Gemme n° 176

Ieri ho incontrato una persona che non vedevo da tanto, l’ho guardata negli occhi e da lì ho capito che gli stava andando tutto bene. Questo mi ha fatto pensare a quanto io dia molta importanza agli occhi e a quello che essi possono trasmettere. E riguardo a questo stamattina mi sono ricordata di un libro letto in seconda superiore: “Bianca come il latte rossa come il sangue” e ho trovato un pezzo sugli occhi.

occhi d'aveniaCi sono due modi per guardare il volto di una persona. Uno è guardare gli occhi come parte del volto. L’altro è guardare gli occhi e basta, come se fossero il volto. È una di quelle cose che mettono paura quando le fai. Perché gli occhi sono la vita in miniatura. Bianchi intorno, come il nulla in cui galleggia la vita, l’iride colorata, come la varietà imprevedibile che la caratterizza, sino a tuffarsi nel nero della pupilla che tutto inghiotte, come un pozzo oscuro senza colore e senza fondo. Ed è lì che mi sono tuffato guardando Silvia in quel modo, nell’oceano profondo della sua vita, entrandoci dentro e lasciando entrare lei nella mia: gli occhi. Ma non ho retto lo sguardo. Invece Silvia sì.” Questa la gemma di G. (classe quinta).
Amo guardare gli occhi di una persona, fotografarli; ma sono tranquillo solo se quegli occhi sono rivolti altrove. Altrimenti sono in imbarazzo, le distanze si fanno brevi e distolgo lo sguardo, a meno che il rapporto con quella persona non sia già intimo.

Occhi

Gemme n° 169

Voglio proporre come gemma la canzone «Un senso» di Vasco Rossi, primo perché Vasco lo ascolto da sempre e secondo perché mi piace il testo: rispecchia quello che può pensare un ragazzo come noi, giovane, che si chiede il senso di ciò che capita e si interroga su cosa debba fare nelle diverse situazioni. Penso che il domani arrivi comunque, anche se a volte non se ne trova immediatamente il senso”. Queste le parole di V. (classe quarta).
Afferma Vasco: “La vita è bella se la prendi tutta, mica solo le parti belle. E’ come i film: per arrivare al sublime devi attraversare il dolore o la noia o il casino o le difficoltà. Una volta amavo solo la domenica e odiavo il lunedì. Poi ho capito che se non esistesse il lunedì, non arriverebbe nemmeno la domenica successiva”. Personalmente, il verso che mi fa sempre riflettere è “senti che bel vento”. E’ una delle cose a cui mi affido quando, appunto, non trovo il senso: solo che a quel vento do il nome di Spirito. Qualcuno lo chiama soffio vitale, intuito, coscienza, atman, respiro, angelo, io con significati di volta in volta diversi.

Gemme n° 157

jess«Ha nevicato anche l’anno scorso: ho fatto un pupazzo di neve, mio fratello l’ha buttato giù, e io ho buttato giù mio fratello. Poi, abbiamo preso il tè insieme.» (Dylan Thomas)
Ho voluto cominciare con questa citazione perché non credo ci sia modo migliore di descrivere il rapporto fra me e mio fratello.
Fin da piccoli, noi due siamo sempre stati agli antipodi su tutto, dal cartone animato preferito, al gusto della torta di compleanno, eccetera eccetera. Piccole cose, certo, ma che hanno sempre reso complicato ogni più piccolo confronto. Anche se tra fratelli è normale litigare, troppo spesso finivamo per urlarci contro per ore o per non parlarci del tutto per giorni; era come se mancasse qualcosa, come se, sotto sotto, io non conoscessi veramente quella persona che avevo visto nascere e crescere accanto a me. Quel “punto d’incontro” che serviva ad unirci è arrivato nella maniera più improvvisa e impensabile possibile: l’anno scorso, mia madre è stata male, e la nostra vita ha iniziato a cambiare. In quel periodo, in cui mio padre lavorava molto e mia madre non poteva occuparsi di noi, io e mio fratello ci siamo trovati spesso soli, ad aspettare in silenzio. Se devo essere del tutto sincera, inizialmente io credevo che lui non capisse appieno la situazione, o che semplicemente la ignorasse; quando però un giorno sono entrata in camera e l’ho trovato seduto sul letto che piangeva a dirotto, ho capito di avere di fronte a me una persona molto più intelligente e sensibile di quanto credessi. Principalmente però, era un bambino che aveva bisogno di conforto. Quella sera, io e lui siamo stati seduti l’uno di fronte all’altra a parlare per ore, sia di cose serie che di stupidaggini, e ci siamo un po’ scoperti a vicenda. Ho capito per la prima volta cosa volesse dire avere un fratello minore da proteggere, e ho giurato che l’avrei sempre fatto, perché so che, qualunque cosa accada, lui sarà sempre lì per me, pronto a difendermi e a sostenermi; perché alla fine non importa quante volte ci butteremo giù, l’importante è che uno sarà sempre pronto a risollevare l’altro e ad «offrigli una tazza di tè».”
Questa è stata la toccante gemma di J. (classe terza). Mi è venuta in mente una frase che arriva dal passato. Mio nonno adorava i film di Totò, di Franco e Ciccio e di Bud Spencer e Terence Hill. Nel film “Lo chiamavano Trinità” uno dei protagonisti afferma: “Come ti permetti lurido ladrone! Questi sono i miei fratelli e i miei fratelli li picchio solo io!”. Mi ha fatto sorridere, ma pure riflettere. I rapporti umani più profondi sono quelli sinceri, ma non è facile essere sinceri ed accettare la sincerità. Significa essere nudi davanti all’altro e nudità significa anche vulnerabilità. Ci vuole tempo per svestire gli abiti che fanno da corazza, ma una volta che si scopre la bellezza dell’altro non vi si rinuncia.

