Lo ricordo spesso ai miei studenti. Un articolo lungo è leggibile (a meno che uno sia fortemente interessato all’argomento trattato) solo se ha un buon incipit o un’efficace chiusura. L’articolo di Lorenzo Fazzini, pubblicato su Avvenire, mi ha catturato per le primissime righe. Eccolo qui.
«Usare la parola ‘verità’ al singolare in un mondo polifonico e un po’ come pretendere di applaudire con una mano sola… Con una mano sola si possono dare pugni sul muso, ma non applaudire». Teorico della società liquida, Zygmunt Bauman, sociologo di fama mondiale, è sempre stato abbastanza alieno da riflessioni di carattere teologico. Ma alla veneranda età di 89 anni sa ancora sorprendere: in questi giorni Laterza manda in libreria il suo nuovo saggio Conversazioni su Dio e l’uomo (pp. 176, euro 15), dialogo con il teologo polacco Stanislaw Obirek.
Seppur agnostico convinto, nel libro Bauman spende parole positive per alcune esperienze di fede, ad esempio quella di Solidarnosc. Riporta un suo articolo comparso sul settimanale cattolico di Cracovia, molto vicino a Giovanni Paolo II, Tygodnik Powszechny, riferito proprio al movimento sindacale di Lech Walesa. Nel rievocare quella pagina gloriosa della storia, Bauman denuncia: «La nostra società di consumatori totalmente individualizzata è una fabbrica non di solidarietà, ma di reciproche sospettosità e concorrenza. Un prodotto collaterale, ma estremamente comune, di tale fabbrica è il deprezzamento della solidarietà umana che affonda le sue radici nell’atrofizzarsi della cura del bene comune e della qualità della società in cui la vita dell’individuo si svolge». Insomma, per recuperare la metafora iniziale, con una mano si può anche abbracciare l’altro, aiutarlo a sollevarsi dalla povertà e farlo rientrare nel novero degli umani.
Professor Bauman, nel suo nuovo libro lei indica diversi tipi di persone dogmatiche: quelle religiose, marxiste, i dogmatici della genetica, del consumismo, dell’informazione e del mercato. Quale il dogmatismo più pericoloso oggi?
«Potremmo aggiungere altri esempi. I dogmatismi sono vari e diversificati, ma non saprei dire qual è il più pericoloso. Essi hanno in comune il peccato originale di tapparsi le orecchie e chiudere gli occhi sull’inalienabile umanità di quanti ci vivono accanto, per quanto diversi possano essere. Tutte le varietà di dogmatismi, in fin dei conti, sono il rifiuto o la non capacità di comunicare e intraprendere un dialogo: sono queste due le arti cruciali per sopravvivere in questo mondo segnato dalla diversificazione crescente e da una diaspora che fa nascere una crescente interdipendenza».
Cosa significa questa interdipendenza?
«Significa che non possiamo più separarci dagli altri, siano essi stranieri, credenti in altre fede rispetto alla nostra oppure sostenitori di modi diversi di vivere; essi non sono lontani o sull’altra sponda rispetto a un confine controllato da qualche guardiano, ma si trovano in mezzo a noi, li incontriamo ogni giorno sul lavoro, nelle scuole frequentate dai nostri figli, nelle strade dove viviamo. La diversità umana ci è accanto, anche nei posti più vicini. Imparare e praticare l’arte del dialogo dovrebbe essere una delle scelte da inserire tra i compiti più urgenti con i quali dobbiamo confrontarci. L’alternativa al prenderci in carico gli uni gli altri è spararci a vicenda!».
Lei, non credente agnostico, è spesso invitato in ambienti cattolici, ad esempio di recente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Un esempio di quel dialogo autentico che Francesco chiede, un confronto tra persone che la pensano in maniera nettamente diversa. Come ha reagito a questo invito di Francesco?
«Un dialogo genuino e degno di questo nome non consiste nel parlare solo con persone con cui ci piace discutere, negando il diritto di intervenire e rifiutandoci di ascoltare. Il dialogo consiste nell’aprirci, senza nessuna preclusione o pregiudizio, al fatto della diversità umana che possiede molte facce; esso si esplica nel cercare di capire le ragioni che stanno dietro all’attaccamento di qualcuno a determinati argomenti; nell’accettare di agire non subito come un maestro ma come un alunno; nell’assumere dall’inizio un atteggiamento cooperativo e non combattivo, cercando di raggiungere alcuni benefici reciproci in saggezza ed esperienza invece di dividere i partecipanti tra vincitori o sconfitti. Jorge Mario Bergoglio, anche prima di diventare papa, è stato per noi un luminoso esempio dell’arte di un siffatto dialogo genuino. Egli parla e ha parlato con l’intenzione di una comprensione reciproca e della condivisione della conoscenza dell’altro, e non per la volontà di far valere la propria pre-designata e indiscutibile superiorità».
