“Inizialmente non sapevo proprio cosa portare come gemma, ma alla fine ho optato per la prima medaglia vinta nello sport che pratico ancora, ovvero l’atletica. Ho fatto per diversi anni nuoto, ma dopo un po’ mi ero accorta che non mi piaceva più e di conseguenza era diventato come una sorta di peso, così decisi di provare ad iniziare atletica; era il settembre 2016. All’inizio non fu affatto facile; speravo di ottenere dei buoni risultati sin da subito; ovviamente non fu così, c’era tanto che dovevo ancora imparare. Ad una delle ultime gare della prima stagione, i campionati regionali, quindi era più o meno ottobre del 2017, finalmente riuscii a vincere la mia prima medaglia. Ero davvero molto felice, tant’è che portai la medaglia al collo per l’intera giornata. Ho deciso di portare questa medaglia come gemma perché questo sport mi ha davvero insegnato molte cose e continua ancora a farlo. Mi ha accompagnato nella mia crescita, mi ha messo di fronte a diversi ostacoli, mi ha fatto capire che alla fine se voglio ce la posso fare e che non sempre tutto può andare bene. In qualche modo mi ha sempre aiutata nei momenti meno belli. All’atletica devo molto, anche le persone a cui sono tanto legata. Un giorno probabilmente questo mio percorso finirà, ma mi lascerà tantissimi ricordi (sia belli che meno belli) perché questo per me non è solo un semplice sport ma qualcosa di più”.
Anche la gemma di E. (classe terza) è dedicata allo sport. Nel mese di maggio mi sono imbattuto in un podcast di Mario Calabresi (lo trovate su Spotify) in cui intervistava Veronica Yoko Plebani, atleta che poi in agosto avrebbe vinto uno splendido bronzo nel triathlon alle paralimpiadi di Tokyo. Un giorno, non appena finisco il suo libro Fiori affamati di vita, scriverò sicuramente un post su di lei. Ad un certo punto, parlando del suo corpo (colpito da una meningite fulminante a 15 anni), dice “Il corpo è stata la mia soluzione. Attraverso lo sport faccio delle cose incredibili quindi non vedo niente di male nel mio corpo, anzi, vedo solo cose bellissime e questo mi aiuta a non avere nessun problema nel mostrarlo. Con il tempo ho capito che questo può essere d’aiuto anche per gli altri: è come se fossi diventata uno spazio dove le persone sanno riconoscere la fragilità. Molti sentono che è possibile avere delle fragilità e mostrarle e capiscono che si possono anche trasformare in qualcosa di positivo e accettarle”. La potenza dello sport! Consiglio: seguite su Instagram questa ragazza, fa bene all’anima.
“Oggi ho deciso di parlarvi di questa cuffia che ho comprato ai campionati italiani estivi di nuoto pchi mesi fa. Quest’anno purtroppo, a causa del Covid e le numerose restrizioni, è stato abbastanza difficile allenarmi costantemente nella mia disciplina. Ho cominciato a nuotare quando avevo 4 anni e da lì è nata la mia grande passione. Sono già 4 anni che partecipo ai campionati italiani di categoria ma il 2021 è stato un anno particolarmente difficile. Le piscine, per esempio, hanno chiuso per un periodo di tempo e quando hanno riaperto c’era un numero limitato di persone che poteva stare in piscina per questione di spazi e le palestre sono sempre rimaste chiuse, impedendo così il nostro potenziamento fuori dall’acqua. Nonostante tutta la fatica fatta, sono comunque riuscita ad ottenere qualche risultato soddisfacente riuscendo a qualificarmi per Roma 2021. Purtroppo il campionato non è andato come speravo, ma questa cuffia mi fa ricordare la bellissima esperienza che ho vissuto con i miei compagni, il fatto che non ho mollato fino all’ultimo e tutto il duro lavoro che ho svolto durante l’anno per raggiungere il mio obiettivo”.
Questa è stata la gemma di E. (classe terza). Mi ci è voluto un po’, ma poi sono riuscito a recuperare una frase che attribuivo ad un nuotatore ma non riuscivo a ricordare quale. Si tratta di una frase di Massimiliano Rosolino: “Il nuotatore ha come punto di riferimento i tempi. Il nuoto è uno sport completo che può dare un patrimonio eccezionale ma deve sempre essere vissuto in maniera serena. Il tempo da battere per migliorarsi non deve creare nel bambino ansia da prestazione ma deve essere uno stimolo per impegnarsi ad esprimere il meglio.”
