Orizzonte

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ORIZZONTE

Mare anteriore a noi, le tue paure
avevano corallo e spiagge e alberete.
Sbendate la notte e la caligine,
le tormente passate e il mistero,
si apriva in fiore la Lontananza, e il Sud siderale
splendeva sulle navi dell’iniziazione.

Linea severa della riva remota:
quando la nave si approssima, s’alza la costa
in alberi ove la lontananza nulla aveva;
più vicino, s’apre la terra in suoni e colori:
e, allo sbarco, ci sono uccelli, fiori,
ove era solo, di lontano, l’astratta linea.

Il sogno è vedere le forme invisibili
della distanza imprecisa, e, con sensibili
movimenti della speranza e della volontà,
cercare sulla linea fredda dell’orizzonte
l’albero, la spiaggia, il fiore, l’uccello, la fonte:
i baci meritati della Verità.

(Fernando Pessoa)

Noi a restare

Mi piace occupare il tempo libero, così come occupo le attese. Non vado mai dal medico, dal dentista, a prendere mia moglie in stazione, dal meccanico senza un libro o una rivista. Non è che ho paura di aver tempo per pensare, è che penso leggendo; il che mi porta, inevitabilmente, a dover rileggere certi passaggi.
Oggi vado a Trieste, incontro a Sara che finisce di lavorare verso le 14.45-15.00. Ci vado in treno, al Lisert prevedono code verso la Croazia. Quel “verso le” e la scelta del treno sono un chiaro invito a portarmi dietro un libro, ma “L’armata dei sonnambuli”, che sto leggendo, è un tomo troppo pesante. Non mi resta che sceglierne e iniziarne un altro; e qui ringrazio la Sellerio con i suoi splendidi “libretti blu”. Vada per “Ad occhi chiusi” di Carofiglio. Ho fatto bene. A portarmi dietro il libro, intendo. Sara finisce alle 15.45 e mi consente di consumare una crema di caffè, mezzo litro di acqua e una ottantina di pagine.
Ora accelero. Passeggiata, acquisti alla libreria Lovat (vinco io 3 libri a 2 e Sara perde pure una settantina di euro, che io chiamo investimento), ripasseggiata, tipico aperitivo abbondante triestino (che a Palmanova te lo scordi), stazione.
Ora rallento. Oblitero male il mio biglietto, avviso il controllore che dice “Tranquillo, ci sono io su questo treno” (lo so, anche a me è sembrata una minaccia). Saliamo, prendo lo smartphone, apro Instagram e faccio uno scatto.
Poi leggo una decina di minuti mentre Sara è al telefono con sua mamma, entrambe felici per una bella notizia. Partiamo, riprendo in mano lo smartphone e faccio un’altra foto, questa.

Fuori

La guardo e penso che è strano: in treno hai la sensazione che sia il paesaggio fuori a muoversi, a venirti incontro e poi allontanarsi, mentre ti pare di essere fermo. Lo sintetizzo sotto la foto: a volte pensare che sia il fuori a passare e noi a restare. Riprendo in mano il libro e Carofiglio fa dire ad Emilio, un personaggio appena entrato nel romanzo: “«Sai, Guido, allora pensi un sacco di cose. E soprattutto pensi al tempo sprecato. Pensi alle passeggiate che non hai fatto, alle volte che non hai fatto l’amore, a quando hai mentito. A quando hai fatto il ragioniere con la moneta degli affetti. Lo so che è banale, ma pensi che vorresti tornare indietro e dirle quanto la ami, tutte le volte che non lo hai fatto e avresti dovuto. Cioè sempre. Non è solo il fatto che vuoi che non muoia. E’ il fatto che vorresti che il tempo non fosse stato sprecato, in quel modo.» Parlava al presente. Perché il suo tempo si era spezzato” (pag. 88).
Ho scritto anche io al presente, non perché il mio tempo si è spezzato, ma perché ho voluto sospendere in questa notte il pensiero, anzi i pensieri che desidero mandare a tutte le persone che ho nel cuore e che vivono o hanno vissuto una situazione simile a quella di Emilio e che vorrebbero, almeno per un po’, che fosse il fuori a passare e noi a restare.

Consolazione

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Ben ritrovati! Riprendo l’aggiornamento del blog dopo un periodo di pausa, tranquillità e pace coincidente con le ferie di mia moglie. Il primo post lo dedico a una foto che ho scattato domenica. Michele, il figlio di una coppia di cari amici, è appena scivolato e sta piangendo per lo spavento. Piano piano si avvicina Mou che inizia a leccargli dolcemente le manine. Quando un bimbo piange non per puro capriccio, fa un singhiozzo molto lungo e finisce in una specie di apnea e sembra non respirare, prima di immettere nei propri polmoni una grande boccata di aria e lanciarsi in un grido di disperazione. In ebraico i termini consolare-consolazione giungono dalla radice nhm, respirare profondamente, gemere, “far respirare”, far tirare il fiato. La vicinanza, la condivisione, anche muta, ma presente, l’essere accanto, il prendersi cura, il dire “sono qui”. Ne abbiamo bisogno tutti. E conoscendone il bisogno, sono chiamato a farlo per l’altro.

Tra vita e morte

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Spesso vivo dopo. Le emozioni, intendo. Non sempre sono caldo, pronto a reagire emotivamente a quel che mi accade, anzi la maggior parte delle volte sono freddo, quasi distaccato. Le emozioni, però, non spariscono, lavorano e scavano e poi escono. Oggi, come ogni 23 giugno dal 2007 in qua, è una bella giornata, perché è l’anniversario del matrimonio con Sara e quindi è il giorno in cui celebriamo e festeggiamo il nostro amore, la nostra storia, il nostro essere insieme, le nostre vite. Ma quella di oggi è anche una giornata triste: ieri se ne è andato Cris, un compagno di squadra dell’ultima stagione pallavolistica. Lo descrivo con questo scambio di battute:

Mi si è rotto il compressore”
Ne ho uno nuovissimo, va benone: ti serve?”
Sto cercando un nuovo processore per il pc”
Su internet ne ho visto uno che costa poco, vuoi che veda se c’è ancora?”.