Fonti di energia pulite

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Fonti di energia pulita. E’ uno dei temi forti di molti programmi politici. Lo considero un tema forte del mio approccio alla vita. A volte ho bisogno di fonti di energia pulita per la mia anima. Oggi voglio condividerne una.
L’amore mistico per l’umanità non si dispiega per istinto, non deriva da un’idea; non appartiene né al sensibile né al razionale, ma è implicitamente l’uno e l’altro, ed è effettivamente molto di più. Un simile amore è infatti la radice stessa della sensibilità e della ragione, come di tutte le altre cose.” (H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione).

Il nostro giardino

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Venerdì scorso scrivevo della necessità, a volte, di fare silenzio (deserto) dentro di sé come strada verso l’autenticità. Oggi ho trovato questa citazione di Friedrich Nietzsche, sempre riguardo l’interiorità dell’uomo e la sua costruzione:

Dipende da noi modellare il nostro temperamento come un giardino. Piantarvi le esperienze, estirparne altre: costruire un tranquillo e bel viale dell’amicizia, conoscere segrete prospettive di silenzio – tenere pronti gli accessi a tutti questi begli angoli del proprio giardino perché non ci venga a mancare quando ne abbiamo bisogno.” (Friedrich Nietzsche, “Frammenti postumi – Autunno 1880″)

Questioni di cuore

Cuor di Clauiano

“… ma se ognuno di noi, diceva, riuscisse anche solo un istante a intravedere la luce del suo cuore nascosto, allora capirebbe che quello è un cuore sacro e non potrebbe più fare a meno del calore della sua luce.” (Cuore sacro, regia di F. Özpetek, 2005)

La foto è di ieri sera. Ero a camminare con Sara e Mou, quando lei si è accorta di questa “macchia cardiaca” sull’asfalto. Ho scattato con lo smartphone cercando di metterci sullo sfondo la chiesa del mio paese.

Ritorno

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Preferisco il tornare al partire. Scrive Cesare Pavese ne “La luna e i falò”: “Un paese ci vuole, non fosse per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Ho passato la maggior parte della mia vita a Palmanova e le estati a Bagnaria, dai nonni, in una casa in mezzo alla campagna; quando penso al luogo ideale per una vacanza i pensieri vanno alla montagna anche se sono tantissimi anni che non la passo là. Ora vivo a Clauiano e fino a poco tempo fa, se qualcuno mi avesse chiesto di descrivere le caratteristiche del luogo che sento veramente mio, non avrei saputo cosa rispondere. Ora, grazie alle quasi quotidiane passeggiate con Mou, ho capito: alle soglie dei quarant’anni riconosco la terra, l’aperta campagna, come il mio luogo dell’anima, nonostante le mie allergie alle graminacee, alle composite e alle betullacee… E mi sembra di essere tornato a casa. Ancora Pavese: “E di nuovo, guardandomi intorno, pensavo a quei ciuffi di piante e di canne, quei boschetti, quelle rive – tutti quei nomi di paesi e di siti là intorno – che sono inutili e non dànno raccolto, eppure hanno anche quelli il loro bello – ogni vigna la sua macchia – e fa piacere posarci l’occhio e saperci i nidi.”

Dalla terra bruta

Amore_e_Psiche“Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch’essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un’immagine di quella bellezza che siamo giunti a comprendere: questo è l’arte.” (James Joyce, Dedalus)

La nave va

Etty Hillesum è una ebrea olandese, morta ad Auschwitz nel 1943, all’età di 27 anni. Di lei ci restano un diario e molte lettere, scritte a Westerbork, un campo di smistamento dove ha lavorato come assistente sociale dal luglio del 1942 al 7 settembre 1943. In una pagina del suo diario scrive:

etty_2“L’essenziale è stare nell’ascolto
di ciò che sale da dentro.