“Ne ho parlato varie volte e non volevo essere ripetitivo, però effettivamente il rugby e il pallone… è qualcosa che significa molto per me. Questo l’ho preso allo stadio della Benetton Treviso ed è autografato da due giocatori. Ho scelto questo anche perché era abbastanza piccolo e lo potevo portare nello zaino, ma qualsiasi pallone è un simbolo di fratellanza: in una squadra di rugby non ci sono giocatori ma ci sono solo fratelli che ti aiutano e che devi aiutare. Fratellanza e amicizia, sia fuori che dentro il campo.”
Questa è stata la gemma sportiva di D. (classe seconda). Sono andato a ripescare quanto mi scriveva un alunno nel 2013 e che avevo già riportato sul blog, ma lo ripropongo con piacere: “Ecco. Il mio valore più importante è la famiglia… Ho scelto questa immagine perché penso che il Rugby sia come una famiglia: ci può essere qualsiasi persona in una squadra: c’è quello veloce, quello snello, quello tarchiato, quello alto, quello ciccione, quello grosso… Tutti questi con differenti personalità…. belle o brutte… E nonostante il carattere e l’aspetto fisico differenti l’uno dall’altro questa squadra è una sola: agisce, lotta, si aiuta a vicenda, ognuno ha il suo compito, proprio come una famiglia. Non deve mollare. Deve avanzare. Continuare il percorso anche durante le difficoltà… Io gioco a rugby. Sono al primo anno dell’under diciotto e sono il più piccolo. Io ammiro molto i compagni più grandi di me. Essi hanno più tecnica, più fisico ed esperienza… Sono più forti, superiori a me, anche in partita, e ad allenamento (infatti le prendo molto spesso). Nonostante questo anche se ogni tanto fanno gli spavaldi con me, gli voglio bene, li rispetto con tutto il cuore e so che anche se mi legnano ad allenamento, nel vero match, nel momento del bisogno, quando sarò placcato, loro saranno lì a prendere la mia palla per poi portarla oltre la linea di meta. Con loro son sicuro: avrò sempre un sostegno, sia morale che fisico. Per questo ritengo che la famiglia sia importante, sia dal punto di vista sociale che sportivo. Devo dire che riflettendoci, ci sono vari tipi di famiglia in questo mondo, anche se non ce ne rendiamo conto. La prima cosa che viene in mente appena qualcuno dice la parola famiglia, sono i genitori e i parenti. Se pensiamo bene invece ci sono anche altre famiglie. A scuola, al lavoro, nello sport, ovunque. La famiglia condivide tutto nonostante le difficoltà. Oggi uscendo dallo spogliatoio ho visto i due soliti fuori quota della squadra… Sono acerrimi nemici in campo. Quando si devono scegliere le squadre ad allenamento loro sono sempre separati, l’uno contro l’altro. Se le danno di santa ragione. Alla fine pero’ si chiamano a vicenda “mate”, vengono ad allenamento insieme, ridono insieme, c’è un’ intesa incredibile … Sono inseparabili… Io penso che ci sia qualcosa di magico in questo sport… Si condivide tutto: dalla fatica degli ultimi minuti impossibili da giocare, dove le ossa scricchiolano, i lividi si sentono di più e le gambe si indolenziscono, alla pasta del terzo tempo, dove si ride e scherza anche con la squadra avversaria. Il rugby insegna tante cose. Ti insegna ad attribuire i valori alla vita, ti insegna a rispettare, a dare sostegno, a non mollare al primo tentativo, a perseverare…. ad essere UNITI… Come una famiglia… Il rugby è come la vita. C’è tutto dentro: Difficoltà, dolore, amore, passione… Non per questo è definito dai gallesi “LO SPORT CHE VIENE GIOCATO IN PARADISO”… E lei cosa ne dice prof, pensa che qualche volta Dio si metta a fare qualche partita di rugby per insegnare a noi la vita?”. Bello vero?
