“La mia gemma è una frase tratta dal libro “La verità sul caso Harry Quebert” di Joël Dicker: “E mi ero detto che una stella cadente era una stella che poteva essere bella ma per paura di brillare scappava il più lontano possibile. Un po’ come me.” Questa frase mi ha colpito molto: alcune persone possono avere un talento ma per paura di essere giudicate come persone che si credono importanti decidono di rimanere nel loro angolino. Non so se sono così, e chiedo aiuto per capire se sono anch’io una stella cadente distaccata dagli altri, se devo integrarmi un po’ di più”. Questa la gemma di I. (classe seconda).
Nella classe di I. stiamo trattando l’argomento del sacro nel cinema. Poco dopo la sua gemma abbiamo visto un breve pezzettino di “Una settimana da Dio”. Non so se I. ha fatto lo stesso collegamento che è venuto in mente a me, ma quando ho sentito le parole di Morgan Freeman attorno ai secondi 40-45, non ho potuto fare a meno di pensare alla sua gemma e alla risposta al suo dubbio.
Giorno: 16 dicembre 2015
Gemme n° 366
“Ho pensato di portare due canzoni, ma essendo troppo lunghe ne ascoltiamo solo una
L’altra sarebbe stata Imagine. Penso che le due canzoni parlino da sole senza aggiungere altro. Volevo dare un po’ di speranza e ritengo sia il caso di ascoltarle più spesso”. Così S. (classe quinta) ha presentato la propria gemma.
Michael Jackson invita a curare il mondo e a renderlo un posto migliore. Mi viene naturale citare le parole che Tiziano Terzani rivolge a dei giovani, messaggio che è posto all’inizio del dvd che stiamo guardando proprio con le classi quinte: “Voi che siete una nuova generazione guardate ai fatti, leggete, informatevi, non prendete per garantito niente, non credete a niente di quel che vi viene raccontato. Fatevi la vostra verità, una in cui potete credere e a cui potrete dedicare la vostra vita. Gandhi disse una volta «la verità è il mio Dio» due anni dopo scrisse «no! II mio Dio è la verità». La verità è una grande cosa, forse irraggiungibile ma fatene la vostra meta nella vita, cercatela la verità, cercate anche quella dentro di voi, chi siete, che cosa volete fare qui, che cosa ci siete a fare al mondo. Ponetevi questi problemi e la vita diventerà meravigliosa!”.
Gemme n° 365
Ha invitato i compagni ad alzarsi dai banchi, a formare un cerchio e a prendersi per mano. “Quando il prof. darà il via inizieremo a camminare per l’aula, poi il prof. batterà le mani e alla prima persona che avremo davanti daremo la mano dicendo “Piacere!” e il nostro nome, lei risponderà col suo. A quel punto però noi assumeremo il suo nome e ci presenteremo alla persona successiva con quell’identità, lei farà altrettanto, e così via. Quando troveremo qualcuno che ci dirà il nostro nome ci siederemo.” Il gioco prende il via e alla fine C. chiede “Quanti hanno fatto confusione almeno una volta? Quanti hanno incontrato qualcuno che ha detto “Oh Dio, non mi ricordo!”… La prima volta che ho fatto quest’attività ero a un corso di teatro, e sono partita convinta che la cosa importante fosse dare il mio messaggio. Ecco, spesso quando parliamo con gli altri tendiamo molto a buttare fuori quello che abbiamo dentro senza ascoltare quello che l’altro ci dice anche con sguardi e gesti. Penso che questo giochino ci faccia capire quanto siamo ignoranti su quello che ci dicono le altre persone.” Questa è stata la gemma di C. (classe quarta).
Nel libro “L’incosciente” di Diego Cugia c’è un brano che mi piace molto. Vi si parla di un rapporto che sarebbe potuto essere quello che non è stato a causa di un’incomprensione comunicativa. Non è breve, ma neppure tanto lungo…
“«Da giorni ti stavo appresso, “ragazzo infedele che di notte ti ho sognato”. Hai più ascoltato il nostro lied? Ti seguii dal momento dopo che ci presentarono all’Hotel du Casino in Piace de Clichy, al ricevimento delle Totali. Se di giorno tu uscivi dall’ufficio a comprare le sigarette, io ero lì, davanti alla vetrina, sul marciapiedi di fronte; quando passeggiavi per Parigi parlando da solo, cercavo di attira re la tua attenzione in modo discreto, precedendoti in un bar, o montando su un taxi e lasciando la portiera bene aperta; mi spinsi, certe notti, ad aspettarti in Rue de Rivoli, sotto la casa particolare di madame Engelmond.»
«Non mi sono mai accorto di te.»