Lo sfottevamo in spogliatoio: “Cris, se ti dico che non mi va la centrale termica, mi dici che a casa ne hai una nucleare, e posso stare sicuro che è vero!”.
Di lui mi porto nel cuore anche una chattata notturna dell’ultimo Super Bowl giocato a inizio febbraio.

Ecco, ho messo insieme queste due cose e ho salutato Cristiano su fb scrivendo una citazione di Sally: “un brivido che vola via”. Un brivido, un soffio, un attimo e la vita non c’è più, le presenze che diamo per scontate svaniscono e ci restano ricordi e speranze di fede. Mia moglie mi ha detto che se non me la sentivo potevamo fare a meno di andare a cena fuori stasera. Le ho detto di no, che ho bisogno di vita per contrastare la morte, come domani sera ho voglia di andare in palestra ad allenamento. Certo, il pensiero andrà anche a Cristiano e sarà il nostro modo per farlo vivere ancora. Continuare l’amore è l’unica strada che conosco in questi momenti, anche se stanno diventando un po’ troppo frequenti.

Tra Joy Division, Stone Roses e James

Sul sito Arena dei rumori Max Granieri scrive un post in cui cita un evento di qualche anno fa e una prossima uscita musicale. Consiglio sia il pezzo che il video sottostante, decisamente commovente e creativo!
“14 aprile 2006. Sulla terza rete televisiva della BBC andava in onda “Manchester Passion” (la Passione di Cristo a Manchester). Era il Venerdì Santo e la rete di stato britannica realizzò un musical religioso con le canzoni più famose delle rock band di Manchester e non solo.
Tra i protagonisti di “Manchester Passion” (guardalo su YouTube) la talentuosa Denise Johnson nel ruolo della Vergine Maria, già Primal Scream nel celebre album “Screamadelica”; Tim Booth, leader e vocalist degli James, nei panni di Giuda. Fu un colpo di genio degli autori associare “Love Will Tear Us Apart” dei Joy Division alla scena biblica dell’Ultima Cena, “I Am The Resurrection” degli Stone Roses alla Resurrezione di Cristo o “Search For A Hero” dei M People a Maria che meditava su quel Figlio prossimo alla crocifissione.
Lo “spettacolo” includeva la processione di una croce per le vie della città. In diretta nazionale, la finzione teatrale si alternava alle testimonianze dei giovani in corteo che esaltavano la positività del sacrificio di Cristo crocifisso. La musica contemporanea mai è stata così vicina alla fede religiosa.
Una canzone di Tim Booth “Sit Down” è cantata da Gesù nel Getsemani nel momento in cui chiede ai discepoli di vegliare con lui. Un canto nell’ora più buia, mentre si attende il giorno dei giorni dove tutto si compirà. E si spera nella presenza di Dio perché bisogna affidarsi a Lui nel momento della prova: “A song from the darkest hour… Hope that God exists, I hope, I pray”. Nelle vesti di Giuda, Tim intona amaramente “Heaven Knows I’m Miserable Now” degli Smiths dopo aver tradito Gesù: “Il cielo adesso sa quanto sono miserabile”.
Tim Booth torna sulle scene con gli James per cantare la nascita della vita dopo la morte. Nel secondo singolo “Moving on” – tratto dall’album “La Petit Mort” in uscita il 2 giugno – il vocalist dei James riflette su cosa è accaduto (di buono) dopo la morte improvvisa di sua madre. Immaginando il brano incluso nella colonna sonora della Passione di Manchester, potrebbe evocare l’attesa silenziosa della resurrezione nel sabato santo…
L’idea del video che accompagna “Moving On” è spiegato nel blog della band: ”My Mother’s death was clearly a birth of some kind and that description caught Ainslie’s imagination”. La morte della madre per Tim ha significato la nascita di qualcosa; è l’intreccio tra morte e vita descritto dal regista Ainslie Henderson in un video tra i più belli degli ultimi anni.”

Nel bianco

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Ci sono volte in cui monto sulla macchina fotografica il teleobiettivo e perlustro l’ambiente intorno a me come se guardassi dal mirino di un fucile. In questo modo mi capita di cogliere particolari che non avrei potuto vedere a occhio nudo; ma succede anche di rischiare di perdersi cose come queste. E’ stata Sara a battermi con la mano sulla spalla a indicarmi i due gabbiani sulle croci. Sono su un piccolo lembo di terra che emerge tra Grado e Barbana. I due gabbiani assomigliano a due sentinelle che scrutano l’orizzonte. Sotto di loro le due croci, di altezze diverse (o piantate più o meno in profondità) ma gemelle con un crocifisso identico. Più sotto ancora la pietra commemorativa che parla di un tempo passato. Immagino che non sia difficile riuscire a

Doviersapere chi siano le due persone chiedendo a qualche amico di Grado; ho provato a fare una veloce ricerca su internet e ho trovato una notizia del 14 gennaio 1910 riportata su “Il Paese. Il giornale della democrazia”: “D’oltre confine. Tragedia accidentale tra fratelli. Grado — Un ragazzo tredicenne Giusto Dovier, maneggiando un fucile carico, lo puntò per ischerzo contro il fratello Felice d’anni 7. Disgraziatamente partì un proiettile che fulminò sull’attimo il piccolo Felice. Immaginarsi la costernazione dell’involontario fratricida”. Non so se si tratti della stessa persona.
Sotto le croci erbe selvatiche, rami secchi, e più sotto ancora pietre umide ad arginare un mare che può essere solo intuito. Oltre le croci, il bianco, che per me vuol sempre dire molte e variegate cose: la luce, la pienezza, il vuoto, il nulla, lo scrivibile, la purezza, la cecità, il bagliore, la speranza, la carta, l’ignoto.