“Io come gemma ho portato questa medaglia, la prima che ho ricevuto nello sport che praticavo. Per me ha un valore molto importante perché ero l’unica bambina a partecipare a questa mezza maratona di Palmanova insieme al mio allenatore. La medaglia mi lega proprio a questo sport che ho praticato e poi lasciato a causa della scuola e di altri impegni: il pattinaggio”.
V. (classe terza) ha presentato con queste parole la sua gemma. Stefano Baldini è un ex maratoneta, ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene. Dice così: “Correre perché nella corsa senti la tua anima e la tua mente che si liberano in piena libertà e autonomia. Correre perché il cuore con il suo saldo pulsare ti dà il ritmo dell’esistenza. Correre è bello perché ti dà belle sensazioni.”
Davide Mazzanti è l’allenatore della Nazionale italiana femminile di pallavolo. Qualche giorno fa, durante il ricevimento al Quirinale delle due nazionali, maschile e femminile, campionesse d’Europa, ha tenuto un breve discorso (2 minuti), a mio avviso molto significativo. Nella premessa afferma che lo sport sia spesso metafora della vita o di alcune fasi dell’esistenza. E poi fa una considerazione su cosa sia realmente lo sport e su come dovrebbero funzionare auspicabilmente le nostre relazioni. Eccone un estratto:
“Oggi celebriamo con convinzione i traguardi dei campioni e delle campionesse. Ma sotto i coriandoli della festa c’è un mondo intero che risale in superficie soltanto quando la palla cade dal lato giusto del campo. Perché chi perde, invece, è un fallito. Non è questo lo sport. In una narrativa che è soltanto bianco e nero, lo sport è la tavolozza dei grigi. Dove successo e sconfitta sono figli della stessa identica fatica, passione e desiderio. Dove tanti piccoli passetti in direzione dell’eccellenza possono anche essere distrutti in un istante, ad opera della sfortuna o del caso. Tutto ciò che accade in un rettangolo di gioco, in una piscina, in una palestra, è imponderabile, è affascinante, è doloroso, è stressante ed è unico. Ed è anche lo specchio di quello che ognuno di noi vive quotidianamente sul lavoro, con gli amici, in amore e nelle proprie comunità. E in questa grande estate tricolore, se c’è un messaggio che vale davvero la pena condividere è la speranza che le medaglie e i successi ci aiutino a creare un mondo in cui la gratitudine e il rispetto non svaniscano, al di là del lato dove cadrà l’ultima palla.”
Sono giorni di Olimpiadi, di sportivi conosciuti ai più che vincono o no e di sportivi sconosciuti ai più che fanno lo stesso. Dei primi si continuerà a parlare e scrivere comunque e anche le persone non vicine al mondo dello sport riconosceranno il loro nome; il nome dei secondi finirà in un cassetto polveroso per tre anni, quando riemergerà per una passata di straccio per la prossima Olimpiade. E nel caso di una vittoria nipponica quest’anno e di una malaugurata sconfitta parigina futura, dovranno prepararsi a essere definiti “una delusione”.
Il 12 novembre 2016 se n’è andato a soli 22 anni Vittorio Andrei, rapper conosciuto come Cranio Randagio; nella canzone Petrolio racconta della madre che l’ha spinto a partecipare a X Factor, ma soprattutto parla delle cose importanti, di ciò che conta, di quanto possa essere difficile vivere in un contesto che tarpa le ali al volo, che smorza gli entusiasmo con le continue critiche. “Io volerò, io volerò via ,ome un gabbiano pure se il petrolio mi pesa sul dorso smorzando la scia. Io volerò via, volerò via perché nel cielo c’è molto di più che in questa terra sbranata da gru, che in quest’oceano sempre meno blu. Dammi un motivo per restare, per mollare l’ancora, qui dove è tutto un detestare cio che l’altro fa. Ci hanno oppressi per testare quanto è forte l’anima, per quanto a pezzi possa amare un giorno spirerà.” E ancora “Ma non sarà certo X Factor a dirvi quanto valgo. La gente si dimentica, si scorda in un secondo anche soltanto che tu possa stare al mondo. Ma come disse un sommo dall’alto del suo intelletto: non puoi fermare il vento, solo fargli perder tempo.”
E conclude: “Io ho qualcosa di importante da dovervi raccontare: nessun “Non ce la farai” vale quanto un “Non mollare””.
