno degli aspetti che più mi piace di questo brano è quello del sollevamento-sollievo, parole che hanno la stessa etimologia e che fanno riferimento alla dinamica dell’innalzamento a cui mi pare corrisponda il verso “Supererò le correnti gravitazionali”. Quello di allontanarsi verso l’alto dalle vicende terrene, anche solo per osservarle da lontano per valutarle meglio, è un tema molto caro a Battiato e a molti uomini spirituali. Afferma Richard Bach ne “Il gabbiano Jonathan Livingston”: “Più alto vola il gabbiano, e più vede lontano”.

Aspettando Patti Smith

Premessa: la prossima settimana nella scuola in cui insegno ci sarà un incontro con Patti Smith (abbiamo un indirizzo musicale). Oggi alle 12.00 una delle mie quinte mi ha chiesto: “Prof, ci permette di andare? Ci accompagna la prof. di tedesco!”.
E’ stato lì che ho deciso di mandare a monte la lezione sulla globalizzazione che avevo preparato e di cogliere l’occasione per leggere un mio breve post di due anni fa e soprattutto un articolo di Max Granieri del 2012 dal titolo “Patti Smith: la sgraziata forma del rock”. Lo riporto qui integralmente:

La mia missione è comunicare, svegliare la gente. E’ dare la mia energia e accogliere la loro. Siamo tutti coinvolti e io parteciperò emotivamente, in quanto lavoratrice, madre, artista, essere umano, con una voce. Abbiamo tutti una voce, abbiamo la responsabilità di esercitarla, di usarla”. E’ il manifesto musicale e politico di Patti Smith, poetessa del punk rock newyorkese, affisso nel film Dream of Life di Steven Sebring, edito da Feltrinelli. Le sue liriche sono segnate da un primordiale istinto alla sopravvivenza morale e civile.
Una mostra visitata a Liverpool qualche anno fa, dedicata alle influenze sociali del punk britannico nell’era di Margaret Thatcher (primo ministro inglese dal 1979 al 1990), fece traslalire di gioia. Pensai, allora: “Qualcosa di buono hanno combinato i punker…”. In realtà, fu Patti Smith a sdoganare il punk dal bluff dei Sex Pistols e dal snobismo dei primi Police, a vestirlo d’uno status intellettuale che lo avvicinasse al blues e al jazz. Merito dei suoi continui riferimenti letterali nei testi, quella poesia urlata in faccia ai potenti, voce di tutte le comunità ai margini, calpestate nei loro più elementari diritti. Lei incarna la protesta e la rabbia del punk, una voce sgraziata che grida nel deserto del mondo.
In “Dream of life”, Patti apre la porta di casa per fare entrare più gente possibile, incurante della presenza dello spettatore nelle sue stanze, dove canta e sogna, recitando a memoria versi di poeti. Canticchia un brano di Fabrizio De Andrè, “Amore che vieni Amore che vai”. Il filmato è privo di una storia. Ci si aspetta di vedere John Cale (produttore sapiente della Smith), un parallelismo con Jim Morrison, qualche riferimento alla collaborazione con Jeff Buckley (prestò la voce in Beneath The Southern Cross e suonò in Fireflies, canzoni dell’album Gone Again). Nulla di tutto ciò.
Il disordine regna nella sua abitazione, come nella visione del film. Patti Smith vuole un contatto immediato con chi la guarda, specie se parte di una nuova generazione, la sola capace di sollevare il mondo e cambiarlo. Lo fa intendere, citando Walt Whitman: “Giovane poeta che tra cent’anni vivrai, io scrivo per te. Sto pensando a te mentre osservo questo fiume, sto pensando a te, giovane poeta non ancora nato, mentre osservo il cielo”. Un riferimento importante è lo scrittore Allen Ginsber, esponente della Beat Generation, oltre a William Burroughs e Bob Dylan. Nell’album Peace & Noise, c’è Spell, versi in musica di un poema assai discusso di Ginsberg, “Howl” (L’urlo). Il brano chiude il dvd, con Patti Smith che cammina per le strade della città santa, Gerusalemme:
Il mondo è santo, l’anima è santa
La pelle è santa
Tutto è santo, tutti sono santi…
Ogni giorno è un’eternità
Ogni uomo è un angelo…
Il pazzo è santo, come tu, anima mia, lo sei
La poesia è santa, gli ascoltatori sono santi
San Pietro, San Allen, San Salomone, San Lucien,
San Kerouac, San Huncke, San Burroughs, San Cassidy
Santi gli sconosciuti dannati, i mendicanti dolenti
Santi gli orribili angeli della terra…
Appare insieme a Sam Shepard, suo vecchio amico, celebre drammaturgo e attore americano (coautore con Dylan di Brownsville Girl). Patti Smith siede su un piccolo baule del sedicesimo secolo. Dietro, una statua del bambino Gesù. Sul muro una foto di Gandhi e un santino più piccolo, l’immagine della Sacra Sindone. Simboli di un misticismo tangibile e familiare all’artista, visibile non solo nell’arredamento spartano. La poesia di Patti Smith è figlia dell’esperienza religiosa: c’è la dannazione, la catarsi e la redenzione, la tensione verso Cristo, Buddha e Arthur Rimbaud.