 

Nella pienezza della presenza

Questa mattina in una classe siamo finiti a parlare di droga e del convincimento da parte di qualcuno che la vita sia destinata alla morte e veda in essa il suo unico scopo e fine. Allora mi sono tornate alla mente le parole di un’intervista di Luciano Ligabue che, presentando il brano “Nati per vivere (adesso e qui)”, afferma:

“Questa canzone è nata da un moto di fastidio per tutte le canzoni, e sono tante, che in maniera esplicita o indiretta dicono, in fondo, che «siamo nati per morire». L’ho sempre vista come una posa assunta da chi, grazie a quelle canzoni, vive poi da rockstar. Non so quanto alla fine quell’atteggiamento combini dei guasti – perché dipende in quanti ci si riconoscono –, ma in ogni caso mi son detto: adesso ne faccio una che dica proprio l’opposto.”

E ancora: “La canzone è nata da quel pretesto e musicalmente è viva, allegra. Volevo proprio che ci fosse questa leggerezza: se parliamo sempre di sinonimi larghi (non di sinonimi perfetti e precisi), per me leggerezza a sua volta è un sinonimo di vitalità. Questa canzone doveva avere – da un punto di vista musicale – esattamente queste caratteristiche, pur raccontando anche la fatica del vivere, le garanzie che non ti vengono date, le promesse non mantenute. Nonostante tutto, siamo «nati per vivere, adesso e qui». Questa canzone è una delle poche – in tutta la mia storia – che oltre al titolo principale ha un altro titolo fra parentesi, perché il concetto è completo solo con quella frase: «adesso e qui». Io lo ripeto più che posso, soprattutto per ricordarlo a me stesso. È una cosa che ha una funzione non lontanissima da Leggero: una cosa che ho bisogno di ricordarmi, perché è molto difficile metterla in pratica. Pochi di noi riescono a raggiungere uno zen tale per cui davvero riescono a vivere la vita nella pienezza della presenza, nel momento.”

https://www.youtube.com/watch?v=cRe68Dq0BRg

Ogni giorno è un altro giorno altro che domani

sveglia, paglia, mal di testa, prime imprecazioni

fra gli annunci non c’è niente il futuro è cominciato già

Ogni giorno è un altro giorno non lo puoi saltare

qualcheduno canta che sei nato per morire

fuori si alza ancora il vento chi lo sa se il tempo cambierà

Nati per vivere adesso e qui

sotto le costole un ritmo irregolare che non si fa dimenticare

Ogni giorno è un altro giorno altro che domani

le promesse che ti han fatto sono andate a male

la tua miccia è corta non sai quando la tua rabbia esploderà

Ogni giorno è un altro giorno non si può sapere

ciò che è andato storto adesso non lo puoi cambiare

ma respiri a fondo e senti che ora il tempo non ti scapperà

Nati per vivere adesso e qui

sotto le costole un ritmo irregolare che non si fa dimenticare

Nati per vivere è tutto qui

devo segnarmelo prima di morire un altro testo da imparare

Guarda come resti nell’inferno che perlomeno lì fa caldo

guarda come guardi in alto e chiedi come la mettiamo

guarda come è facile scordare la tua porca verità

Nati per vivere adesso e qui

sotto le costole un ritmo irregolare che non si fa dimenticare

Nati per vivere è tutto qui

devo segnarmelo prima di morire un altro testo da imparare

Happy

Prima ho pubblicato un post sulla felicità quotidiana. Quando mia moglie è tornata dal lavoro glielo ho mostrato e lei mi ha detto “Aspetta, guarda questo!”

FANTASTICO ED EMOZIONANTE!

Forse in questa casa

atelierIl 7 luglio 1973, nel giorno di un suo compleanno, Marc Chagall, all’inaugurazione del Museo con alcune delle suo opere, ha detto queste parole: “Se ogni vita va inevitabilmente verso la fine, dobbiamo, durante la nostra, colorarla, con i nostri colori di amore e di speranza… Forse in questa casa verranno i giovani e i meno giovani a cercare un’ideale di fraternità e d’amore, così come i miei colori e le mie linee l’hanno sognato… Forse non ci saranno più nemici…”.

Mi piacciono perché le posso pensare abbinate a un luogo fisico (una casa, una città, un ufficio, un atelier, uno studio, un luogo di culto, un parco) e a un luogo meno fisico se non addirittura metafisico (la mente, il proprio lavoro, un libro, un quadro, una canzone, un film, una poesia, un sorriso, una relazione, una storia d’amore, una fede, il cuore di ognuno…)

Come una madre con amore e dolore mette al mondo un bambino, i giovani e i meno giovani costruiranno il mondo dell’amore con un nuovo colore e tutti, qualsiasi religione abbiamo, potranno venirvi e parlare di questo sogno, lontano dalle malvagità e dalla violenza. Vorrei che in questo luogo si esponessero opere d’arte e testimonianze della spiritualità di tutti i popoli; che si facesse udire la musica e la poesia dettate dal cuore di tutto il mondo. E’ possibile questo sogno? Ma nell’arte come nella vita, tutto è possibile se, alla base, c’è l’Amore

Praise the Almighty

Leggo su UdineToday questo articolo di una collaborazione tra Dj Tubet e Mikeylous. Il pezzo è di Giancarlo Virgilio. A presto ci sarà il videoclip ufficiale.

djtubet«“Praise the Almighty”, l’ultima produzione di Dj Tubet è una canzone nata in rete. Su internet, attraverso Facebook, Soundcloud, Myspace e altri portali musicali, il rapper di Nimis ha conosciuto il giamaicano Mikeylous e da là è iniziata una forte amicizia rafforzata anche da alcune analogie.

“Lui è un campagnolo del nord della Giamaica, luogo dove è nato inoltre Bob Marley e che presenta forti affinità con il Friuli, essendo anche la terra che ospita il festival reggae Sunsplah, come un tempo noi ospitavamo il nostro Rototom Sunsplash. Il pezzo – ci spiega dj Tubet – è andato avanti e indietro tramite internet fra la Giamaica e Nimis. Volevamo dare un’idea generale di umiltà attraverso le nostre culture . La mia parte è in italiano e friulano, la sua in patois giamaicano”.

La canzone, il cui titolo è ‘Prega l’Altissimo’, rappresenta un punto di incontro tra la visione della preghiera di Mauro Tubetti e la religiosità giamaicana. Il pezzo ha un ritmo registrato a Ocho Rios – Saint Ann in Giamaica e contiene delle liriche che mettono in luce l’importanza di percorrere la strada affidandosi al volere del Padre. Questo il senso che l’artista vuole trasmettere.

