
“Ma quando ho scritto questa cosa? Ma l’ho scritta io?”. Mi è capitato spesso di chiedermelo e uno dei meriti del blog è la possibilità di dare una risposta certa a quelle domande. Molto più raramente mi è successo con la fotografia. E’ vero, sono due processi differenti. Il primo, quello della scrittura, è fatto essenzialmente di una sola fase, al massimo due: riflessione e scrittura, anche se mi capita di riflettere scrivendo e di modificare il mio pensiero mano a mano che procedo con la battitura delle parole sulla tastiera (ammetto che avevo scritto “con la stesura delle parole sul foglio”…).Il secondo, quello della fotografia, è più articolato: a volte colgo l’attimo, altre penso ed elaboro lo scatto, quindi faccio clic, osservo il risultato, eventualmente intervengo. E mi capita di guardare il frutto del secondo processo molto più frequentemente di quanto non rilegga l’esito del primo. E stasera, leggendo delle parole del libro “L’eleganza del riccio”, penso di aver compreso perché: “La contemplazione dell’eternità nel movimento stesso della vita”. Questo mi succede quando guardo o scatto una foto, quando la rielaboro, quando la osservo, che sia mia o di un altro. E’ come una sospensione nel tempo di qualcosa che a quel tempo appartiene, o meglio, è appartenuto; eppure continua a far vivere in me, nel tempo attuale, delle emozioni, dei pensieri, delle reazioni. L’impressione che ho ogni volta è effettivamente quella di collocare un frammento finito della vita che sta passando in un arco eterno. Non so: esiste il concetto di attimo eterno?
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