Prima di diventare un filmato (forse il modo migliore per definire il dvd), “Dream of life” è stato un disco. E’ il 1988, anno del ritorno sulle scene, dopo un lungo periodo di silenzio. Riesplode la rabbia di Horses, il suo primo album, ma in maniera più matura e controllata. Pesa ancora la morte del marito Fred Sonic Smith, del fratello Tod, la scomparsa di altri suoi collaboratori, il musicista Richard Sohl e il fotografo Robert Mapplethorpe, cui dedicherà una raccolta di poemi intitolata “The Coral Sea”. I primi minuti del dvd sono un elogio funebre a chi non c’è più nella sua vita. Lo aveva già fatto in Wave, album che commemora il marito, lui che riuscì a dare un’anima musicale alle sue parole. Gli insegnò a suonare la chitarra, il tempo di imparare pochi accordi, appena cinque. Per poi accompagnarlo fino al cancello del paradiso e cantargli in Frederik:
Hi hello
Wake from thy sleep
God has given your soul to keep
all of the power that burns in the flame
ignites the light in a single name…

Il messaggio del film (ostiniamoci a definirlo così) è comunque positivo: “fantastico essere vivi”. Lo dichiara la stessa Smith durante la presentazione alla stampa italiana del dvd, lo scorso febbraio, in una libreria a Roma. “Il film nasce dopo alcuni lutti in famiglia e tra amici. Dovevo andare avanti. Continuare a badare ai miei bambini. Creare. Comunicare alla gente”. “Il messaggio è che non importa quanto soffri, devi essere felice perché vivi e sopravvivi”. Una vera resurrezione, dopo un lungo Venerdì Santo.
C’è un album che testimonia la rinascita di Patti Smith: Easter (Pasqua). Insieme al successivo Wave, segna la fine di anni orribili, causati dalla morte e dal pessimismo delle precedenti produzioni, specie Radio Ethiopia.
Dischi che cantano un rinnovamento umano e spirituale fondato sul cristianesimo cattolico. Patti rimane affascinata da Giovanni Paolo I, dalle sue uscite pubbliche, dal suo sorriso, da un’affermazione attribuita al Pontefice: “Per me la musica è una riconciliazione con Dio”. Quell’espressione – racchiusa in una foto all’interno del disco “Wave” – scioglie il cuore di Patti Smith, figlia di una testimone di geova. Lei così confusa e lontana dal trascendente, senza più un marito da amare, ma con Gesù che si trasfigura in Albino Luciani.
A lui scrive, in una nota di copertina: “Caro Papa, è passato molto tempo da quando ci parlammo. Qui è come una triste bicicletta, passata da queste parti. Il mattino è la ruota, in qualche modo dobbiamo farla girare! E mentre gira, quando dobbiamo fermarla?”. E’ grata al Papa per quanto offerto nel suo breve pontificato, maliconica perché costretta a sopportare il vuoto di un’assenza, ancora una volta.
In “Easter” si sentono le campane suonare in segno di festa, quelle che scandiscono la domenica di resurrezione. E’ ormai lontano quel grido blasfemico cantato in Gloria (album Horses, cover di Van Morrison): “Gesù è morto per i peccati di qualcun altro, non per i miei. I miei peccati sono solo miei: mi appartengono”.
Jesus died for somebody’s sins, but not mine”