“La mia idea del Divino e l’importanza delle sacre scritture come ispirazione. La preghiera come fondamento della nostra esperienza religiosa. Tutto questo va poi a mescolarsi con la visione religiosa nera. Una sorta di Europa che incontra l’Africa e le isole caraibiche. Mikeylous in una sua strofa afferma che hanno venduto e ucciso tutti i profeti, da Cristo ai profeti neri (Malcom X, Martin Luter, Marcus Garvey e lo stesso Bob Marley), perciò non resta altro che porre la sorte nelle mani di Dio.”

La canzone, contenete anche delle parti in lingua friulana, è stata trasmessa da Irie fm, la radio numero 1 per il reggae in Giamaica, e da alcune radio inglesi come City Lock Radio e Stingdemradio, oltre che da alcune radio regionali, fra cui Radio Onde Furlane.

“Penso che questa collaborazione sia un passo molto importante anche per la nostra lingua. Varca i confini e viene trasmessa su stazioni radiofoniche dove, molto probabilmente, è la prima volta che la sentono parlare. Fra poco dovrei andare a Londra per girare il video. Incrociamo le dita”.»

Intanto questo è il video con il testo (Dj Tubet canta prima in italiano e poi in friulano).

A testa in giù

KayakDomenica pomeriggio ho fatto una piacevole chiacchierata con Carlo. Mi ha raccontato di una sua grande passione, il mare, e del suo andare sull’acqua con il kayak. Mi ha detto dell’importanza di quando assecondare il vento e di quando compensarlo, di quando devi lasciare andare il kayak e di quando devi metterci forza, tutta quella che hai. Gli ho chiesto cosa devi fare quando ti ribalti, mi ha spiegato l’importanza della pagaia e della forza delle gambe che si devono ancorare, oppure che si devono stringere se vuoi sfilarti e uscire dal kayak. Mi ha raccontato che l’imbarcazione è stabile proprio perché è stretta e riacquista presto l’equilibrio.

E adesso prendo queste parole di Carlo e le porto nella mia vita di questo momento. Mi vedo su quel kayak, a compensare con la mente la forza del vento che vorrebbe spazzare la superficie, ad assecondare a volte quell’aria quando sento che è buona. Mi sono appena capottato e sto cercando di appoggiare la pagaia sul pelo dell’acqua per tornare in superficie. Mi ha detto Carlo che per imparare bene a tornare dritto è necessario capovolgersi più volte: nei prossimi mesi mi capiterà di nuovo e allora ho voglia di allenarmi. Grazie Carlo, mi hai parlato del mare, ho ascoltato vita.

Questa mattina ho saputo anche di un’altra persona che si trova a testa in giù su quel Kayak: forza Ale, guarda al pelo dell’acqua, punta alla luce, spingi la pagaia verso la superficie e fai forza. Non sei solo, tu sai come si fa.

Pensare a Domani

Stasera ho un bisogno personale, mi serve questa canzone, mi serve questo testo. E’ “Tomorrow” degli U2.Ha una duplice chiave di lettura:
• una madre preoccupata che invita il figlio a non uscire di notte (soprattutto se il contesto intorno è quello di una città nordirlandese)
• Bono che non vuole che la madre partecipi ai funerali del nonno perché sa che là lei avrà l’ictus che la porterà alla morte (il pezzo si apre con le uilleann pipes, delle specie di cornamuse suonate a braccio, molto utilizzate durante i funerali).
La paura è che la notte possa prolungarsi ben oltre la sua durata e che quindi regnino il buio, la morte, la solitudine, il senso di mancanza. E che sia una notte senza riposo, senza lasciare la possibilità di prendere sonno… Al centro della canzone si stagliano delle domande: “Chi ha rotto la finestra? Chi ha sfondato la porta? Chi ha squarciato il velo? E a causa di chi lo ha fatto? Chi sana le ferite? Chi guarisce le cicatrici?”. Il velo squarciato richiama il velo del tempio di Gerusalemme che si strappa al momento della morte in croce di Gesù. Qualcosa di importante si è squarciato anche nel cuore di Bono alla morte del nonno e della madre: ma c’è qualcuno che quelle ferite può sanare e cicatrizzare… Se nella prima parte della canzone non bisognava andare ad aprire la porta, ora bisogna fare proprio il contrario: “Apri la porta, apri la porta.” E l’apertura è alla risurrezione, a colui che porta la luce per far superare la notte e permettere al domani di arrivare: “Apriti, apriti, all’Agnello di Dio, All’amore di Colui che ridonò la vista ai ciechi. Sta ritornando. Sta ritornando. Oh credete in Lui.”

Non ritornerai domani? Non ritornerai domani?
Non ritornerai domani? Posso dormire stanotte?
Fuori, c’è qualcuno là fuori Qualcuno che sta bussando alla porta.
C’è un’auto nera parcheggiata Sul lato della strada
Non andare ad aprire Non andare ad aprire.
Sto uscendo. Sto andando fuori madre. Sto andando là fuori.
Non ritornerai domani, Non ritornerai domani,
Ritornerai domani? Posso dormire stanotte?
Chi ha rotto la finestra? Chi ha sfondato la porta?
Chi ha squarciato il velo? E a causa di chi lo ha fatto?
Chi sana le ferite? Chi guarisce le cicatrici?
Apri la porta, apri la porta.
Non ritornerai domani? Non ritornerai domani?
Ritornerai domani? Posso dormire stanotte?
Perché io ti voglio Io, io ti voglio
Io davvero ti voglio. Io, io voglio, io, io
Voglio che torni domani Io voglio che torni domani.
Ritornerai domani? Posso dormire stanotte?
Io voglio che torni domani Io voglio che torni domani
Ritornerai domani?
Apriti, apriti, all’Agnello di Dio
All’amore di Colui Che ridonò la vista ai ciechi.
Sta ritornando Sta ritornando Oh credete in Lui.