«Perché ci sia vero dialogo, dobbiamo mettere in conto la sconfitta», ha ammesso lei stesso. Nella sua carriera ha vissuto una ‘sconfitta’ del suo pensiero?
«Questo è ciò che deriva da quanto dicevo prima: il dialogo è destinato a diventare una serie di monologhi – un esercizio che significa parlare accanto a qualcuno invece che con qualcuno – fino a quando non ci ricordiamo che errare humanum est. E quindi esser pronti a mettersi in discussione perché ci vengono posti di fronte delle posizioni migliori delle nostre. Io devo essere preparato a confessare la mia sconfitta, ad ammettere che mi sbagliavo e a ringraziare quanti mi hanno portato fuori dall’errore. Questo consiste in qualcosa di difficile: la maggior parte delle persone preferisce essere nel giusto piuttosto che nell’errore. Esser trovati in errore ci fa percepire un soffio doloroso sulla nostra autostima. Ma non si apprende in toto l’arte del dialogo se non vengono praticate le sue condizioni più difficili. Guardando in maniera retrospettiva alla mia storia, posso dire che l’ammissione di alcuni miei errori di giudizio, e la loro sincera ammissione, sono arrivati troppo tardi rispetto a quello che avrei voluto, sebbene speravo che nel corso della mia lunga vita la distanza di tempo tra l’aver commesso un errore e la sua ammissione si potesse ridurre».
Nel suo dialogo con Stanislaw Obirek, lei suggerisce un nuovo modo di dialogare, ovvero attuare il “polilogo” tra posizioni diverse.
«È l’estensione ovvia di monologo e di dialogo, ovvero di un confronto che sia più largo di due soli punti di vista: si tratta di un evento che avviene spessissimo in ogni città moderna o nelle strade sotto casa nostra. In realtà ogni discussione pubblica è per definizione un “polilogo”. Il mondo in cui noi viviamo è tutt’altro che digitale. Potremmo dire che è un mondo analogico, con molte divisioni che si incrociano, alcune semplicemente giustapposte, altre che si sovrappongono o che emergono in maniera leggera. Un vero dibattito pubblico ha bisogno di prendere in considerazione il fatto di aiutare a cristallizzare i punti di contesa e instaurare le potenziali teste di ponte fra la varietà di punti di punti di vista e di opinioni».
«La verità è un incontro». Papa Francesco ha ricordato più volte questa sua definizione. Lei concorda?
«Sì. Le verità, così come ogni conoscenza e tipo di comprensione, sono sempre e nient’altro che discorsive; gli incontri umani sono il loro luogo di nascita e il loro habitat naturale. Essi sorgono e vivono, nel corso della loro durata ed esistenza, all’interno della comunicazione interumana. Noi umani siamo per nostra natura sociali, interagiamo, comunichiamo con altri esseri umani; nessuno può reclamare una verità come sua propria creazione o proprietà. Essa viene formata e si sostiene attraverso continui negoziati, tramite la solidarietà e l’interazione propria degli umani. La verità non ha altro posto in cui abitare. Se dimentichiamo questo fatto, avviene quello per cui ammoniva Martin Buber, ovvero l’incontro si trasforma in un incontro mancato, inefficace e alla fin fine privo di scopo».
Gemme n° 34
La gemma che ha portato M. (classe terza) è la parte finale del suo saggio di danza. “Ballare per me è tutto, è la cosa più importante. Guardi prof, mi tremano le mani solo a pensarci. E’ ciò che mi fa stare bene con me stesso, che mi rende orgoglioso di ciò che sono e rende orgogliosi anche i miei genitori”.