https://www.youtube.com/watch?v=xxygqSTO1lQ

Nelle note di copertina, cita San Paolo apostolo: “I have fought a good fight, I have finished my course…” (2 Timoteo 4,7). La morte torna d’attualità nei testi di Patti Smith. Per risorgere, bisogna prima patire e morire. Passaggi obbligati, e lo scrive nel testo di “Easter”:
Recintando difendendo le lenzuola di carne
avvolgendo e legando e poi il riposo.
Secondi di attesa in attesa del dolore
lamentando, esalando. Passato attraverso la stranezza.
La morte è una danza. Un ballo.
Un guanto, un’estensione di totale abbandono nell’amore.
Privilege è la canzone simbolo del principio cristiano della sua resurrezione, ispirata al Salmo 22: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare…
Patti Smith proclama la prima parte del salmo in modo solenne:
The Lord is my shepherd
I shall not want
He maketh me to lie down in green pastures
He leadeth me beside the still waters
He restoreth my soul
He leadeth me through the path of righteousness for His name’s sake
Yea, though I walk through the valley of the shadow of death,
I will fear no evil, for Thou art with me
Trasforma il palcoscenico in un’aula liturgica, da vera sacerdotessa del rock. Il brano trasuda speranza e liberazione e si conclude con la seconda parte del salmo 22:
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.

Patti Smith continua a stare lì sopra, su ogni palco del mondo, con una gran voglia di combattere per sè e per gli altri. Alza la voce, prega, piange, sputa – nel senso letterale del termine! L’energia, la forza del suo messaggio si estende ai giovani. “Il rock è la voce artistica delle nuove generazioni” sentenzia in “Dream of Life”. “Che si sollevino le nuove generazioni. Sollevatevi, occupate le strade. Credete al cambiamento, il mondo è vostro” tuona in un comizio pubblico, durante una manifestazione anti militarista.
Una pasionaria, l’ultimo baluardo di un movimento musicale che ha regalato al mondo il sogno di un cambiamento radicale, d’una rivoluzione sociale che tarda a realizzarsi. In Memento Mori (album “Piece & Noice”), Patti Smith canta la caducità dell’uomo, la sua fine carnale. Canzone nata dalla visione di un teschio posto alla base di un crocifisso, esposto in una chiesa romana, con su scritto: “Ricordati che devi morire”. Nella tradizione monastica si ripeteva spesso per ricordare gli uni agli altri il senso della vita e l’apertura all’eternità, dopo la morte. Per Patti Smith una cosa non morirà mai, più dell’anima e del corpo: la poesia. Sopravviverà alle leggi del tempo e dello spazio, legando in terra ciò che è di lassù. Un modo punk di continuarsi nella posterità, lasciando traccia di sè ovunque, scrivendo.
Lei è una sognatrice. Con l’illusione del rock e la forza della poesia, il desiderio di Patti è una civiltà più giusta, rispettosa delle differenze, come è scritto nel libro del profeta Isaia (11,6):
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
Patti Smith ci sarà sempre, a ricordare ad ognuno che abbiamo il potere di cambiare il mondo. Il potere di sognare e di essere felici. Insieme.
Dove c’erano deserti
ho visto fontane
come crema le acque si ergevano
e noi passeggiavamo lì insieme
senza niente da deridere o criticare
e il leopardo e l’agnello
dormono insieme veramente vicini
Stavo sperando, nelle mie speranze,
di richiamare ciò che avevo trovato
Stavo sognando nei miei sogni… Dio sa
Una vista più pura
mentre mi abbandono al mio sonno
Ti affido i miei sogni
Il popolo ha il potere… Noi abbiamo il potere