Penso sia bene pensarci bene prima di usare “delusione, scontentezza, disillusione, amarezza, insoddisfazione” come parole che descrivono lo stato d’animo del tifoso davanti alle prestazioni di sportivi che hanno fatto mille sacrifici per essere lì. Le medaglie sono tre: non è pensabile che tutto il resto sia delusione (e a volte persino il bronzo o l’argento). E tutto questo portiamolo nella nostra vita: fare tutto il possibile non è detto che ci porti alla medaglia d’oro assoluta perché può esserci chi ci sopravanza. Ma fare tutto il possibile è la nostra medaglia d’oro.
Un interessante articolo scritto da Sara Manisera su Avvenire una settimana fa. Ci descrive una prospettiva di speranza che arriva dai giovani iracheni.
“Li dovreste vedere questi giovani iracheni. Già di buon mattino, sono in fibrillazione. Corrono avanti e indietro senza fermarsi. Si parlano con i walkie-talkie per coordinarsi. Appendono striscioni, spostano tavoli, consegnano le cartellette agli ospiti. Distribuiscono borracce riutilizzabili per non consumare plastica. Sorridono, scattano selfie e usano i social media come ogni ragazzo della loro età. Hanno tra i diciassette e i trent’anni e fanno parte di numerose organizzazioni della società civile irachena, impegnate nella tutela delle libertà sindacali e d’espressione, dell’ambiente, dei diritti delle donne, dei lavoratori e degli studenti. Tra di loro ci sono sindacaliste, ambientalisti, artisti, musicisti e cantanti, operatori di pace che lavorano sulla trasformazione nonviolenta dei conflitti tra le comunità. E soprattutto volontari. Tantissimi volontari. Tutti indaffarati per la prima conferenza organizzata a Baghdad dall’IraqiCivil Society SolidarityInitiative (Icssi). «È una grande responsabilità essere qui, perché significa far parte del cambiamento», spiega, visibilmente emozionato, Mustafà Mauyad Alhindi, «Non è facile dimenticare», afferma, sospirando, questo ragazzo ventiquattrenne, «Le persone sono state lacerate da questi anni di conflitto ma vogliamo migliorare il nostro paese e la nostra società dopo tutte le ferite del passato». Accanto a Mustafà c’è un’altra attivista poco più che ventenne. Irachena di Baghdad, madre sciita e padre sunnita, laureata in ingegneria informatica, Tabarak Wamedh Rasheed lavora per l’ong italiana ‘Un Ponte Per’. «In questi anni, siamo stati in grado di collegare la società civile irachena con quella internazionale ma abbiamo ancora molti problemi da risolvere, come l’inquinamento, la violenza tra le comunità e le continue violazioni dei diritti delle donne irachene », racconta Tabarak, senza mai accennare una smorfia di frustrazione, «Crediamo che le proteste pacifiche siano un fattore essenziale per conquistare i nostri diritti, soprattutto la libertà di espressione ». Dal 2016, Tabarak fa parte anche della segreteria dell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (Icssi), l’iniziativa internazionale di solidarietà, nata dai movimenti che avevano organizzato nel 2003 le grandi manifestazioni contro la guerra in Iraq, e che hanno poi voluto accompagnare la nascente società civile nelle sue lotte per un altro Iraq. È la prima volta che la società civile irachena organizza una conferenza di queste dimensioni a Baghdad. Più di 140 rappresentanti iracheni dei sindacati e delle associazioni locali, tra cui il Forum Sociale iracheno, il Forum Sociale del Kurdistan, i Forum sociali locali di undici città dell’Iraq e quattro consigli per la coesione sociale hanno partecipato a questa incredibile iniziativa dal basso. E sono più di cinquanta i delegati internazionali giunti a Baghdad da quindici paesi per discutere insieme agli attivisti locali le sfide future della società civile irachena. «In questi anni, abbiamo assistito alla nascita di un movimento di giovani attivisti, provenienti da zone colpite dalla guerra. Ti aspetteresti che siano disillusi, invece hanno molta speranza, vengono ascoltati dalle istituzioni e soprattutto si divertono mentre lavorano per cambiare il Paese», spiega Martina Pignatti Morano, responsabile dei progetti di Peacebuilding di Un Ponte Per. «Queste ragazze e ragazzi ci hanno insegnato