Kurt, Marilyn, Lenny, Giona

Per me uno dei vantaggi più grandi della rete è la possibilità di ascoltare tutta la musica che voglio. Quando avevo 15 anni non era facile sperimentare nuovi ascolti: potevo solo contare sul giro di amici o piazzarmi con la radio o mtv accese e sperare che passasse qualcosa di interessante. Di certo non potevo permettermi di comprare un vinile o un cd per il gusto di provare: andavo sul sicuro, sulla musica preferita. Oggi sicuramente manca un po’ di affezione agli ascolti, sicuramente si ascolta un disco meno volte, ma si può facilmente sperimentare ed è una delle cose che preferisco fare mentre lavoro a casa. In questi giorni sto ascoltando Brunori Sas con il suo Vol. 3 – Il cammino di Santiago in taxi. Questa sera ho ascoltato più volte il brano “Kurt Cobain”: con un titolo del genere non poteva non attirarmi… (tra l’altro quest’anno sono 20 anni che il cantante dei Nirvana non c’è più). Nel ritornello vengono citati Kurt Cobain e Marilyn Monroe, due persone la cui morte è avvolta nel mistero (più o meno montato) e su cui vi è l’ombra del suicidio. Il tema centrale qui è l’insensatezza del successo, la fatica dell’essere sotto i riflettori e di non poter mai spegnerli o abbassarne l’intensità, la falsa sensazione di essere amati da tutti mentre in realtà si è soli: “Ma chiedilo a Kurt Cobain come ci si sente a stare sopra a un piedistallo e a non cadere, chiedilo a Marilyn quanto l’apparenza inganna e quanto ci si può sentire soli e non provare più niente e non avere più niente da dire”. Parole dure che mi portano alla mente “Circus” di Lenny Kravitz, in cui lui si ribella al circo mediatico e al turbine del successo: “che tipo di circo è questo? ma che genere di clown siamo? quando c’è l’ultimo spettacolo? cosa posso fare per liberarmi?”.
Nelle strofe di Brunori ci sono le similitudini: vivere è come volare, come nuotare, come sognare. Ma il senso della canzone non è così semplice e immediato, almeno per me. Nella prima strofa c’è qualcuno che è in difficoltà, che si sente un recipiente senza contenuto, che non si sente protagonista della propria vita, che si sente proprio in fondo alla “classifica” umana; un giorno può succedere che desideri capire se questo sia vero oppure no (“un giorno qualunque ti viene la voglia di andare a vedere, di andare a scoprire se è vero che non sei soltanto una scatola vuota o l’ultima ruota del carro più grande che c’è”). La terribile possibilità del togliersi la vita si legge sia nei riferimenti del ritornello, sia nelle parole “non si può ignorare la voce che dice che oltre le stelle c’è un posto migliore” o “d’altronde non si può tacere la voce che dice che in fondo a quel mare c’è un mondo migliore”. Ma è proprio in fondo alla seconda strofa che si può trovare altro, quello che voglio leggere come un’alternativa: “proprio quel giorno ti viene la voglia di andare a vedere, di andare a scoprire se è vero che il senso profondo di tutte le cose lo puoi ritrovare soltanto guardandoti in fondo”. Conoscersi, sapersi leggere, dare voce alle proprie emozioni, ascoltare i propri pensieri, con sincerità e schiettezza, con serietà e benevolenza, andando dai voli più alti alle profondità più oscure. Lo stesso Brunori afferma: “Il pezzo richiama la necessità di andare “dietro le quinte”, di osservare l’altalena fra profondità e superficie. Addormentarsi felici o soffrire per restare svegli?”.
In sottofondo riecheggiano le parole di Marilyn Monroe: “Una volta celebri, sapete, potete leggere cose sul vostro conto, le idee di qualcun altro su di voi; ma ciò che conta — per sopravvivere, per affrontare giorno per giorno ciò che vi capita — è quel che pensate di voi stessi.”
Infine mi stacco dalla canzone con un personaggio biblico che mi è venuto in mente durante l’ascolto: Giona (di nuovo! Ne avevo scritto poco tempo fa qui). Dal ventre del pesce che l’ha inghiottito si rivolge a Dio e prega così: “Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l’abisso mi ha avvolto, l’alga si è avvinta al mio capo. Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore mio Dio. Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te, fino alla tua santa dimora. Quelli che onorano vane nullità abbandonano il loro amore.” (2, 6-9).

La speranza di Bruce

Nell’ultimo album di Bruce Springsteen “High Hopes”, uscito a metà gennaio, c’è un brano difficile da comprendere senza un minimo di coordinate bibliche: “Heaven’s wall”. C’è un costante riferimento ad alzare le mani, ma ben diverso dal “discotecaro” o “concertaro” “Su le mani!”. Lo si evince dal senso complessivo del brano: è un alzare le mani al cielo, al trascendente, al Dio della Bibbia. Emergono diversi protagonisti: si inizia dalla donna samaritana che al pozzo di Sicàr accoglie da Gesù la richiesta di essere dissetato e ricorda la promessa di salvezza ricevuta da lui (“C’era una donna che attendeva al pozzo tirando su l’acqua sotto uno sgombro cielo blu. Ha detto, guarirà i ciechi, resusciterà i morti, curerà le malattie”). Vengono poi nominati in breve successione altri personaggi dell’Antico Testamento: “Venite uomini di Gedeone, venite uomini di Saul, venite figli di Abramo”. Gedeone è un uomo che da contadino diventa uno dei condottieri di Israele e giudice. Saul è il primo grande re di Israele. Abramo è il grande patriarca della famiglia israelitica. L’invito di Bruce Springsteen è rivolto per tanto a tutto Israele, che va inteso, secondo l’esegesi biblica, rivolto a tutta l’umanità: “Attendiamo fuori dal muro del paradiso”. L’ultimo personaggio a comparire è uno dei più famosi e citati della Bibbia: Giona. Egli, chiamato e inviato da Dio a Ninive, si rifiuta e si imbarca su una nave. In mezzo alla tempesta si rende conto di essere il responsabile dell’ira divina e racconta tutto ai compagni di viaggio invitandoli a gettarlo in mare. Qui viene inghiottito da un pesce (Bruce cede al racconto tradizionale in quanto nella Bibbia non si parla di una balena) e si salva. Giunge poi a Ninive ottenendo la conversione degli abitanti ma rammaricandosi per il mancato castigo divino. E’ un racconto sulla fede e sul perdono, sulla misericordia. Ecco i versi di Bruce: “Vide un sorvegliante alle porte della città. Giona nel ventre della balena ti sta osservando mentre percorri il tuo logoro miglio, la sua misericordia non fallì”.
E nel ritornello, oltre alle mani alzate, c’è un forte versetto di speranza: “E insieme cammineremo nella terra di Canaan”. E’ la promessa di Dio al suo popolo, il luogo dei sogni, delle aspettative, delle speranze (non dimentichiamoci il titolo del cd “High hopes”). E non è la prima volta che Bruce canta di una terra promessa: ne avevo già scritto qui.