Gemme n° 74

https://www.youtube.com/watch?v=jsGMHgddwPw

«Change» di Taylor Swift è una canzone che vuole incoraggiare coloro che stanno subendo una determinata situazione, come degli atti di bullismo. Arriverà giorno in cui si vincerà: e bisogna resistere”. Il testo proposto da T. (classe quarta) fa riferimento a momenti e sensazioni non facili da sopportare: “Così, siamo stati superati di numero, abbiamo subito un’incursione e siamo stati messi all’angolo. E’ dura combattere quando la lotta non è alla pari”. Sembra che il momento di soccombere, perdere e cedere sia molto vicino; e proprio quello in cui si deve cercare di resistere è il momento più difficile, quando servono maggiori forze e risorse. “Stanotte noi restiamo, non rimaniamo in ginocchio, combattiamo per quello per cui abbiamo lavorato in tutti questi anni. E la battaglia sarà lunga, è la lotta delle nostre vite, ma noi ci alzeremo da campioni stanotte”.
Riporto ora alcuni versi de “La notte dei desideri” di Jovanotti, perché vi trovo delle affinità con quanto proposto da T.: “È una notte come tutte le altre notti, è una notte che profuma di avventura. Ho due chiavi per la stessa porta per aprire il coraggio e la paura; vedo un turbinio di gente colorata che si affolla dietro a un ritmo elementare. Attraverserò la terra desolata per raggiungere qualcosa di migliore… Vedo Cristoforo Colombo il marinaio: è arrivato il mio momento per partire. Cosa pensa il trapezista mentre vola? Non ci pensa mica a come va a finire!”.

Gemme n° 69

La prima volta che ho sentito questa canzone è stato tre giorni fa. Mi ha trasmesso subito qualcosa; dopo di che l’ho ascoltata altre volte e ogni volta mi ha dato i brividi. E’ una canzone significativa che vuole aiutare gli stati colpiti dall’ebola; inoltre, mi piace che abbia a che fare col tema del Natale, con la speranza. Non è che una canzone risolva tutti i problemi, però può far nascere la speranza o la forza di superare gli ostacoli in chi è colpito direttamente o nei famigliari.” Queste sono le parole con cui M. (classe quinta) ha presentato la sua gemma.
La prima versione di questa canzone, sempre per merito di Bob Geldof, è del 1984 e qui sotto pubblico il video. In entrambe c’è Bono Vox degli U2 che ha detto una frase che mi piace riprendere a commento delle parole di M.: “In una canzone i sentimenti sono più forti delle idee o delle parole. Si possono avere mille idee, ma finché non catturano l’emozione, rimangono una sterile dissertazione.”

Gemme n° 55

I Coldplay sono stati portati in classe da M. (classe terza). “Siamo adolescenti, ci stiamo affacciando all’essere adulti e le sofferenze iniziano: ci sono momenti in cui ci sentiamo giù. Questa canzone l’ho sentita moltissimo e ogni volta che sono giù è l’unica canzone in grado di tirarmi su. Il titolo sembra non c’entrare nulla col testo, sembra allegorico. Mentre la ascoltiamo, proviamo a pensare a qualcuno o a qualcosa che ci faccia dire “viva la vita”. Viviamo di queste cose, di questi ricordi.”

