Se fossi stato a casa invece che nell’aula insegnanti nel momento in cui ho girato l’ultima pagina di “Centomila
giornate di preghiera”, sarebbero scese calde lacrime di commozione ed emozione. Pochi i disegni forti, di quelli che da soli fanno volgere lo sguardo da un’altra parte, direi quasi inesistenti. Molti quelli che fanno pensare, riflettere, muti per lasciare spazio ad un attonito silenzio. Bellissime alcune intuizioni (un canarino prima ascoltatore muto delle confidenze del ragazzino protagonista, poi mentore che racconterà al giovane la storia del padre; un buco nero nel pavimento della camera a indicare l’intimo, l’interiorità; l’atmosfera cineraria della Cambogia di Pol Pot). Su tutto i reali protagonisti del fumetto: il rapporto tra il passato e il presente, la fatica della memoria, il tentativo di rimozione del doloroso ieri, una riconciliazione che non può significare far finta di nulla. C’è un breve scambio che dice tutto:
– “Non lo so cosa preferisco”
– “Tra cosa e cosa?”
– “Tra sapere e non sapere”.