Mi è venuta in mente la lezione di ballo liscio di ieri sera, in cui sono impazzito per capire come funziona il giro a sinistra della mazurka (sigh!). Non è la mia passione il ballo, almeno per ora, però è una cosa che mi piace fare insieme a mia moglie e per questo è importante. Però adoro vedere chi ci mette l’amore e la passione nelle cose che fa, e si emoziona parlando di esse e si fa trasportare come nel video qui sotto…
Gemme n° 33
“Ho scelto la scena finale di un grande film per tre motivi:
- spesso gli uomini costruiscono prima la scatola del contenuto. Andrebbe fatto il contrario
- Si racconta di una grande amicizia, e penso che questo sia l’unico legame che resti vivo anche dopo morte
- Gatsby ha cercato di seguire un proprio sogno, ne ha fatto una ragione di vita, anche se, come dice la sequenza l’aveva già superato perché lui valeva più del suo stesso sogno”
Queste sono state le parole di H. (classe seconda) ad accompagnare la sua gemma. A vedere la scena iniziale del video con quella solitudine agghiacciante mi è venuto in mente questa struggente canzone di “Antony and the Johnsons” che inizia così: “Spero che ci sia qualcuno che si prenderà cura di me quando morirò, me ne andrò? Spero che ci sia qualcuno che libererà il mio cuore, che mi stringa gentilmente quando sono stanco”. I brividi, ogni volta che la sento.
L’attualità di Marsilio e Guglielmo
Pesco ancora una volta dal blog di Matteo Andriola. E’ una riflessione su laicità, politica, stato, chiesa, democrazia, potere, rappresentanza a partire da Marsilio da Padova e Guglielmo di Ockham.
“Seppur con le dovute cautele del caso, il dibattito relativo alla natura del potere spirituale è quanto mai vivo e attuale. In un’epoca come la nostra, preoccupantemente monca di teorie politiche, la questione stuzzica il mio interesse e, senza nascondere le mie perplessità per una figura, quella del pontefice, che ritengo anacronistica almeno nella forma, trovo incredibile che, pur modificandosi nel tempo, il dibattito relativo al rapporto fra potere temporale e potere spirituale abbia mantenuto inalterata la propria vitalità. Soltanto un ottuso potrebbe sostenere che la società sia effettivamente laica, e nella fattispecie, la figura del papa ha consolidato nel corso dei secoli la propria connotazione politica, e in questo senso, con i caratteri che il ruolo stava assumendo, fu molto più coerente Bonifacio VIII di quanto non lo sia stato il casto e puro Celestino V, costretto a gettare la spugna di fronte all’impossibilità di rendere puro un potere oramai vittima di se stesso e dell’imperante corruzione. Ancora oggi, come detto, la querelle relativa agli eventuali limiti del potere spirituale è percepita come straordinariamente attuale, soprattutto in una società che professa laicità senza crederci veramente. Sostengo la laicità dello Stato, ma più mi guardo attorno e meno la scorgo, e per quanto lo si voglia negare, forse oggi più di ieri, il pontefice è un alleato cui pochi si sentono di rinunciare.
Come spesso mi accade, per comprendere il Presente, certo di non sbagliare, attingo al Medioevo, culla naturale di una disputa che ieri toglieva il sonno a Dante Alighieri e che oggi, seppur in maniera diversa, mantiene inalterata la propria vigoria. Due pensatori hanno affrontato la questione con una veemenza che, quasi contraddittoriamente, trova un’incredibile modernità nella propria essenza profondamente Medioevale: Marsilio da Padova e Guglielmo di Ockham. Marsilio decide di incamminarsi su un sentiero piuttosto impervio, ponendosi l’obiettivo di far crollare la pretesa assolutistica di un papato che agli occhi di molti aveva perso notevolmente prestigio. Parallelamente, Ockham contempla addirittura, in maniera certo clamorosa, la possibilità di un papa eretico, giustificando un’eventuale resistenza nei suoi confronti da parte dei fedeli. Secondo Marsilio, la società è il frutto del desiderio insito in qualunque individuo di condurre un’esistenza che meriti essere effettivamente vissuta; dal canto suo, Ockham assume una posizione destinata a suscitare non meno scalpore, sostenendo la possibilità che il potere temporale prevarichi quello spirituale, riconoscendo a un sovrano temporale la possibilità di deporre un pontefice che non si mostri ossequioso verso le Scritture. Contrariamente ad alcune correnti di pensiero che auspicavano l’unione dei due poteri, Ockham, tanto cauto quanto lungimirante, si mostra invece accanito sostenitore della loro divisione, utile a suo giudizio per preservare una sorta di equilibrio bipolare.