Parto da lontano per arrivare a una canzone che mi fa dire “viva la vita”. C’è un personaggio biblico che deve affrontare un viaggio nella profonda solitudine esistenziale, una di quelle che fanno più male, perché è la condizione dell’abbandonato, o meglio, di colui che è divenuto merce di scambio: e la cosa che crea più dolore è che il commercio è stato organizzato da chi dovrebbe esserti più vicino, in quanto legato a te dal sangue. Mi sto riferendo a Giuseppe, il figlio di Giacobbe, venduto a dei mercanti ismaeliti dai suoi fratelli.
C’è una canzone dello svedese Avicii che nelle prime due strofe si adatta bene alla condizione di Giuseppe. Il brano è “Wake me up” (2013) e le parole sono: “Sento la mia strada nell’oscurità, guidato da un cuore che batte, non so dove il viaggio si concluderà ma so da dove iniziare”. E continua con quello che voglio leggere come un accenno alle invidie e gelosie dei fratelli di Giuseppe nei confronti della benevolenza del padre verso il figlio di Rachele e la sua capacità di sognare e interpretare i sogni: “Hey! Loro mi dicono che sono troppo giovane per capire, dicono che sono rinchiuso in un sogno. La mia vita mi passa davanti se non apro gli occhi, a me va bene così”.
Ascoltare i sogni delle persone e con essi leggere il futuro: questo dono, che poi diventa l’ancora di salvezza per Giuseppe, all’inizio è un regalo scomodo. Ho già scritto che è uno dei motivi di odio dei fratelli; immagino anche che non sia stato facile per lui riferire al capo dei panettieri del faraone la sua triste sorte. Dai tre canestri di pane bianco che tiene sulla testa e che vengono divorati dagli uccelli, Giuseppe deduce, di lì a tre giorni, l’impiccagione dell’uomo e la lacerazione delle sue carni da parte dei volatili… Provo a vestire gli abiti di Giuseppe e penso che non è facile, che vien voglia di non dormire più per evitare quei sogni, che vorrei non dover chiudere gli occhi quando viene sera, che desidererei restituire gentilmente quel dono (un po’ come i precog del film “Minority report” che abbiamo visto in classe). Ma sento anche che se questo è il Suo disegno un motivo deve esserci, e che forse anche io, prima o poi, scoprirò il senso di questo essere qui in Egitto, lontano da mio padre e mia madre, forse anche io capirò il significato del mio viaggio, forse anche io saprò chi sono. Ancora Avicii: “Svegliami quando sarà tutto finito, quando sarò saggio e vecchio… Vorrei rimanere giovane per sempre, non temo di chiudere i miei occhi. La vita è un gioco fatto per tutti e l’amore è il premio. Per tutto questo tempo stavo trovando me stesso e non sapevo che mi ero perso”.

Gemme n° 46

E’ stata sintetica nel presentare la sua gemma S. (classe quarta). “Non ho molto da dire. E’ una canzone sull’importanza di vivere la propria vita al 100%”. Ecco il video:

“Voglio lasciare le mie orme sulle sabbie del tempo. So che c’è qualcosa che ho lasciato alle spalle; quando lascerò questo mondo, me ne andrò senza rimpianti. Lascerò qualcosa da ricordare, così non mi dimenticheranno. Ero qui … Ho vissuto, ho amato. Ero qui … Ho fatto, ho fatto, tutto quello che ho voluto ed è più di quello che ho pensato sarebbe stato. Lascerò il mio segno, la mia anima, tutti sapranno che ero qui …”
Alex è un amico che se n’è andato il 2 gennaio 1999 a causa di una malattia. Pochi giorni prima di andarsene queste sono state alcune delle sue parole: “Giovani amate la vostra vita, non buttatela in stupide sciocchezze. Amatela fino in fondo, lottate per essa, abbiate coraggio e speranza sempre, in ogni momento… Che la vostra vita non sia una vita sterile… siate utili… “lasciate traccia”.”