http://www.youtube.com/watch?v=liSFFFihbYs

Alzate le vostre mani, alzate le vostre mani, alzate le vostre mani

Uno, due, tre, quattro
Alzate le vostre mani, alzate le vostre mani, alzate le vostre mani

C’era una donna che attendeva al pozzo
Tirando su l’acqua sotto uno sgombro cielo blu
Ha detto, guarirà i ciechi, resusciterà i morti
Curerà le malattie
Venite uomini di Gedeone
Venite uomini di Saul
Venite figli di Abramo
Attendiamo fuori dal muro del paradiso
Alzate le vostre mani, alzate le vostre mani, alzate le vostre mani

E insieme cammineremo nella terra di Canaan

Vide un sorvegliante alle porte della città
Giona nel ventre della balena
Ti sta osservando mentre percorri il tuo logoro miglio
La sua misericordia non fallì
Alzate le vostre mani, alzate le vostre mani, alzate le vostre mani

E insieme cammineremo nella terra di Canaan

Fuori c’è un sole che brilla

Oggi mi lascio andare a una canzone metal dalle sonorità molto epiche. Autore ne è il gruppo power metal finlandese Stratovarius, l’anno di pubblicazione è il 1998, il titolo sia della canzone che dell’album è “Destiny”.
Si parte da uno sguardo cupo sulla realtà dai toni apocalittici (“Il tempo passa, il tempo stringe, l’odio riempie questa terra e quanto vale tutto questo? Siamo vicini alla fine più di quello che pensiamo”). Ogni tentativo di trovare una risposta a tanto sfacelo, a tanto dolore non ha avuto esito, è stato faticoso e infruttuoso: “Nel corso degli anni ho faticato a trovare una risposta che non ho mai trovato”. Vi è una breve citazione del Qohelet (Qo 3,1-15) a riassumere la vita di un uomo (“C’è un tempo per vivere, c’è un tempo per morire”) che non può comunque sfuggire a quanto è deciso per lui (“ma nessuno può sfuggire al destino”). Segue un tentativo di bilancio della vita stessa, un’occhiata oggettiva e sincera su se stessi: “Guarda tutte le cose che abbiamo fatto sotto questo sole cocente. È questo il modo di tirare avanti? Ora, guarda te stesso e dimmi cosa vedi. Un lupo nei vestiti di un agnello?”. E’ il momento di tirare le somme, di tracciare una riga, vedere il risultato e decidere che fare.
Qui parte l’invito, la spinta, l’incoraggiamento e il brano svolta anche musicalmente: “Lascia sempre il tuo spirito libero, attraverso la finestra della tua mente. Libera la tua anima dall’odio, tutto quello di cui hai bisogno è la fede”. Si devono prendere le decisioni e lo possiamo fare solo noi in prima persona, anche se possiamo essere costretti a confrontarci con una forza più grande che guida le vite: “Io controllo la mia vita, io sono l’unico. Tu controlli la tua vita ma non dimenticare il tuo destino”. Sarebbe interessante fermarci e chiederci cosa si intende per destino: un qualcosa di scritto per filo e per segno? una sorta di predestinazione generica? qualcosa di simile al fato? La natura stessa delle cose e quindi qualcosa molto simile al caso? Sembra esserci una risposta nell’ultima strofa della canzone: “È tempo di dire addio, so che questo ti farà piangere. Tu crei il tuo destino, so che troverai la via”. Quindi, sembrano dire gli Stratovarius, sì, c’è un destino, ma è l’uomo stesso ad esserne l’artefice con le proprie scelte, la propria vita. Chiude il brano un classico del gruppo finlandese: la speranza (ne avevo già scritto qui). “E fuori c’è un sole che brilla, andrà tutto bene. Io un giorno tornerò indietro verso di te, per favore, aspettami”.
In rete non ho trovato un video ufficiale, allora ho scelto questo che abbina la canzone ad alcune sequenze del Signore degli anelli. Direi che la cosa ci sta…

I tempi stanno cambiando così velocemente, mi chiedo quanto dureranno
Il tempo passa, il tempo stringe
L’odio riempie questa terra e quanto vale tutto questo?
Siamo vicini alla fine più di quello che pensiamo

Nel corso degli anni ho faticato a trovare una risposta
che non ho mai trovato.
Mi ha impressionato come un milione di fulmini
E qui, io te lo sto raccontando

Ogni secondo di un giorno che arriverà
Uno sconosciuto futuro sta aspettando qui.
Devo aprirti la mente o sarai portato fuori strada
C’è un tempo per vivere, c’è un tempo per morire,
ma nessuno può sfuggire al destino.

Guarda tutte le cose che abbiamo fatto sotto questo sole cocente
È questo il modo di tirare avanti?
Ora, guarda te stesso e dimmi cosa vedi.
Un lupo nei vestiti di un agnello?

Nel corso degli anni ho faticato a trovare una risposta
che non ho mai trovato.
Mi ha impressionato come un milione di fulmini
E qui, io te lo sto raccontando

Ogni secondo di un giorno che arriverà
Uno sconosciuto futuro sta aspettando qui.
Devo aprirti la mente o sarai portato fuori strada
C’è un tempo per vivere, c’è un tempo per morire,
ma nessuno può sfuggire al destino.

