Gemma n° 2123

“In alcuni momenti ho solo bisogno di fermarmi, sospendere qualsiasi preoccupazione e vivere l’attimo come se il tempo avesse interrotto il suo corso. Per questo ho scelto come gemma la Luna: quando la osservo attraverso il cannocchiale, oppure ad occhio nudo dal finestrino dell’auto o dalla strada, riesco a sentirmi in pace. Inizio a pensare a tutti quelli che la stanno osservando nel medesimo istante, ma soprattutto a chi l’ha fatto prima di me, compresi i familiari che non ci sono più e tutte le persone che non ho mai conosciuto; in quei momenti mi rendo effettivamente conto di quanto la vita sia effimera e di quanto futili siano spesso quelli che chiamo problemi, e questo mi tranquillizza come poche altre cose riescono a fare. Allo stesso tempo, è come se potessi comprendere solo osservando la Luna che ogni cosa che ho vissuto è accaduta per un motivo, che ogni scelta ha avuto un senso, e che tutto mi ha condotto a quel preciso istante in cui non devo far altro che lasciar andare” (B. classe quinta).

Allargare lo sguardo

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“Il mondo ci sa svelare i suoi segreti in forme del tutto inattese.
Per la maggior parte delle persone le giornate iniziano e finiscono senza che accada granché, ma tutti gli elementi devono essere collegati in qualche modo se alla fine ne scaturisce una figura armoniosa, come la tela di un ragno che luccica al sole del mattino.
Al suo interno vi sono insetti rinsecchiti e tante altre cose che a una prima occhiata possono risultare sgradevoli. Ma prese insieme, tutte quante, accolte in uno sguardo grande, immenso, diventano un unico corpo meraviglioso e irripetibile”
(Banana Yoshimoto, Andromeda heights, pp 16-17)
Ecco quel che devo cercare di fare: allargare lo sguardo.

Contemplare

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Scrive Jacopo Fo su Il fatto quotidiano (questa la mia fonte):
“È ormai scientificamente dimostrato che esiste una zona cerebrale adibita specificamente alla produzione di sensazioni estatiche e al senso di appartenenza, a qualche cosa che ci pervade e ci innalza dandoci la sensazione di far parte di un tutto dominato dall’amore e dalla pietà e dotato di una progettualità rigogliosa, fantasiosa, stupefacente. Cioè il senso del sacro è fisiologico: a fianco delle pulsioni primarie (identificare, attaccare, fuggire, nascondersi) ne esiste una quinta: contemplare.
[…]
Io non credo all’esistenza di un Dio, né con la barba né senza.
Ma vedo che la realtà è profondamente magica, nel senso laico del termine, cioè è stupefacente al di là di ogni previsione, è smisurata, sorprendente in modo paradossale… Il creato è una fiera pazza di grandiosità.
[…]
E più ne sappiamo dell’universo più ci lascia sbalorditi. Sembra quasi che sia stato inventato per ingenerare la vertigine che proviamo se ci perdiamo negli incendi del tramonto. Questa assoluta assenza di limite è inebriante. Impossibile da contenere nella limitatezza dei miei circuiti neurali. Per secoli siamo stati convinti che in cielo ci fossero alcune migliaia di stelle. Poi abbiamo scoperto che ce ne sono miliardi nella nostra galassia, ognuna circondata da un numero fantasmagorico di pianeti, satelliti, asteroidi. Poi si è capito che esistono miliardi di galassie, talmente tante che non abbiamo ancora finito di contarle.
[…]
Non possiamo ridurre vita e morte a semplici accadimenti biologici. Sarebbe troppo triste! Troppo!
[…]
Non vedere il sacro, il superpotere, il miracolo, il privilegio, l’improbabilità schiacciante insita nel fatto di vivere e poter parlare e pensare e agire in modo preordinato è un’amputazione emotiva che ci danneggia e limita la nostra capacità di cogliere appieno il regalo della vita”.