I due filosofi, in un moderno quanto sorprendente slancio di inconsueto sapore democratico, sono concordi nel ritenere il popolo quale depositario del potere, ed entrambi accettano il rischio di sostenere una tesi che inevitabilmente avrebbe finito per scontrarsi contro un potere, quello del papa, mai troppo incline ad accettare di essere messo in discussione. A mio giudizio, anche in relazione al tempo in cui vive, Marsilio, individuando la società quale risultato dell’opportunismo dei singoli, è di una modernità sconvolgente nel ritenere che gli uomini si associno soltanto per andare oltre la mera sopravvivenza, tentando così di realizzare appieno le proprie potenzialità. Le contese, di esempi il Medioevo ne offre molti, dominano la società e la pace può essere garantita solo a patto di impedire che ognuno persegua il proprio vantaggio. Solamente le leggi e un “guardiano” in grado di imporle e vigilare sulla loro pedissequa applicazione, possono garantire la sopravvivenza di uno Stato e tali norme, a suo giudizio ritrovano la propria essenza nell’essere imposte con la forza da chi ne ha l’autorità. La loro validità dunque, secondo Marsilio, non dipende da una qualsivoglia subordinazione a un’entità superiore, quanto piuttosto dall’esclusivo fatto di essere emanate correttamente. Chi conosce il Medioevo sa bene che gli slanci democratici erano merce rarissima al tempo, e per questo, che due pensatori concordino nel conferire ai cittadini una responsabilità legislativa, è da considerarsi un fenomeno straordinariamente all’avanguardia. Sia Marsilio che Ockham, infatti, sono in perfetta sintonia nel riconoscere ai cittadini il delicato compito di entrare nel meccanismo legislativo, e laddove il primo sostiene che i sudditi debbano stabilire le normative in grado di regolare la vita della comunità, il secondo, individuando negli uomini il tramite tra Dio e il potere dello Stato, attribuisce ai cittadini la facoltà di assegnare il potere. Anche se Ockham, ritornando parzialmente suoi propri passi, in casi eccezionali contempla la possibilità che il papa destituisca un sovrano temporale divenuto pericoloso, i due pensatori, troppo acuti per cadere in errore, non faticano a riconoscere nel papato una subdola macchina politica e tentano encomiabilmente di riportarlo entro i ranghi attraverso le proprie teorizzazioni. Marsilio infatti, consapevole del fatto che la Chiesa ricorra troppo spesso a Dio come strumento persuasivo, ridimensiona la forza terrena della legge divina, negando che essa possa risultare vincolante nell’esistenza temporale degli individui; essa infatti, per natura eterna e infallibile, non può né potrà mai possedere nel mondo terreno quella forza coercitiva necessaria per renderla effettivamente valida. Il potere spirituale, che né Marsilio né Ockham negano, può trovare la piena realizzazione soltanto esercitando un ruolo per così dire didattico, educando religiosamente i fedeli in maniera non coercitiva.
Testi come il Defensor pacis e il Dialogus, a conti fatti, non meritano di giacere impolverati dimenticati su uno scaffale, ma il loro contenuto, straordinariamente lungimirante, necessita più che mai di una riscoperta in grado di rinvigorirne freschezza e vitalità.”
Gemme n° 32
Non posso pubblicare la gemma portata da G. (classe quinta): ha mostrato la foto di suo fratello che “fa volare” la figlioletta. “Ho portato loro perché è grazie a loro due che ho messo un po’ la testa a posto. Prima devo ringraziare mio fratello che mi è sempre stato vicino e poi mia nipote che mi ha preso come riferimento e che quindi mi spinge ad essere più responsabile, almeno un po’…”.
La foto che ci ha mostrato mi ha immediatamente fatto pensare a questo quadro di Chagall e alle parole della moglie Bella: “«Non muoverti, resta dove sei…».Non riesco a stare ferma. Ti sei gettato sulla tela che vibra sotto la tua mano. Intingi i pennelli. Il rosso, il blu, il bianco, il nero schizzano. Mi trascini nei fiotti di colore. Di colpo mi stacchi da terra, mentre tu prendi lo slancio con un piede, come se ti sentissi troppo stretto in questa piccola stanza. Ti innalzi, ti stiri, voli fino al soffitto. La tua testa si rovescia all’indietro e fai girare la mia. Mi sfiori l’orecchio e mormori…”.