Le nostre azioni spesso
non sono altro che imitazione,
dovere ipotetico o rappresentazione erronea
di che cosa deve essere
un essere umano.

Ma la sola vera certezza
che tocca la nostra vita e le nostre azioni
può venire solo dalle sorgenti
che zampillano nel profondo di noi stessi.

Si è a casa sotto il cielo
si è a casa dovunque su questa terra
se si porta tutto in noi stessi.

Spesso mi sono sentita,
e ancora mi sento, come una nave
che ha preso a bordo un carico prezioso:
le funi vengono recise e ora la nave va,
libera di navigare dappertutto.

Dobbiamo essere la nostra propria patria.”

Segnalo che mercoledì 29 gennaio su Rai5, alle 21.15 andrà in onda “Ascoltami bene”, uno spettacolo teatrale liberamente tratto dalle lettere e dai diari di Etty Hillesum.
Suggerisco anche questo breve video (8 minuti sul Diario e Le lettere)

L’anima in pace

Hui-k'oOggi pubblico una storiella breve e folgorante della tradizione buddhista. Questa la fonte.
Un giorno Hui-k’o si presentò a Bodhidharma e gli disse: “La mia anima è tormentata: ti prego, dalle pace!”
“Portami qui la tua anima e io le darò pace.”
“Come faccio? Quando la cerco, non la trovo.”
“Allora è già in pace.”

Anime in topless

Varie_0081 fb.jpgCome promesso, rieccomi qui. Le ferie del “più fuori casa che a casa” sono andate. Un giorno al mare, uno in piscina, uno ai laghi di Fusine. Qualche saldo: scarpe, vestiti, libri 😉 Sto aspettando che il corriere mi consegni un combo vhs-dvd che ho trovato in offerta su internet: voglio buttare le vecchie videocassette che occupano troppo spazio. Questa settimana sarà essenzialmente casalinga, tra blog, letture, postproduzione di scatti fotografici e… olio di gomito per stendere un velo protettivo sugli scuri in legno della casa. La prossima settimana, invece, dedicherò le mattine al corso biblico che mi regalo ogni anno per ossigenarmi lo spirito. Il tema di quest’anno è corpo, spirito e anima nella Bibbia. E a questo proposito riporto quanto ieri ha scritto Massimo Gremellini su La Stampa:

“Socrate ha appena terminato il grande discorso sull’amore quando nella sala del Simposio fa irruzione Alcibiade, giovane leader del Partito Democratico (esisteva anche ad Atene, ma ogni tanto vinceva). A giudicare da come lo tratta, Platone non doveva avere una grande opinione degli uomini politici della sua epoca. Alcibiade arriva alla festa in ritardo, senza che nessuno lo abbia invitato e per giunta ubriaco fradicio. Rumoroso e invadente, si va a sdraiare accanto al padrone di casa Agatone, finché qualcuno gli fa notare che anche lui dovrebbe rispettare le regole della serata e tessere un elogio di Eros. Il politico rispetta le regole a modo suo: rovesciandole. Anziché tenere un’orazione su Eros, ne terrà una su Socrate. Invece che dell’Amore, parlerà dell’Amato. Così il racconto di Platone torna indietro, ma non per fare retromarcia: per prendere la rincorsa.

Il monologo di Alcibiade è la cronaca di un fallimento sentimentale. La storia di come lui – giovane, bello, ricco e potente – sia andato a sbattere contro l’indisponibilità di Socrate: vecchio, brutto, povero e inerme. Alcibiade era rimasto attratto dalla bellezza interiore del Maestro e avrebbe voluto diventarne l’amante, offrendo la propria avvenenza fisica in cambio delle sue virtù morali. Ma lungi dall’essere sconvolto da tale richiesta (quando mai, nei ventiquattro secoli successivi, capiterà ancora di vedere un politico andare a caccia di virtù morali?) Socrate aveva tenuto a bada Alcibiade con la lucida ferocia che caratterizza gli amanti irraggiungibili. «In cambio dell’apparenza del bello tu cerchi di guadagnarti la verità del bello: pensi di poter scambiare armi di bronzo con armi di ferro». Tradotto in prosa: caro Alcibiade, poiché la bellezza eterna della mia anima vale assai più di quella fuggevole del tuo corpo, lo scambio che mi prospetti è sbilanciato.