Lascia sempre il tuo spirito libero,
attraverso la finestra della tua mente
Libera la tua anima dall’odio,
tutto quello di cui hai bisogno è la fede

Io controllo la mia vita, io sono l’unico.
Tu controlli la tua vita ma non dimenticare il tuo destino

È tempo di dire addio, so che questo ti farà piangere
Tu crei il tuo destino, so che troverai la via
E fuori c’è un sole che brilla, andrà tutto bene
Io un giorno tornerò indietro verso di te
per favore, aspettami.

Nuovi ancoraggi

nebbiaE’ da un po’ che non aggiorno il blog. Desideravo sì prendermi un po’ di tempo tutto per me, ma sono stato sopraffatto dagli eventi. Non è stato un buon Natale per me e per la mia famiglia. Un lutto ci ha colpiti proprio mentre ci apprestavamo a passare tutti insieme il 25 dicembre. Sono seguiti giorni non facili in cui interrogativi, dubbi, pensieri hanno avuto lo spazio di cui avevano bisogno. Quando mi trovo in queste situazioni so che posso solo vivermele e assecondare gli stati d’animo del momento, un po’ come essere in preda a un vento fortissimo che ti ha ormai sollevato da terra e ti ha fatto perdere ogni ancoraggio, ogni punto saldo. Dopo qualche tempo quel vento ti riposerà a terra, ma sarà un terreno diverso dove dovrai creare dei nuovi punti di riferimento. Al turbamento normale di un lutto si è aggiunto lo stacco del momento: il giorno della festa della speranza (la nascita di Gesù per il credente cristiano, la festa del ritorno della luce per le origini pagane del solstizio d’inverno) che si trasforma in uno dei giorni più bui in cui forti si fanno le parole di Sant’Agostino: «La tristezza calò buia sul cuore, e dovunque guardavo era la morte. E il mio paese divenne un patibolo, e la casa paterna m’era penosa e strana, e tutto quello che avevo condiviso con lui, senza di lui si convertiva in uno strazio enorme. I miei occhi lo cercavano invano dappertutto, e odiavo tutte le cose perché non lo tenevano fra loro e non potevano più dirmi “eccolo, viene”, come quando era in vita e mi mancava. Ero divenuto un enigma angoscioso a me stesso e chiedevo a quest’anima perché fosse triste e mi opprimesse tanto e lei non sapeva rispondermi. E se dicevo: “Spera in Dio” lei non ubbidiva, giustamente, perché quella persona concreta che le era tanto cara e che aveva perduta era migliore e più vera del fantasma in cui le si ordinava di sperare. Solo il pianto mi era gradito e aveva preso il posto del mio amico fra i piaceri dell’anima.»

Io sono la terra

Il video punta un po’ sull’epica. Il mio pensiero, leggendo il testo tradotto, preso qui, è andato agli emigranti di ieri e di oggi, al loro carico, di dolore, sofferenza, sacrifici, aspettative, sogni. Del pezzo si può anche fare una lettura metaforica: il cammino di ogni vita col suo bagaglio di speranze per il domani e un sogni di libertà. Loro sono i Sonata Arctica e il pezzo si intitola “Flag in the ground”

“Lasciando alle spalle la mia vita, il mio giovane amore e il nascituro, avevo solo una ciocca dei suoi capelli… E bruciavo d’amore dentro. Dopo quaranta giorni pieni di lavoro e notti insonni, le vele sono illuminate dalle luci di Boston… Ed eccoci… Giù dalla nave! Verso l’avventura, l’unica per definire le nostre vite. Faticaccia quotidiana e una piccola stanza. “Sono arrivato sano e salvo, Amore. Ho un indirizzo, fino alla primavera, poi dovrei girare per il paese, spero di sentirti presto…”. Le sue lettere lette… “Per favore, dimmi che va tutto bene. Ti penso, pensando che sei fuori dalla mia vista ogni notte, quando mi corico, le mie lacrime mi trovano. Per favore sbrigati, caro, torna indietro e salvami…”

Flag_in_the_Ground_by_Cyrgaan.jpgOra che ho fatto i soldi che ci occorrono per il sogno, il miglior cavallo che io abbia mai visto, un carro e tutto ciò che mi serve… Andrò per la mia strada verso l’ignoto, in ogni momento spero che tu sia qui con me… “Per favore, dimmi che va tutto bene. Ti penso, pensando che sei fuori dalla mia vista ogni notte, quando mi corico, le mie lacrime mi trovano. Per favore sbrigati, caro, torna indietro e salvami…”

No, non sono uno sconosciuto, tra la gente di qui… Tuttavia non mi sono mai sentito così solo… A mezzogiorno il rumore rimbomberà e comincerò a viaggiare per il paese che possiamo chiamare casa. Pianto la mia bandiera sul terreno, urlando e gridando. Non mi sono mai sentito così orgoglioso, amore! Adesso siamo salvi dalla servitù eterna. Ti sto per portare a casa, mia luce! Nove, otto, sette, sei, contando i giorni. Solo! Cinque, quattro, tre, due, insieme per sempre! Solo! Ho fatto la mia strada verso l’ignoto, una terra vicino al fiume e una nuova casa costruita. Io sono la terra e la terra è me. La libertà è tutto e noi siamo liberi. Ho fatto la mia strada verso l’ignoto, una terra vicino al fiume e una nuova casa costruita. Ogni notte, quando guardo la nuova luna piena ti stringo e so che siamo liberi…”

Con parole non mie

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Toccare quel che è successo a Lampedusa senza entrare nel merito di torti e ragioni, senza entrare nelle tristi polemiche superficiali a cui mi sono rifiutato di partecipare sui social network. Lo voglio fare con parole non mie, lasciando che il cuore mi porti verso alcune delle pagine lette in questi due anni, con lo scopo di suscitare riflessioni e domande più approfondite… (già il 23 luglio citavo Bacone: “chi scava in profondità nella realtà attraverso il pensiero scopre orizzonti sempre nuovi che lo conducono ad essere molto più esitante nell’attribuire alla ragione risposte definitive”).