Ti sei accorto che stai vivendo?
Ne avevo accennato ieri. Un libro che mi ha fatto male. Però bello. Vi ho ritrovato tracce del passato: delle volte in cui ho visitato delle persone in manicomio, degli anni passati a fare volontariato in casa di riposo, dei racconti della zia di mio padre. Pino Roveredo tocca questi temi con una umanità disarmante, non indossa difese o armature, ma pone il lettore davanti alla realtà, non alla sua costruzione; il suo occhio scende nell’anima, va a fondo, vede e poi dà voce scritta a quanto ha sperimentato. E scrive un libro che attraverso un periodo al tempo stesso determinato (vi sono intere pagine dedicate allo scorrere degli anni con dei lampi fugaci ma ben identificabili) e indefinito (le vite dentro le mura di San Giovanni non tengono conto delle vicende esterne) :“… non avevo tenuto conto che il tempo apre varchi nel passato solo con l’immaginazione astratta del ricordo, altrimenti, nella fame assurda del presente, è sempre impegnato a rincorrere l’utopia del futuro”. (pag. 58)
Mi porterò nel cuore molte parti di questo libro, ma due voglio fissarle qui, come monito. Questa è la prima: “Ti ricordi quando mi urlavi «Mario, svegliati, svegliati… Ma ti sei accorto che stai vivendo?». Dio santo, come avevi ragione, mia cara, se è vero che rivisitandomi l’età oggi mi accorgo di tutta l’inutilità della mia esistenza…”. (pag. 99)
La seconda citazione, parlando di trapianti di cuore:
“– Ma davvero scambiano i cuori?
– Sì, signora, sì! Pensi, tolgono via quelli ammalati e li sostituiscono con quelli sani…
– Ma va’?! Ma senti un po’, ma quando cambiano i cuori, dentro, ci mettono anche l’amore?
– Come?! L’amore?… No, signora Cecilia, l’amore no! Ancora no…
– Che peccato!”
(pag. 107)
Gemme n° 31
“Ero arrabbiata con il mio ragazzo e lui mi ha inviato questo video. Mi ha commosso perché il giovane fa di tutto per conquistare e conoscere la ragazza. Nelle vere storie d’amore si pensa sempre prima alla persona amata che a se stessi (in “paperman” il protagonista scappa dall’ufficio pur di seguire il suo sogno d’amore). E aggiungo che due persone se sono destinate a stare assieme si ritroveranno indipendentemente dal luogo e dal tempo (è un po’ il ruolo giocato dagli aeroplanini di carta che prendono vita e tessono trame imprevedibili).” Alcune di queste cose D. (classe quarta) me le ha raccontate fuori dall’aula perché in classe, sul momento, non ce la faceva, ma mi ha concesso di scriverle qui.
Anime gemelle, persone destinate a trovarsi, treni che passano nel medesimo istante, colpo di fulmine, la persona giusta… Possibile? Impossibile? Una risposta in un breve video
Un’altra candela accesa
“Non esiste alcun dovere tanto sottovalutato quanto l’essere felici. Quando siamo felici, disseminiamo il mondo di buone azioni involontarie, che rimangono sconosciute persino a noi stessi, o, quando vengono scoperte, sorprendono per primo il benefattore.
[…] Preferisco imbattermi in un uomo o una donna felici che in un biglietto da cinque sterline. Irraggiano serenità e quando entrano in una stanza danno l’impressione che un’altra candela si sia accesa. Non ci interessa che sappiano dimostrare il quarantasettesimo teorema (di Euclide); fanno di meglio, dimostrano con i fatti il grande teorema della Vivibilità della Vita.” (Robert Louis Stevenson, In difesa dei pigri)
Gemme n° 30
“Ho portato questa canzone perché è stata la colonna sonora dell’ultima estate e del bel rapporto che si è creato tra me e una mia cugina con cui prima non avevo grossa affinità”. Sono le parole con cui M. (classe seconda) ha presentato la sua gemma.
Il ritornello ruota intorno a un concetto molto semplice: la bellezza della compagnia, dell’essere vicini alla persona amica. Allora rispolvero una canzone del passato, cantata da Riccardo Cocciante e il cui incipit fa così: “Non dico che dividerei una montagna ma andrei a piedi certamente a Bologna per un amico in più…per un amico in più. Perché mi sento molto ricco e molto meno infelice e vedo anche quando c’è poca luce con un amico in più…con il mio amico in più”.