che sanno organizzarsi in diverse città in un processo unitario come il Forum Sociale Iracheno. Si sono ispirati al Forum Sociale Mondiale, nato in Brasile nel 2001, e l’hanno trasformato in qualcosa che ha senso per l’Iraq e che stimola il volontariato e l’attivismo dei più giovani. A volte rischiano di essere arrestati, altre vengono ricevuti dai Ministri per esporre le loro proposte. In ogni caso non mollano», aggiunge Martina. A Baghdad la primavera sembra essere arrivata in anticipo. Il cielo è limpido e il sole tiepido di fine gennaio riscalda i volti dei partecipanti seduti nel giardino dell’Associazione degli ingegneri iracheni, nel distretto di Karrada, un quartiere commerciale e etnicamente misto di Baghdad, lungo la sponda orientale del fiume Tigri. Per quattro giorni, gli attivisti da tutto l’Iraq, di diversi gruppi etnici e confessionali, hanno discusso dei problemi del loro paese, proponendo strategie e progetti per il futuro, in un clima di entusiasmo e di convivialità. All’esterno la città appare convulsa e vivace. Auto di grossa cilindrata e vecchi taxi gialli occupano tutte le corsie in modo disordinato. Antiche case di primo Novecento sono nascoste da palme inaridite. I T-wall – grandi mura di cemento armato, lasciti dell’occupazione americana – cominciano lentamente a essere smantellati. Si respira un’aria di fermento civile e culturale nella capitale. Non solo a Baghdad. Le recenti proteste di quest’estate nel sud dell’Iraq da Bassora a Nassiriya, passando per Amarah, Kut, Karbala e Najaf, per rivendicare diritti e servizi sociali, come l’accesso all’acqua, all’elettricità e al lavoro, dimostrano ancora una volta la resilienza del popolo iracheno. E dei suoi giovani. Laureati ma costretti a lasciare il paese per l’assenza di opportunità lavorative e per la corruzione endemica tra i politici. Quasi la metà della popolazione irachena ha meno di 19 anni e la disoccupazione tra i 15-24 anni si attesta al 24%, secondo gli ultimi dati del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (Undp). Una condizione che obbliga molti di loro a emigrare o affidarsi alle milizie che offrono un impiego retribuito alternativo. Abdallah Khalel, ventitré anni, ha fatto parte per due anni delle Unità di mobilitazione popolare, le milizie armate più conosciute come Al-Hashd Al-Sha’abi, nate nel 2014 in risposta al rapido avanzamento territoriale di Daesh, l’autoproclamato Stato islamico. Oggi, Abdallah è diventato membro di Sport Against Violence, un’associazione che da anni utilizza lo sport come strumento per prevenire la violenza e l’estremismo e che lo scorso novembre ha organizzato la quarta Mezza Maratona per la Pace di Baghdad. «Il risultato di cui sono più fiero è la partecipazione delle donne. Più di 1.300 persone sono venute alla maratona e 400 erano donne», racconta quasi incredulo, «ma dobbiamo fare meglio e di più», dice ammiccando. Sono stupendi e contagiosi questi ragazzi. E quanti sentimenti si portano dentro. Certo non è facile essere attivisti in Iraq. Le proteste popolari a Bassora e nelle altre città sono state violentemente represse dalla polizia e numerosi manifestanti, giornalisti, avvocati e difensori dei diritti umani sono stati sottoposti a detenzione arbitraria, torture e uccisioni sommarie da parte delle forze di sicurezza irachene e delle milizie, come documenta il rapporto del Ceasefire Centre for Civilian Rights e del Minority Rights Group International, pubblicato lo scorso dicembre. Sebbene la costituzione irachena del 2005, riconosca il ruolo della società civile e garantisca la libertà d’espressione, non vi è una legge specifica che protegga i difensori dei diritti umani. Un altro Iraq, però è possibile. Anzi, già esiste.”
Quella che segue è l’ultima gemma che pubblicherò sul blog. Continueremo a viverle in classe su grande richiesta di studentesse e studenti, ma non compariranno più sul blog: troppo è il lavoro che richiedono e il tempo che mi ci vuole per pubblicarle e commentarle. Desidero inoltre che il blog riprenda la funzione principale per cui è nato: l’approfondimento degli argomenti inerenti l’ora di religione e un pungolo di riflessione.