Gemme n° 45

La gemma proposta da S. (classe seconda) è composta da quattro citazioni. La prima è di Giordano Bruno: “Un’unica Forza, l’Amore, lega e dà vita a infiniti mondi”, l’amore come forza vitale e creatrice, capace di essere sostegno unico e indispensabile. La seconda è Di Jimi Hendrix: “La pazzia è come il paradiso. Quando arrivi al punto in cui non te ne frega più niente di quello che gli altri possono dire..sei vicino al cielo”. Ha detto S.:”Questa frase per me è significativa perché mi è capitato di essere esclusa e giudicata per il mio modo di essere. Ne sono uscita fortificata quando ho imparato a non badare al giudizio degli altri”. La terza frase è di Cicerone: “Finché c’è vita, c’è speranza”. S. ha valutato la speranza come uno dei valori fondamentali per lei. Infine una frase “con la quale voglio sottolineare l’importanza dell’amicizia e del riuscire a intendersi con uno sguardo, un cenno”. E’ una frase di Gandhi: “Se urli tutti ti sentono, se bisbigli ti sente solo chi ti sta vicino, ma se stai in silenzio solo chi ti ama ti ascolta..”.

Mi soffermo sulla seconda frase, quella di Jimi Hendrix, restando in ambito musicale e proponendo una vecchia canzone di Vasco Rossi. “Jenny non vuol più parlare, non vuol più giocare, vorrebbe soltanto dormire. Jenny non vuol più capire, sbadiglia soltanto, non vuol più nemmeno mangiare. Jenny è stanca, Jenny vuole dormire. Jenny ha lasciato la gente a guardarsi stupita, a cercar di capire le cose. Jenny non sente più niente, non sente le voci che il vento le porta. Jenny è stanca, Jenny vuole dormire. Jenny non può più restare, portatela via, rovina il morale alla gente. Jenny sta bene, è lontano… la curano, forse potrà anche guarire un giorno. Jenny è pazza, c’è chi dice anche questo. Jenny ha pagato per tutti, ha pagato per noi che restiamo a guardarla ora. Jenny è soltanto un ricordo, qualcosa di amaro da spingere giù in fondo. Jenny è stanca, Jenny vuole dormire.” E nel ritornello la voce di chi la conosce davvero: “Io che l’ho vista piangere di gioia e ridere, che più di lei la vita credo mai nessuno amò. Io non vi credo, lasciatela stare, voi non potete!”.

Gemme n° 35

Ho portato questa poesia di Madre Teresa perché penso possa aiutare nei momenti bui in cui si fa fatica a cogliere il senso della vita: la vita va assaporata in ogni suo momento. Sono parole che mi tirano su e mi fanno riflettere”. Con queste parole S. (classe seconda) ha presentato “Vivi la vita”:
La vita è un’opportunità, coglila.madre teresa
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un’avventura, rischiala.
La vita è felicità, meritala.
La vita è la vita, difendila.”
Mi è venuto in mente questo racconto riportato da Anthony De Mello:
Un giovane era inseguito da una tigre. Arrivato al bordo di un precipizio, iniziò a scivolare, ma riuscì ad aggrapparsi ad un ramo che cresceva lungo il pendio del precipizio.
Guardò in alto e vide la tigre che lo osservava: non c’era modo di risalire.
Guardò in basso e vide uno strapiombo di circa duecento metri e al suo fianco un arbusto con delle bacche mature. Ne prese una, se la portò alla bocca e ne gustò il sapore!”.