Gemme n° 29
“Ho visto questo filmato in estate e mi è venuto in mente appena il prof ci ha proposto questo lavoro delle gemme. Mi piace l’idea che c’è dietro, quella di dare speranza, di regalare un sorriso e dei sogni a chi ne ha bisogno. La vita è troppo breve per essere sprecata, dice la canzone. Penso che noi possiamo e dobbiamo essere il cambiamento per chi ha perso la speranza.”
Ecco il video proposto da C. (classe quarta).
Nelle spiegazioni del video i ragazzi spiegano che per questo filmato hanno utilizzato un attore perché non trovavano giusto filmare una persona nel disagio senza chiedere l’autorizzazione né sapere chi fosse. Mi sono venute in mente le pagine del libro che sto leggendo: “Ballando con Cecilia” di Pino Roveredo. Si racconta l’approccio di una persona a un ex Manicomio e ai suoi abitanti, un approccio che si basa su cose semplici, essenziali: “E’ anche vero che le sigarette, come i calici di vino o i caffè che si offrono alle soste indigenti appoggiate al bancone, diventano un ottimo motivo per frequentare il saluto, la discussione breve, o la battuta che muove la noia”. Il protagonista riesce a far breccia con una cioccolata bianca nella scontrosa difesa di Cecilia, che afferma “Sì, le cioccolate, e tutto quello che ha a che fare con il gusto dolce… Io ho sempre pensato che se mettessero lo zucchero sopra il dolore si soffrirebbe di meno e si guarirebbe prima, ma molto prima…”.
Gemme n° 28
La gemma che ha portato questa mattina A. (classe terza) è una mail, “una cosa a cui tengo molto, la risposta di accettazione della mia richiesta di soggiorno-studio all’estero, in Francia: il prossimo anno, infatti, andrò là 3 mesi a studiare. Non è tantissimo ma è importante e ci saranno senz’altro delle difficoltà. Non dico di aver paura di essere dimenticata dagli amici, ma un po’ di essere sostituita (la mia migliore amica troverà un’altra spalla? Il mio moroso, sempre se ce l’avrò, mi aspetterà? La mia compagna di banco riempirà quel vuoto?). Penso sia vera la frase che dici che si piange quando si va e si piange quando si torna; i miei genitori mi hanno detto che basta che non pianga quando sono là. Poi ho scritto una cosa sulle scelte: siamo continuamente costretti a scegliere tra più alternative, tra bene e male, e chiedo al prof di leggerla per me sulle note di “Hall of fame”…
“Ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ogni ora ci troviamo davanti a decisioni da prendere, e ogni volta non sappiamo da che parte incominciare: ci domandiamo se agire d’ istinto, o ragionarci su; se sia meglio pensare di testa nostra o chiedere un consiglio; e se sia più opportuno riferirsi ai genitori che ci conoscono dal nostro primo istante di vita, ai nonni che sono “vecchi e saggi”, o agli amici che condividono i nostri interessi. Così finiamo spesso per lanciare una moneta, se non altro, per poter dare la colpa alla sorte e non a noi stessi in caso di insoddisfazione.
La nostra intera esistenza è continuamente condizionata da scelte.
A partire da quelle giornaliere “ Come mi vesto oggi?”, “Cosa mangio a colazione?”, “Vicino a chi mi siedo in autobus?”, “Mi offro in matematica?”, “Torno subito a casa o mi fermo in centro con gli amici?”, “In TV guardo Dottor House o Gossip Girl?”. E poi ci sono quelle scelte “grandi”, che ti condizionano la vita, come la scelta della scuola superiore, dell’ università, di un lavoro, di un marito, di una famiglia, di una casa.
Una volta ho letto che “ Avere la possibilità di scelta ci rende infelici e insoddisfatti: quando scegliamo una cosa ci sentiamo tristi perché pensiamo che stiamo rinunciando ad un’altra opportunità, e ciò ci rende insoddisfatti di quello che abbiamo scelto”, ed è vero, perché ottenere qualcosa per perderne un’ altra non potrà mai essere piacevole. Il segreto quindi rimane solo quello di capire cosa non si è disposti a perdere.
Prendere una decisione è sempre molto difficile, soprattutto per quanto riguarda le relazioni! Pensa, anche se può essere un esempio un po’ stupido, a quando la tua migliore amica non va d’ accordo con il tuo ragazzo: sei costretto a schierarti, per forza. Ed è orribile, soprattutto perché in ogni caso farai soffrire qualcuno, ma prima di tutti a soffrire sarai tu.