Ecco i passi che mi fanno compagnia in questi giorni:

“Una volta ho letto che la scelta di emigrare nasce dal bisogno di respirare. E’ così. E la speranza di una vita migliore è più forte di qualunque sentimento. Mia madre, ad esempio, ha deciso che sapermi in pericolo lontano da lei, ma in viaggio verso un futuro differente, era meglio che sapermi in pericolo vicino a lei, ma nel fango della paura di sempre” (“Nel mare ci sono i coccodrilli”, F. Geda, pag.73)

“Quando si verifica una catastrofe, le persone vicine vengono traumatizzate fino a provare un senso di impotenza. Per certo le catastrofi acute producono tale effetto. Sembra che ci si aspetti che le catastrofi abbiano breve durata. Ma le catastrofi croniche sono così spiacevoli per i vicini che quest’ultimi gradualmente diventano indifferenti sia alle catastrofi, sia alle loro vittime, quando non sviluppano in proposito una vera e propria impazienza… Quando l’emergenza si protrae troppo a lungo, le mani che si protendevano a offrire aiuto tornano a infilarsi nelle tasche, i falò della compassione si spengono” (J. Roth citato in “Le sorgenti del male” di Z. Bauman, pagg.93-94)

“Val la pena che il sole si levi dal mare

e la lunga giornata incominci? Domani

tornerà l’alba tiepida con la diafana luce

e sarà come ieri e mai nulla accadrà”

(C. Pavese)

“A sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare lungo il filo spinato e dal mio cuore si innalza sempre una voce che dice: la vita è una cosa splendida e grande. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto d’amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere” (E. Hillesum)

“In quel momento capii che ciò che conta di fronte alla libertà del mare non è avere una nave, ma un posto dove andare, un porto, un sogno che valga tutta quell’acqua d’attraversare” (A. D’Avenia, “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, pag. 180)

“Li ha visti quei barconi carichi e puzzolenti come barattoli di sgombro. I ragazzi del Nord Africa, i reduci dalle guerre, dai campi profughi, e gli imbucati. Ha visto gli occhi allucinati, il passaggio dei bambini sopravvissuti, le crisi di ipotermia. Le coperte d’argento. Ha visto la paura del mare e la paura della terra.

Ha visto la forza di quei disperati, io voglio lavorare, voglio lavorare. Voglio andare in Francia, in Europa del nord a lavorare.

Ha visto la determinazione e la purezza. La bellezza degli occhi, il candore dei denti.

Ha visto il degrado, il porcile.

Le schiene dei ragazzi contro un muro, i militari che toglievano i lacci delle scarpe e le cinture.

Ha visto la gara degli aiuti, i panni trovati per i bambini, le collette dei poveri davvero incazzati perché Gesù Cristo chiede sempre a loro.

Ha visto la saturazione, la paura delle epidemie. La gente protestare, bloccare i moli, gli approdi. E poi ricominciare, buttarsi nel mare in piena notte per tirare su quei disperati che nemmeno sanno nuotare.

E non sai davvero chi salvi, magari un avanzo di galera. Uno che ti ruberà il cellulare, che guiderà contromano ubriaco, che stuprerà una ragazza, un’infermiera che torna a casa dal turno di notte.

Ne ha sentiti di discorsi così Vito, affastellati, rozzi. La rabbia dei poveri contro gli altri poveri.

Salvare il tuo assassino, forse è questa la carità. Ma qui nessuno è un santo. E il mondo non dovrebbe aver bisogno di martiri, solo di una ripartizione migliore.” (M. Mazzantini, “Mare al mattino”, pagg. 113-114)

Tra Stratovarius e Bergoglio…

Vado ancora di accostamenti improbabili? Sì, mi diverto troppo…Stratovarius_-_Elements_Pt.2.jpg

Gli Stratovarius sono un gruppo metal di Helsinki; nel 2004 pubblicano un album e di certo non è uno dei loro più riusciti… Vi è contenuto un brano che ho trovato assonante con le parole che il papa va ripetendo in queste giornate di Gmg a Rio, quando sottolinea l’importanza di non lasciarsi rubare la speranza. Il titolo è “Season of faith’s perfection”. Cantano: Cosa farai quando tutto fallirà? Quando ti senti una nave senza vele? Quando la disperazione riempie la tua mente e il dolore ti rende cieco? Nella mia verità silente urlo queste parole: “La speranza è forte, non mollare mai”. E nell’ultima parte si esprimono due concetti cari al pontefice: il sapersi guardare con benevolenza e l’essere gentili nel nome della tenerezza con cui Dio stesso guarda l’uomo. Cantano: La stagione della perfezione della fede tieniti stretto la tua cosa buona. Ogni giorno c’è una nuovo possibilità per cominciare ancora una volta la stagione della perfezione della fede. Perdona te stesso, lascia andare il passato, sii gentile, capisci…

E speranza e guardare a se stessi con bontà sono aspetti che possono accomunare credenti, non credenti e scettici.

Giovani di cuore

Un pensiero ai miei studenti che stanno vivendo in vari modi la Gmg. Il papa ha affermatoRoma20130428_0073 fb.jpg “La Chiesa è giovane e lo si vede proprio bene nella GMG. Che il Signore ci mantenga sempre tutti giovani di cuore”. Vado allora a ripescare un Bob Dylan del 1973

“Possa Dio benedirti e proteggerti sempre possano tutti i tuoi desideri diventare realtà, possa tu sempre fare qualcosa per gli altri e lasciare che gli altri facciano qualcosa per te, possa tu costruire una scala verso le stelle e salirne ogni gradino, possa tu restare per sempre giovane…

Possa tu crescere per essere giusto possa tu crescere per essere sincero, possa tu conoscere sempre la verità e vedere le luci che ti circondano, possa tu essere sempre coraggioso stare eretto e forte e possa tu restare per sempre giovane…

Possano le tue mani essere sempre occupate possa il tuo piede essere sempre svelto, possa tu avere delle forti fondamenta quando i venti del cambiamento soffiano, possa il tuo cuore essere sempre gioioso possa la tua canzone essere sempre cantata, possa tu restare per sempre giovane…”