“La mia gemma è la lettera di Kobe Bryant al basket. E’ uno dei miei sport preferiti, una passione trasmessami da mio padre e Kobe per me è uno dei grandi dello sport. Trovo ammirevole la passione che lui ci mette nel basket e il suo enorme talento. Spero di trovare la stessa sua passione nelle cose della mia vita”. Queste le parole di G. (classe terza). Riprendo alcune delle parole della lettera: “Ho fatto tutto per TE perché è quello che fai quando qualcuno ti fa sentire vivo come tu mi hai fatto sentire”. Le auguro a tutti i miei studenti per le vacanze che stanno per vivere: scoprire cosa li fa sentire vivi e innamorarsene.
“Ho scelto di portare questo video perché illustra al meglio la mia passione per il motocross. I miei genitori non condividono molto questa mio amore e allora vado a vedere i miei amici. Nel filmato ci sono immagini molto motivanti che fanno anche capire tutto los forzo e la fatica; mi piacciono molto anche la canzone e le parole. E’ uno sport a tutti gli effetti e chi lo pratica prova libertà e felicità.” Così M. (classe quinta) ha presentato la sua gemma. Il dottor Costa è un medico molto noto agli amanti del motociclismo. Sua è questa frase che bene si addice alla passione trasmessa da M. durante la sua presentazione: “L’amore per la moto riesce, quasi per magia, a liberare l’energia imprigionata nel cuore degli uomini, e a illuminare i sotterranei dell’anima”.
“Faccio danza da 10 anni e ora posso dire che la contemporanea è quella che preferisco perché non ha le leggi rigide della classica e non è commerciale come l’hip hop. Per praticarla ci vogliono una buona base fisica con impegno, costanza e preparazione. La danza mi fa sentire meglio nelle giornate no. E’ importante anche il gruppo che diventa una piccola famiglia. E’ una disciplina che mi ha fatto crescere personalmente”. Il video del saggio del 2013 è stato la gemma di S. (classe terza). L’aula in cui S. ha mostrato il suo video era molto luminosa e le immagini mostrate dal proiettore non erano chiarissime. Un peccato perché non si è apprezzato pienamente quel che avveniva sul palcoscenico: “La danza non è spiegabile a parole e nulla di quanto se ne possa dire potrà sostituire ciò che alla fine si vedrà sul palcoscenico”. (George Balanchine)
“Ho deciso di portare il mio pattinatore preferito. Il pattinaggio è parte importante della mia vita, è uno sport al quale sono molto affezionata e che seguo molto (sia quello a rotelle che quello sul ghiaccio). Questo è il primo programma di Yuzuru Hanyu dopo un mese difficile dal punto di vista del fisico e della salute e per lui rappresenta un grande riscatto. Mi piace perché è un perfezionista, cerca di essere sempre al meglio e rendere al 100%. Penso che questo dovrebbe essere il pattinaggio: non solo tecnica ma anche eleganza e interpretazione.” Questa è stata la gemma di E. (classe quinta). Riporto una dichiarazione di Carolina Kostner, che fa eco alla passione trasmessa da E.: “Mi piace l’allenamento, in realtà le gare non mi piacciono tanto… in allenamento mi vesto, mi pettino come voglio, mentre in gara e anche durante gli allenamenti ci sono tutte le persone che ti guardano… però è così, fa parte del gioco… e alla fine è per la gara che si lavora, quindi…”
Con queste parole L. (classe seconda) ha presentato la sua gemma: “La mia gemma è il primo trofeo di judo, la mia prima gara in assoluto. Per me è importante perché lì c’erano tutta la società e i compagni che facevano il tifo per me. Durante questo percorso (9 anni) ho perso molti compagni che mi stavano vicino e ovviamente questo mi dispiace: il trofeo rappresenta anche l’unità tra me e i miei amici.” Credere nelle proprie capacità, nella propria abilità, nel proprio potenziale è importante; tuttavia, sentire che ci credono anche gli altri e che sono lì a dimostrartelo e a dirtelo, ti fa tirare fuori quel qualcosa in più che può fare la differenza.