Un’altra candela accesa

Sorriso

Non esiste alcun dovere tanto sottovalutato quanto l’essere felici. Quando siamo felici, disseminiamo il mondo di buone azioni involontarie, che rimangono sconosciute persino a noi stessi, o, quando vengono scoperte, sorprendono per primo il benefattore.
[…] Preferisco imbattermi in un uomo o una donna felici che in un biglietto da cinque sterline. Irraggiano serenità e quando entrano in una stanza danno l’impressione che un’altra candela si sia accesa. Non ci interessa che sappiano dimostrare il quarantasettesimo teorema (di Euclide); fanno di meglio, dimostrano con i fatti il grande teorema della Vivibilità della Vita.” (Robert Louis Stevenson, In difesa dei pigri)

Gemme n° 29

Ho visto questo filmato in estate e mi è venuto in mente appena il prof ci ha proposto questo lavoro delle gemme. Mi piace l’idea che c’è dietro, quella di dare speranza, di regalare un sorriso e dei sogni a chi ne ha bisogno. La vita è troppo breve per essere sprecata, dice la canzone. Penso che noi possiamo e dobbiamo essere il cambiamento per chi ha perso la speranza.”

Ecco il video proposto da C. (classe quarta).

Nelle spiegazioni del video i ragazzi spiegano che per questo filmato hanno utilizzato ceciliaun attore perché non trovavano giusto filmare una persona nel disagio senza chiedere l’autorizzazione né sapere chi fosse. Mi sono venute in mente le pagine del libro che sto leggendo: “Ballando con Cecilia” di Pino Roveredo. Si racconta l’approccio di una persona a un ex Manicomio e ai suoi abitanti, un approccio che si basa su cose semplici, essenziali: “E’ anche vero che le sigarette, come i calici di vino o i caffè che si offrono alle soste indigenti appoggiate al bancone, diventano un ottimo motivo per frequentare il saluto, la discussione breve, o la battuta che muove la noia”. Il protagonista riesce a far breccia con una cioccolata bianca nella scontrosa difesa di Cecilia, che afferma “Sì, le cioccolate, e tutto quello che ha a che fare con il gusto dolce… Io ho sempre pensato che se mettessero lo zucchero sopra il dolore si soffrirebbe di meno e si guarirebbe prima, ma molto prima…”.

Gemme n° 16

Ho portato questa canzone perché è uno dei miei gruppi preferiti. La musica italiana spesso è sottovalutata e denigrata, e devo ammettere che non è poi tanto sbagliato… Ma ci sono anche cose interessanti, come questa.”

E’ stata questa la gemma di A. (classe quarta). “Il testo è molto ricco, mi aiuta a guardare a domani, oltre le cose negative, a vedere le cose in modo diverso.”
Mi soffermo su un piccolo verso della canzone: “E c’è gente che ha un ascensore nella testa e una scala a pioli nel cuore.” Mentre la ascoltavo in classe, questa frase mi ha fatto pensare al fatto che la ragione, la testa, spesso obbedisce alla legge della logica, e quindi cerca la via più breve e magari comoda per arrivare a destinazione; mentre il cuore preferisce la lentezza e il rischio di una scala a pioli, in cui deve essere sicuro di aver poggiato bene il piede prima di avanzare. Tuttavia, in caso di mancanza di corrente, l’ascensore della mente si blocca, la scala del cuore resta in servizio…
Per chi volesse il testo di “Salva gente”: Salva gente

Gemme n° 2

La gemma di oggi l’ha regalata B. (classe quarta). Per la verità ne ha regalate due, entrambe facenti riferimento a vecchi film. La prima, tuttavia, ha come punto di interesse una canzone: siamo nel film “Colazione da Tiffany” e Audrey Hepburn canta con in braccio la chitarra “Moon River”. “E’ una canzone che riesce a mettermi calma e serenità ogni volta che la ascolto”.

La seconda gemma è un’istantanea: le parole conclusive di Rossella O’Hara in “Via col vento”, il film preferito di B. La motivazione della scelta? “Ammiro la forza di questa donna, disposta a fare mille sacrifici, e che non perde mai la speranza come confermano le sue parole finali «Dopotutto, domani è un altro giorno»”.