La maggiore difficoltà quando si tratta di una scelta, è data dal fatto che non sempre Amore e Ragione la pensano allo stesso modo; anzi: quasi mai. Provare a farli conciliare è come pretendere che un ghiacciolo non si sciolga nel deserto. Inoltre, le scelte più facili sono raramente quelle più giuste: sta a noi assumerci la responsabilità delle nostre decisioni.”
Riporto una frase di Bob Marley e la scena finale de “La leggenda del pianista sull’oceano” con lo splendido monologo finale di Novecento (dal libro “Novecento” di Alessandro Baricco): “Quando sei davanti a due decisioni, lancia in aria una moneta. Non perché farà la scelta giusta al posto tuo, ma perché, nell’esatto momento in cui essa è in aria, saprai improvvisamente in cosa stai sperando di più.” (Bob Marley)
Gemme n° 27
Sono rimasto indietro con la riproposizione della gemma di B. (classe terza), risalente a venerdì mattina.
“E’ una scelta un po’ strana la mia: ho ascoltato questa canzone in estate e due giorni fa, in un momento non bello l’ho ripresa e mi ha trasmesso felicità facendomi star bene. C’era contrasto tra la sensazione che avvertivo nel cuore e la canzone e questo contrasto mi è piaciuto”.
Allora anche io pubblico una canzone che uso per contrasto nei momenti bui in cui si ha magari bisogno della completa mancanza di senso di questa canzone (tra l’altro la canzone dal sound country è di un gruppo svedese…)
Gemme n° 26
“Ho portato un cd. In realtà la gemma non è una canzone specifica, ma tutto quello che c’è dietro il cd. Ogni anno con la parrocchia facciamo un’attività teatrale e quest’anno abbiamo allestito “Forza venite gente”. Mi sono ritrovato a cantare e recitare nel ruolo di Francesco ed è stato bellissimo coinvolgere e animare i ragazzi delle medie in un bel lavoro d’insieme del gruppo di animatori. Speriamo di poter continuare anche ora che il nostro parroco è stato trasferito”. Sono tutte parole di V. (classe quarta).
Caro V. ti lascio le parole di un grande: “Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere così come sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un’opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca priva di applausi.” (Charlie Chaplin)
Gemme n° 25
“Spero di non annoiare con questo video che dura poco più di cinque minuti”: ha esordito così M. (classe seconda).
“A volte mi fa paura lo spazio che occupano i social network nelle relazioni, soprattutto tra noi giovani. Ho visto questo video parecchie volte perché mi ha colpito molto”. Anche io l’avevo già visto due volte: la prima volta ho letto i sottotitoli, la seconda ho guardato le immagini e solo oggi mi sono accorto che è tutto in rima… Sono dell’idea che la tecnologia sia uno strumento e come tutti gli strumenti la sua bontà o meno è legata all’uso che se ne fa. Vero è che si tratta di uno strumento molto potente e non tutte le sue potenzialità e caratteristiche sono immediatamente comprensibili. Rimando a quanto scritto qui.
Gemme n° 24
In una delle mie classi (una quinta) non ero ancora riuscito a spiegare questa nuova iniziativa delle gemme. L’ho fatto stamattina: finisco la descrizione, mostro un esempio e A. mi chiede “Prof! E se io avessi la gemma già qui?”. Eccola:
“Ho visto questo video pochi giorni fa e mi ha profondamente colpito ed emozionato. Ho voluto condividerlo con la classe perché penso sia importante poter permettere a una persona di potersene andare con dignità” ha concluso A. Ne abbiamo parlato molto brevemente in aula, lo commento qui con poche parole: pietà, pietà per la persona, per se stessi, per la condizione umana, profondamente umana.