“Ecco le mie prime punte di danza. Rappresentano una grande passione, iniziata quando avevo 6 anni: sono state un piccolo traguardo. Le ho potute mettere dopo anni di prove e fatica. Già da subito volevo dare il massimo per arrivare a indossarle: sono il frutto di fatica e determinazione. Ora cerco sempre di dare il massimo e di immedesimarmi nei vari ruoli che interpreto.” Queste le parole di N. (classe seconda). Uno degli ultimi allenatori della nazionale di calcio non ha terminato bene la propria esperienza in azzurro, eppure era stato uno dei più apprezzati per la sua umanità. Mi sto riferendo Cesare Prandelli, che ha affermato: “La pratica sportiva è un microcosmo della vita fatto di sacrifici, applicazione nel lavoro, rispetto delle regole, successi e delusioni. Ma è soprattutto un modo sano di intendere la vita, a prescindere dai risultati che ciascuno può ottenere.”
“Ho portato la maglietta di un grande capitano che ora si è ritirato dal calcio giocato. Per me è un mito, magari non dotato di un grandissimo talento per il calcio, ma un giocatore che ha sempre messo tantissima grinta senza mai mollare; è stato un campione sempre costante negli allenamenti, e sempre pronto a fare di tutto per la squadra. Mi ispira e mi porta a non mollare mai; penso che cercando di fare sempre qualcosa di più, allenamento dopo allenamento, i risultati arrivino. Il calcio per me è tanto. Anche il numero di maglia mi piace.” Questa è stata la gemma di M. (classe seconda). Riporto quello che il giornalista sportivo Luigi Garlando ha scritto nel 2013 sulla Gazzetta: “Javier Zanetti è una figurina che ogni padre metterebbe in mano al proprio figlio come un santino, a prescindere dal campanile del tifo: gioca come lui, comportati come lui. Il capitano nerazzurro è da anni una stella polare indicata ai giovani che si incamminano nello sport. La sua lezione più preziosa è la dignitosa accettazione della sconfitta e l’orgoglioso sforzo per ripartire. Una lezione straordinariamente moderna oggi che ai ragazzi si insegna altro: che la sconfitta è la spia del fallimento, da evitare in tutti i modi, e non un passaggio naturale e istruttivo per migliorarsi.”
“Ho portato come gemma la foto della squadra: beh, forse è un po’ scontato, ma per me rappresenta un tesoro perché lì siamo tutti fratelli, condividiamo vittorie e sconfitte. Viviamo insieme le fatiche e superiamo tutto anche se a volte è difficile, soprattutto quando giochiamo contro squadre più forti: sono le volte in cui si tratta di mandare in campo il cuore. E’ bello il legame che si forma anche con l’allenatore e le altre persone che aiutano: è come una grande famiglia. I fratelli che mi sono mancati li ho trovati in questo gruppo.” Questa è stata la gemma di R. (classe seconda). Gioco a pallavolo e ho sempre ammirato l’allenatore che ha portato in alto la nazionale italiana maschile, Julio Velasco. Ecco, in questo video spiega la differenza tra gruppo e squadra…
“Il body che ho portato è legato a due ricordi: la ginnastica e gli europei giovanili in Svezia. Pratico ginnastica da quando avevo due anni e mezzo, e mi ci sono avvicinata seguendo alcune compagne di asilo. Me ne sono innamorata subito, non mi sono mai stufata (sì, ho attraversato dei periodi no ma sono la minoranza), ho fatto sacrifici e sforzi e penso sia il miglior sport di sempre (mi alleno anche di sabato e sento di fare la cosa giusta). Il body l’ho preso nell’estate del 2014 quando sono andata in Svezia. Appena arrivata là l’ho visto e me ne sono innamorata subito ma poi l’ho comprato solo l’ultimo giorno: mi ha sempre portato fortuna ed è il primo che ho scelto io”. Così G. (classe seconda) ha presentato la sua gemma. C’è uno sportivo che ha pagato un prezzo molto caro a una delle sue passioni, ma che non per questo si è fermato, anzi è come se avesse tratto dal suo incidente ulteriore forza, Alex Zanardi. Afferma: “E’ importante lavorare assaporando il gusto di ciò che fai. Il sacrificio passa inosservato se fai le cose con slancio ed entusiasmo.”