Ai tempi nostri (ma anche a quelli di Platone) non capita spesso che sia il «bello dentro» a respingere il «bello fuori», così come sulle copertine delle riviste si trova di rado un’anima in topless. Ma è per questo che amiamo il Simposio, vero? Per ricordarci che in un mondo ossessivamente materialista la vera trasgressione è la spiritualità. Socrate, non Alcibiade. Senza però diventare bacchettoni, perché il grande insegnamento di Platone è che all’anima ci si arriva sempre e solo passando dal corpo.”

Musica dell’anima

Stamattina su fb una collega ha messo il link al video dell’ultima apparizione del Coro e Orchestra sinfonica nazionale greci dell’Ert, la televisione nazionale che ha chiuso le trasmissioni qualche giorno fa. Le immagini sono molto commoventi e mi hanno toccato nel profondo, anche perché proprio ieri, durante una delle mie passeggiate campestri in compagnia di Mou, ascoltavo un vecchio podcast di “Uomini e profeti”. Era ospite Moni Ovadia che commentava così l’esecuzione del Kol Nidre, il canto che apre la liturgia del Kippur ebraico:

“Io penso che il canto redima la parola dalla monotonia, dalla banalità, anche dall’arroganza. La parola è canto prima di essere significato; la sua prima istanza è il canto. Questo accomuna tutte le fedi. La capacità del canto, della musica, di toccare l’anima trascende anche le coordinate della religione; è un elemento che tocca l’essere umano nelle sua profondità e gli permette di trascendere il dato puramente materico al quale è legato con quasi una sorta di immediatezza. Ci sono dei canti e delle musiche che toccano tutti gli uomini, le coordinate spazio-temporali cadono, cade tutto questo. Portano all’intimità più intima, dove non ci sono le pietrificazioni, i pregiudizi, le idee precostituite. Dice Abraham JoshuaHeschel che il cantore deve perforare l’armatura dell’indifferenza. Non è la dimensione del bel canto, della bella voce: qualcuno, non ricordo chi, ha detto che si può cantare senza voce, senza anima no.”

Nei volti di musicisti e cantori greci ho visto tanta anima, un’anima che non si può lasciare senza il cibo che la alimenti e che alimenti l’anima di ciascuno. La mia collega, musicista, ha così commentato il video: “Mettere a tacere la Musica penso sia una delle azioni più avvilenti e svilenti per una nazione… e purtroppo anche la nostra sta vivendo la stessa tristissima realtà”. Vivo la musica da ascoltatore e mi emoziona tantissimo. Questo post vuole essere una carezza per chi la musica la crea e la vive sulla propria pelle.

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Cerchiamo sottigliezze

Zinaida Gippius si definiva la “Nonna del decadentismo russo”; nacque a Belev nel 1869. Lei e il marito D.S. Merezkovskij erano entrambi antibolscevichi, ed emigrarono a Parigi agli inizi degli anni ’20, dove diedero vita a un vivace salotto letterario. Scrisse opere di narrativa, di poesia e di saggistica. Morì a Parigi nel 1945. Questo è uno dei testi (traduzione di Angelo Maria Ripellino) che mi hanno maggiormente colpito, un elogio della semplicità, oltre le sottigliezze, oltre i nodi ingarbugliati, oltre i retropensieri… “l’anima sottile è semplice come questo filo”

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Attraverso un sentiero del bosco, in un comodo cantuccio,

un elastico e lindo filo di ragno,

asperso di allegria solare e di ombra,

è sospeso nei cieli; e con tremito impercettibile

il vento lo fa vibrare, tentando invano di strapparlo;

il filo è saldo, sottile, diafano e semplice.

È tagliata la viva cavità dei cieli

da una linea sfavillante, da una corda policroma.

Noi siamo avvezzi a stimare solo ciò che è confuso.

Con falsa passione nei nodi ingarbugliati

cerchiamo sottigliezze, ritenendo impossibile

congiungere nell’anima semplicità e grandezza.

Ma sono meschine, ruvide e smorte le cose complesse;

e l’anima sottile è semplice come questo filo.

Nei luoghi dove una volta giocavamo

Le cose che il bambino ama8525308531_dff6e41fe2_o.jpg

rimangono nel regno del cuore

fino alla vecchiaia.

La cosa più bella della vita

è che la nostra anima

rimanga ad aleggiare

nei luoghi dove una volta

giocavamo.

(Gibran)

Fogli bianchi

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I fogli bianchi sono la dismisura dell’anima

e io su questo sapore agrodolce

vorrò un giorno morire,

perché il foglio bianco è violento.

Violento come una bandiera,

una voragine di fuoco,

e così io mi compongo

lettera su lettera all’infinito

affinché uno mi legga

ma nessuno impari nulla

perché la vita è sorso, e sorso

di vita i fogli bianchi

dismisura dell’anima.

(Alda Merini)

Forse ti aprirai

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