Accompagno questa gemma con una canzone di Roberto Vecchioni, un suo inno alle donne: “Le mie donne”. Fa parte dell’album “Io non appartengo più”, uscito un anno fa e ha delle cadenze folk irlandesi. Consiglio di ascoltare bene tutto il testo, ma segnalo alcune delle parole che più mi piacciono: “La mia donna ha combattuto con le nuvole dietro l’orizzonte della verità, senza un tonfo di speranza e con i brividi di portare in seno quello che sarà; dalle donne stanche di arare in una terra fradicia di sole, dalle donne in un ospedale con le mani piene di dolore, dalle ragazze dentro un urlo lungo le strade a pugni chiusi, da una storia senza fine da un universo di soprusi. Dove lanciano aquiloni dietro i fulmini, per vedere quanti sogni vengon giù, e ci insegnano il mestiere d’esser uomini, cosa che non ricordiamo quasi più”.

Gemme n° 0

Apro una nuova sezione nel blog: GEMME. Ho chiesto ai miei studenti di pensare a qualcosa (una canzone, una scena di un film, una pagina di un libro, un quadro, una foto, un oggetto…) per loro significativo e che desiderano far conoscere ai compagni come fosse una gemma preziosa. Il pomeriggio, poi, metterò qui sul blog i loro spunti. Intanto metto una mia gemma, quella che presenterò loro questa settimana.

In sottofondo “I giorni migliori”, Tiromancino.
Ci sono nell’aria delle cose che dentro di noi conosciamo a memoria perché sono quelle che sentiamo più nostre, più personali, che sentiamo veramente come parte di noi e che non possiamo condividere magari per paura o solo proprio perché desideriamo che continuino a restare nostre. Mi viene da pensare ai sogni, alle speranze, ma anche al senso che possono avere per noi una determinata foto, una certa canzone, una stella alpina chiusa tra le pagine di un libro…
Queste cose, che poi formano la nostra identità, non vanno mai rinnegate, soprattutto nei momenti difficili, in quei momenti in cui niente va per il verso giusto, in cui resta ben poco a cui aggrapparsi, in cui sembra proprio di essere tagliati fuori, di essere rimasti fermi mentre tutti continuano a correre felici verso la loro meta “in continuo movimento”. E’ proprio questo il momento in cui difendere le fragili cose che sentiamo nel cuore. Come? Facendo volare “in alto i nostri pensieri più limpidi”.
In questa canzone Federico Zampaglione parla di speranza, di ideali, di valori ma anche e soprattutto delle piccole cose che poi rendono concreti la speranza, gli ideali, i valori. Per una persona che è finita a terra, che si è ritrovata precipitata in una situazione difficile, è forse più facile pensare al futuro, cercare di rimettersi in piedi, riscoprendo l’interesse per le piccole cose. Non penso che sia parlando dell’amore o della fiducia che mi torno ad innamorare, ma ricevendo o dando una carezza, uno sguardo, un bacio, un abbraccio… “perché sono le sfumature a dare vita ai colori e a farci tornare in mente le cose più pure dei giorni migliori”. Si potrebbe allora pensare che si tratti di una canzone che parla di nostalgia, di un passato comunque migliore del presente che stiamo vivendo o del futuro che potrebbe arrivare. Ma c’è l’ultimo verso a venirci in soccorso, che ci invita a non cercare facili scorciatoie, ma a basarci sulla strada in cui crediamo e sul coraggio di percorrerla: “Non ci sono percorsi più brevi da cercare, c’è la strada in cui credi e il coraggio di andare”. E la forza di mettersi in cammino sulla strada è quella che emerge in tutti i brani di chiamata che troviamo nella Bibbia, da quelli dei profeti a quelli dei discepoli, e tutti richiedono un movimento, di piedi e di cuore. Cito solo l’inizio del Vangelo di Marco: “Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui”.
E il discorso si può estendere a tutti i viaggiatori, da Siddharta a Ulisse, da Frodo a Marco Polo, da Gilgamesh a Terzani.