«Tu non ti accorgi di nulla perché bruci la vita nel tentativo di recuperare il bene del quale ti ritieni rapinato, senza badare all’amore che ti scorta passo passo, temerario e fedele. Sono stata il tuo angelo custode fino alla notte di Capodanno, in quella boîte nella quale ti eri rintanato fra gente orrenda, perché è un sollievo frequentare cattive compagnie, o annullarsi nel gioco, trastullarsi con i vizi, fingere di essere uno scapestrato, pur di sottrarsi a quella che a te sembra un’ingiuria, mentre è la semplice e logica conseguenza dell’essere nati azzurri in un’epoca grigia: dover resistere agli assalti degli spiriti meschini e assistere al trionfo dei mediocri. Non sei il primo né l’ultimo. Luca. Io ero come te. Il nostro amore avrebbe ridipinto il mondo. Ma tu tenevi gli occhi a terra, scavavi in te stesso, cercavi il tesoro che non c’è e non poteva esserci, perché quel tesoro lo possiede solo l’altro, e ti viene offerto nella luce, mai nell’ombra; tu eri troppo intento a sacrificare la tua parte più nobile al demone dell’assenza per accorgerti della mia presenza, e del tesoro d’amore nato con la tua nascita, affiorato da sempre, ma visibile solo a noi… Dieci minuti prima che scoccasse la mezzanotte, per non perdermi definitivamente, ho dovuto affrontarti senza un briciolo di orgoglio femminile, perché come entrai nel locale e ci riconoscemmo, chiedesti il conto per andartene. Non potevo essermi sbagliata, avevi il marchio, un segno azzurro, mi amavi anche tu, ne ero certa, per questo ti raggiunsi sulla porta e ti dissi: “Mi piaci così tanto, portami via”.»
«No, cara, mi chiedesti: “Se ti piaccio così tanto, perché non mi porti via?”. Un guanto in faccia, una sfida; da te non potevo accettarla. Eri una rosa circondata da papaveri neri, i motociclisti vestiti di cuoio e di borchie che ti scortavano fra quella gente che ci esaminava sotto i cappellini dei cotillon, mostrandoci lingue di Menelik. Io ero un capobranco senza branco. Mi sono sentito perduto.»
«Ti dissi: “Mi piaci così tanto, portami via”, sei parole, un punto. Sei così sicuro di padroneggiare il francese?»
Una vertigine irruente come un’onda anomala mi ha rovesciato l’anima. Un equivoco. La più insolente delle incomprensioni, un banale tranello linguistico. Per un equivoco avevo eretto la mia torre solitaria, per un equivoco la vita di Veranne e la mia si erano scisse, trincerandosi dietro fossati invalicabili di acque stagnanti, colmi di dolori inutili, amicizie tradite, matrimoni sbagliati: per un equivoco! Un interrogativo immaginario, un punto di domanda rovesciato che si era trasformato in amo pungente, un gancio che cattura gli amanti predestinati, riducendoli a prede di quel pescatore d’infelicità che siamo noi stessi quando restiamo soli.”
Gemme n° 364
“E’ una foto di parecchi anni fa in cui ci siamo io e mia mamma: lei è la persona per me più importante, mi ha fatto anche da papà, insegnandomi tantissime cose. Certo, ora ci sono delle discussioni, ma dopo 5 minuti facciamo pace. E’ come una migliore amica, la prima persona a cui dico tutto, e che sa sempre come aiutarmi”. Questa la gemma di M. (classe seconda).
Mi affido alle poetiche parole di Rabindranath Tagore: “Da dove sono venuto? Dove mi hai trovato? Domandò il bambino a sua madre. Ed ella pianse e rise allo stesso tempo e stringendolo al petto gli rispose: tu eri nascosto nel mio cuore bambino mio, tu eri il Suo desiderio. Tu eri nelle bambole della mia infanzia, in tutte le mie speranze, in tutti i miei amori, nella mia vita, nella vita di mia madre, tu hai vissuto. Lo Spirito immortale che presiede nella nostra casa ti ha cullato nel Suo seno in ogni tempo, e mentre contemplo il tuo viso, l’onda del mistero mi sommerge perché tu che appartieni a tutti, tu mi sei stato donato. E per paura che tu fugga via ti tengo stretto nel mio cuore. Quale magia ha dunque affidato il tesoro del mondo nelle mie esili braccia?”
Gemme n° 363
“La mia gemma è una frase: “gli amici sono come le conchiglie in riva ad una spiaggia: anche se le onde se le portano via nel mare, loro saranno per sempre”. Secondo me rappresenta il rapporto tra me e una mia amica: anche se ora non ci vediamo spesso il nostro legame non si è sciolto”. Così E. (classe seconda) ha presentato la propria gemma.
Ricordo un pezzetto de “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry: “Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi Presenza, significa accettare il rischio dell’Assenza.”
Gemme n° 362
“La mia gemma è il regalo che mi ha fatto la classe, per il quale voglio ancora ringraziare. Era una cosa da me molto attesa in quanto non ho la possibilità di viaggiare molto. Mi permette anche di incontrare una persona a cui tengo”. Con queste parole M. (classe quinta) ha presentato la propria gemma.
Commento questa gemma in cui M. ha voluto ringraziare i suoi compagni con una frase di Marcel Proust: “Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici, sono gli affascinanti giardinieri che rendono la nostra anima un fiore.”