Sul suo profilo facebook il teologo Vito Mancuso ha ripreso la notizia e ha scritto:
L’articolo di Jacopo Fo da me ripreso in questa pagina iniziava dicendo che è “scientificamente dimostrato che esiste una zona cerebrale adibita specificamente alla produzione di sensazioni estatiche e al senso di appartenenza”.
Non faceva nessun riferimento e giustamente qualcuno ha obiettato che, se si cita la scienza, occorre poi procedere scientificamente. Giusto. Siccome ho citato l’articolo di Fo con un certo plauso, mi sento in dovere di dare un contributo al riguardo.
Cito quindi dal volume di Franco Fabbro, “Le neuroscienze: dalla fisiologia alla clinica”, Carocci 2016 (n. 175 della collana Manuali universitari):
“Recentemente, attraverso una meta-analisi dei lavori di visualizzazione cerebrale riguardanti la meditazione, è stato evidenziato che le pratiche che si ispirano alla tradizione induista attivano prevalentemente le strutture dei lobi temporale e parietale (aree associate all’affettività e alla rappresentazione dello spazio e del corpo), mentre le pratiche che si ispirano alla tradizione buddhista attivano prevalentemente le strutture del lobo frontale (aree associate alle funzioni esecutive e all’attenzione volontaria) (Tomasino et al., 2012; Tomasino, Chiesa, Fabbro, 2014; Raz, Fan, Posner 2006)” – pp. 434-435.
Franco Fabbro, già docente di Fisiologia umana, è professore ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università di Udine, e ha all’attivo numerose pubblicazioni in italiano e in inglese.
Quindi?
Con questo non si dimostra né la verità della religione né l’esistenza di Dio né nulla di esterno all’uomo; si dimostra solo che la dimensione religiosa è fisiologicamente coerente con il fenomeno umano. Del resto c’è tutta la storia dell’umanità a dimostrarlo. Ovviamente con tutta la sua ambiguità, perché è noto che la religione, esattamente come l’umanità (scienza compresa), produce bene e anche male, e nessuno sa con certezza, se ci fosse una bilancia e si potesse pesare, se risulterebbe più pesante il bene oppure il male.
Tutto qui. Ovvero, summa summarum: chi ancora oggi medita e coltiva una dimensione spirituale non tradisce la sua umanità, ma la vive in pienezza a modo suo.”

Un’occasione per riflettere.

Nel movimento stesso della vita

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La contemplazione dell’eternità nel movimento stesso della vita” (Mauriel Barbery, L’eleganza del riccio, Edizioni e/o, Roma 2009, pag. 94)

Contemplazione

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Alcune persone sono incapaci di cogliere l’essenza della vita e il soffio intrinseco in ciò che contemplano, e passano la loro esistenza a discutere sugli uomini come si trattasse di automi, e sulle cose come se fossero prive di anima e si esaurissero in ciò che di esse si può dire, sulla base di ispirazioni soggettive.” (Muriel Barbery, L’eleganza del riccio)

(Essere) a picco

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A volte sento l’esigenza di essere a picco. Non di andare a picco, di essere a picco. Mi viene in mente il viaggio di nozze in Irlanda e il fascino delle Cliffs of Moher: la sensazione provata lassù è stata unica. Ci sono momenti in cui ci ritorno con la mente: è quando sento il bisogno di avere uno sguardo d’insieme sulle cose, di mettere distanza tra me e loro. E quello sguardo deve partire dalla mia base, ma senza che io abbia i piedi in acqua: il mare deve arrivare fin sotto a me, ma i piedi devono restare all’asciutto, altrimenti so che mi farei coinvolgere dalle onde e l’attrazione sarebbe troppo forte, l’oggettività se ne andrebbe. Lassù sono lontano dai moti del mare, sia la tempesta che la bonaccia, ad una distanza che fa perdere i particolari e sfuma i confini; i dettagli non si colgono, i bordi delle cose non sono netti. A volte lo sento necessario, per respirare meglio, per essere nella calma e vivere la contemplazione. Scrive Paola Mastrocola in “Palline di pane”: “Le case a picco hanno un panorama stupendo, niente da dire, ma sono lontane, hanno un’infinita lontananza… E il mare, dalle finestre di queste case, diventa una specie di cartoncino azzurro opaco uniforme, steso lì davanti agli occhi, inerte. Cosa me ne faccio di un pezzo di carta? Quello è un mare che non canta, non muove, non ride tra gli scogli, non sommerge, subbuglia, frastorna. Non dice niente.”
A volte, quel mare, a me, dice tanto.

La stazione

Torino_323 fb“La vera gioia della vita è il viaggio. La stazione è soltanto un sogno. Ci distanzia sempre. “Assapora l’attimo fuggente.” Non sono i fardelli di oggi a fare impazzire gli uomini. Sono i rimpianti di ieri e le paure di domani. Rimpianti e paure sono ladri che ci derubano dell’oggi.

Allora smettete di percorrere i corridoi e di contare i chilometri. Invece scalate più montagne, mangiate più gelato, camminate più spesso a piedi nudi, nuotate in più fiumi, ammirate più tramonti, ridete di più, piangete di meno. La vita deve essere vissuta a mano a mano che si procede. La stazione arriverà fin troppo presto.” (Robert J. Hastings)

Voglia di cielo

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Per quanto cerchiamo di saltare o di volare in alto, noi non riusciremo mai a raggiungere il cielo. Se, invece, ci mettiamo a contemplarlo e a fissarvi il nostro sguardo, il cielo scenderà, ci avvolgerà e ci abbraccerà… (Simone Weil).

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