“Ho portato come gemma il discorso di Al Pacino nel film “Ogni maledetta domenica”. Mi trasmette una grande carica e mi dà la voglia di correre, di giocare, di lottare”. Questa la gemma di S. (classe seconda). Adoro Al Pacino, adoro i suoi film. Mi soffermo su una piccola parte del discorso fatto alla squadra: “i centimetri che ci servono sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo”. Mi ha sempre colpito questa frase: non aspettiamo la grande occasione, non aspettiamo la finale per dare il meglio di noi stessi… Ogni situazione è quella buona…
“Ho portato le mie punte di danza; ho praticato tanti sport ma la danza è quello che mi è piaciuto di più e a cui tenevo di più. Mi è dispiaciuto moltissimo non andarci più, anche perché nella scuola che frequentavo avevo trovato una specie di seconda famiglia. Queste sono state le prime e le ultime punte. Ho iniziato tardi a fare classica e il fatto di riuscire a raggiungere comunque un traguardo mi ha dato sicurezza e fiducia in me stessa”. Questa la gemma di E. (classe seconda). Ho avuto un’unica sequenza davanti aglio occhi mentre E. parlava:
“Ho portato come gemma due foto che sono molto importanti perché segnano l’inizio e l’attuale punto d’arrivo del mio percorso scout. Nella prima sono nelle coccinelle al primo volo estivo (3-4 giorni in montagna). La ragazza in alto era la capo che ci ha regalato la foto perché lei sarebbe andata via. La seconda foto è con la squadriglia la scorsa estate durante il campo. La squadriglia è per me fondamentale perché siamo come delle vere sorelle: non ci sono segreti, ci raccontiamo tutto, si passa tutto il tempo insieme, si cresce molto (ci sono molti litigi durante questi giorni; nei primi 4 anni, ad esempio ho litigato molto con la caposquadriglia, ma mi ricordo anche i momenti indimenticabili soprattutto nell’ultimo anno in cui invece abbiamo legato tanto). Le amicizie che si sono formate sono tra le più profonde e importanti che ho; abbiamo affrontato insieme i problemi aiutandoci nelle difficoltà, anche nel semplice fatto di rispettare gli impegni del sabato e della domenica. Quest’anno l’ho iniziato con tanta gioia ed entusiasmo e un po’ mi dispiace passare nel gruppo più grande il prossimo anno. Ho anche portato una canzone dei The Sun. Sabato sera ero alla loro testimonianza-concerto. Sono in 4 e 2 di loro hanno fatto un percorso difficoltoso senza vedere il senso del limite. Il leader ha avuto grande cambiamento frequentando la chiesa e ha testimoniato la sua esperienza; gli altri hanno deciso di aiutarlo. La canzone è “Strada in salita”, e soprattutto il ritornello mi ha colpito: “Voglio un sogno e voglio un senso, voglio una partita che mi faccia dare il meglio, che questa vita sia la mia strada in salita, che mi possa guidare in ciò che amo e così sia”. Uno che dice così è molto forte e va contro corrente rispetto ad un mondo che propone un modello di strada semplice e comoda.” Questa è stata la gemma di E. (classe seconda). Stamattina stavo prendendo il caffè nel bar della scuola e stavo parlando con Valentina, che ci lavora. Ci siamo messi a parlare di una nostra passione condivisa, la pallavolo e di quanto siano in crisi, rispetto al passato, gli sport… “E’ che” abbiamo concordato ad un certo punto, “lo sport è sacrificio”. La dimensione del sacrificio mi fa assaporare in maniera diversa il risultato finale, sconfitta o vittoria che sia. Ne ho vinte e ne ho perse di partite, ma ci sono sconfitte che hanno più sapore di alcune vittorie perché la lotta è stata dura e ho lottato dando il meglio di me. “Ogni giorno della vita è unico, ma abbiamo bisogno che accada qualcosa che ci tocchi per ricordarcelo. Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo bella figura o no, in fin dei conti l’essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede, ma si percepisce nel cuore.” (Aruki Murakami)
“Ho scelto questo video perché lui è il mio idolo. Gioca in una squadra neozelandese e mi fa venir voglia di dare sempre il meglio di me”. Così ha commentato la sua gemma P. (classe seconda). Il giornalista Marco Pastonesi, ex rugbista, scrive: “Il rugby e` una voce del verbo dare. A ogni allenamento, a ogni partita, a ogni placcaggio, a ogni sostegno, dai un po` di te stesso. Prima o poi qualcosa ti tornerà indietro.”