Gemme n° 23
“La mia gemma è un anello, il regalo che mi ha donato mia nonna per la Cresima, immediatamente prima di andarsene. Non ho avuto sempre un grande rapporto con lei, ma ho fatto l’esperienza della verità della frase «capisci il senso di una cosa solo dopo averla persa». Per me lei significava soprattutto il ritrovarsi di tutta la famiglia: siamo in tanti e ogni volta è una grande festa”. A. (classe terza) ha presentato così la sua gemma: non poteva saperlo, ma proprio oggi ero al funerale della nonna di mia moglie. Sono quelle morti “accettabili”, nel senso che fanno parte di quello considerato come lo scorrere normale delle cose. Le associo sempre all’immagine di un albero; gli alberi sono diversi e vari, nella forma, nella forza, nel numero di rami, di foglie, nella resistenza, nell’adattabilità, nella durezza, nella generosità. Hanno tutti una storia e, indipendentemente da quello che sono stati in vita rispetto a noi, il loro abbattimento mi mette tristezza nel cuore.
Gemme n° 22
Stamattina I. (classe seconda) ha presentato questa gemma.
Devo ammetterlo: sono allergico ai motivatori e ai toni di video come questi, per cui cerco di prenderne i lati positivi e scartare il resto che mi fa sinceramente paura per i toni usati e la sicumera mostrata. I. ha sottolineato che il video le piace perché fa parte di un percorso che ha fatto e che sta facendo e che le sta permettendo di vivere in modo migliore rispetto al passato. Buona strada I.! Io intanto pubblico questo, glielo devo a Christopher McCandless
Gemme n° 21
La gemma di oggi ha bisogno di un po’ di introduzione: M. (classe quinta) ha infatti proposto un breve dialogo in inglese tratto da una serie tv statunitense. In alcuni passi le parole sono forti. Piper Chapman è una giovane donna condannata a quindici mesi di carcere per trasporto di droga. Deve lasciare la casa che condivide con il suo promesso sposo Larry per entrare nella prigione federale. Nel decimo episodio della prima serie, le prigioniere hanno il compito di spaventare un gruppo di giovani delinquenti in visita alla prigione, ma hanno difficoltà a spaventare Dina, una ragazza sulla sedia a rotelle. Piper ci riesce con una frase: “le altre persone non sono la parte spaventosa della prigione Dina. È il faccia a faccia con chi davvero sei”. Piper ha paura di non essere se stessa in prigione e ha paura di esserlo.
“Ci sono delle situazioni” ha concluso M. “in cui è importante sapere chi si è fino in fondo e non è così facile farlo e ammetterlo”. Mi sono venute in mente le mie “prigioni”, i miei momenti in cui ho dovuto, per forza di cose, confrontarmi con me stesso, guardandomi veramente in faccia cercando di dare un nome a ciò che vedevo. Non è sempre facile, soprattutto se la ricerca è sincera, ma costituisce uno dei passaggi necessari: pena la finzione.
Gemme n° 20
Mi aveva già avvisato la scorsa settimana che oggi la gemma avrebbe voluto proporla lei, proprio nel giorno del suo compleanno. Eppure penso che M. (classe seconda) abbia creato o modificato la sua gemma all’ultimo.
“Di solito scendo dalla corriera insieme a mia cugina, stiamo un po’ insieme e poi prendiamo le nostre strade. Oggi invece mi ha mollato subito da sola, poi ho capito perché. Mi ha regalato questa cornice con questa foto, ma soprattutto mi ha scritto questa lettera. Devo leggerla?”.
“Sentiti libera di gestire il tuo spazio come credi”.
“Allora sì, ci provo a leggerla”. M. guarda la lettera e gli occhi le si arrossano: “No prof, è meglio se la legge lei, non ce la posso fare”.
Pubblico la lettera rendendola illeggibile, ma dicendo che è una di quelle lettere che tutti sperano un giorno di ricevere, in cui si viene ringraziati per quello che si è, degli amici, a partire dalle piccole cose di ogni giorno (“grazie per i messaggi vocali più stupidi ma che mi hanno sempre strappato un sorriso”) fino a quelle più importanti (essere vicini, consolare, tirar su il morale). E questa è la colonna sonora di questa amicizia tra M. e sua cugina… “Quando sono con te non c’è nessun altro posto in cui preferirei essere”
Gemme n° 19
La gemma di L. (classe quarta) sarebbe stata una persona in carne ed ossa. Non potendola portare in classe ci ha mostrato il canale youtube di questo batterista. Ci ha fatto ascoltare un pezzo come un altro e ha scelto questo:
“Per me la batteria è libertà, sfogo. In mezzo agli impegni della giornata cerco sempre di ritagliarmi anche un piccolo momento per potermici dedicare”.
Ho trovato in rete questa frase anonima, la appoggio qui: “La tua band è brava tanto quanto lo è il tuo batterista”.