Che succederà?


E’ da un po’ che non scrivo post. Riparto da un articolo che ho letto su Nigrizia di aprile e che ho ripreso in mano stamattina. E’ un editoriale sul futuro a breve termine dell’Egitto. Cosa succederà nei prossimi mesi? Val la pena seguire in estate l’evoluzione degli eventi… L’articolo è di Mostafa El Ayoubi

Si è concluso un inverno politicamente burrascoso per il mondo arabo, che ha spazzato via due dittatori e ridotto a uno stato di estrema fragilità altri leader, che però continuano ad aggrapparsi alle loro poltrone con l’uso dell’unico linguaggio che conoscono per comunicare con i “loro” popoli: la violenza. La situazione attuale nel Bahrein e nello Yemen è drammatica. Quella in Libia è infernale. Tutto ciò fa supporre che la primavera tanto attesa dai popoli arabi non sarà quella appena iniziata. In questi paesi, dove la gente continua a scendere in piazza a gridare «a-shaab yurid jsqat a-nidam» (“il popolo vuole far cadere il regime”), non è possibile prevedere quello che accadrà. Ma nemmeno per i tunisini e gli egiziani, che si sono liberati di Ben Ali e Mubarak, si può affermare con certezza che questa primavera sarà la loro vera prima stagione di democrazia e di libertà. L’avvenire politico, sociale, economico e culturale del mondo arabo dipenderà in gran parte da quello che avverrà nei prossimi mesi in Tunisia e, soprattutto, in Egitto. La tanto temuta controrivoluzione in questi paesi non c’è stata, o perlomeno in questa fase. In Egitto, il tentativo degli uomini di Mubarak di “confiscare”la rivoluzione è stato scongiurato, perché gli egiziani sono rimasti vigili nella Piazza Tahrir, finché i militari hanno accettato di affidare il compito di capo di governo transitorio a Issam Charaf che aveva sostenuto la rivoluzione. Tuttavia, il compito di quest’ultimo è limitato a un’amministrazione degli affari correnti. In effetti, sono i militari i veri padroni sul campo. Sono stati loro a fissare la data per il referendum (19 marzo), ma per emendare la costituzione, non per formularne una ex-novo, come chiedeva il popolo. Il referendum è passato con il 77,2% per il sì, ma dei 45 milioni di aventi diritto, solo 18,5 milioni hanno votato. E saranno sempre i militari a stabilire le date delle prossime elezioni amministrative e presidenziali, probabilmente tra l’estate e l’autunno prossimi. Una scadenza, questa, che non darà il tempo necessario ai partiti di organizzarsi, favorendo così quelli che erano già operativi sotto la protezione dell’ex regime, tra cui il Partito nazionale democratico (Pnd). Gli egiziani temono che il Pnd, il partito di regime, dopo essere uscito per la porta, rientri dalla finestra, e che sia la riforma costituzionale sia le lezioni facciano parte di un’operazione di lifting per consentire al vecchio apparato del regime di ritornare al potere.

In questo quadro politico poco chiaro, i partiti progressisti, liberali e laici faranno fatica a trovare spazio. È molto probabile che la partita si giocherà tra il vecchio (ma riciclato) Pnd e gli islamisti del movimento dei Fratelli Musulmani (due formazioni che non hanno mai fatto della democrazia il principio centrale del proprio agire politico). Se ciò dovesse accadere, il regime politico che nascerà sarà tutt’altro che democratico. Ma ciò che preoccupa molti oggi sono sopratutto gli islamisti. Se dovessero vincere le elezioni, istituiranno uno stato teocratico basato sulla shari’a? Allo stato attuale delle cose, nemmeno loro si pongono tale domanda. Primo, perché la rivoluzione del 25 gennaio non è stata né organizzata né capeggiata dagli islamisti, ma da giovani di diversa estrazione sociale, culturale e politica; le rivendicazioni non erano religiose, ma sociali e politiche; lo stato islamico non era all’ordine del giorno. Secondo, l’approccio alla rivolta da parte degli islamisti non è stato uniforme. I Fratelli Musulmani hanno aderito solo dopo qualche esitazione, mentre il variegato movimento salafista – la cui ideologia prevalente si basa su una teologia di sottomissione che consiste nell’obbedire a un regime, anche se totalitario, purché garantisca l’ordine – si è chiaramente opposto alle contestazioni. La posizione salafista è, in gran parte, conforme alla dottrina wahabita dell’Arabia Saudita. In effetti, il muftì di questo paese aveva bollato le proteste come «macchinazione dell’Occidente».Tra i predicatori salafisti c’è persino chi ha definito la rivolta «un complotto sionista». Sul piano ideologico, vi è una netta contrapposizione tra i salafisti e i Fratelli Musulmani. Questi ultimi, nel corso della loro evoluzione dottrinale, avevano adottato concetti estranei al pensiero islamico classico, come la costituzione e il suffragio universale. Questa evoluzione è considerata dai salafisti «un tradimento e un cedimento alla modernità occidentale». La frattura all’interno della galassia islamista rende impraticabile l’ipotesi della creazione di uno stato islamico basato sulla shari’a in un paese finora controllato dall’esercito militare, ma che vede avanzare un altro esercito civile, quello dei giovani, che ha fatto la rivoluzione, non con i carri armati, ma attraverso una straordinaria rete di comunicazione globale. E se i Fratelli Musulmani – il cui peso socio-politico è tutt’altro che marginale – intendono contribuire alla rinascita dell’Egitto assieme ad altre forze politiche, dovranno adeguarsi alle regole del gioco democratico e trasformarsi in “islamisti democratici”, com’è avvenuto per i partiti politici di ispirazione cristiana in Europa. 

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