Pubblico in pdf questo Report a cura di Daniel Pescini sulla Libia. Penso sia utile per farsi un’idea della situazione. Daniel Pescini è giornalista e blogger, specializzato in Storia delle relazioni internazionali alla Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze. Dopo il Master in Comunicazione Pubblica e Politica presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Pisa, ha curato gli uffici stampa di diversi enti pubblici. E’ stato analista politico per la rivista Equilibri.net, per la quale si è occupato in particolare della sicurezza energetica dell’Unione europea. Dall’ottobre 2012 cura il blog “Geopolitica italiana”, i cui articoli sono stati pubblicati su vari siti di settore e utilizzati anche come testi dei seminari dell’Istituto Alti Studi della Difesa.
La rivoluzione scippata
Una bella intervista per Avvenire di Chiara Zappa a una delle protagoniste della lotta per la libertà in Tunisia, Lina Ben Mhenni.
«Ma è possibile che i media occidentali debbano aspettare che ci scappi il morto, prima di
accorgersi di quello che sta succedendo alle nostre rivoluzioni?». Lo sfogo di Lina Ben Mhenni dura solo un attimo, ma la sua tensione è evidente. Su una Avenue Borguiba presidiata dai blindati dell’esercito, a pochi metri dal caffè dove siamo sedute a parlare, sta sfilando l’ennesima manifestazione di islamisti, che urlano con violenza i loro slogan. Questa volta, contro l’Ugtt, il principale sindacato del Paese, definito «un covo di corrotti». «Vorrebbero che il sindacato fosse sciolto, è incredibile…», sospira Lina scuotendo la testa. A due anni dal suicidio dell’ambulante tunisino Mohamed Bouazizi, che il 17 dicembre 2010 diede avvio alle rivoluzioni nordafricane, la blogger più famosa della primavera araba, la “tunisian girl” che lanciava sul web le sue denunce anche quando Ben Ali era ancora al potere, candidata al Nobel per la pace e pluri-decorata per il suo coraggio (a novembre le è stato consegnato il premio Minerva «all’impegno politico e ai diritti umani») è stanca. Ma sempre combattiva. Nonostante la salute precaria e le tensioni quotidiane: «Ricevo minacce di continuo, contro di me è stata montata una campagna diffamatoria violenta». Due volte è stata brutalmente picchiata e molestata dalla polizia. «E ho paura anche della milizia di Ennahda». Il partito di matrice islamica che domina la coalizione di governo è messo sotto accusa da tanti fronti: per l’inconcludenza delle sue politiche – la disoccupazione continua a crescere e la povertà è tangibile, non solo nel Sud del Paese -, ma anche per i giochi di potere e soprattutto per l’eccessiva tolleranza nei confronti degli estremisti religiosi salafiti.
«Il vecchio sistema è ancora là, e in più questo governo ha cominciato da subito a fomentare una divisione nel Paese tra i “buoni musulmani” e i laici, che vengono semplicemente tacciati come atei. Se combatti per mantenere la laicità dello Stato, allora per loro non sei una musulmana. E quest’ambiguità è facile da coltivare qui in Tunisia, dove due dittatori come Bourguiba e Ben Ali hanno sostenuto il secolarismo: così, se qualcuno osa criticare il governo, come sta facendo in queste settimane il sindacato, subito viene accusato di essere anti-islamico, un “residuo del vecchio regime corrotto”. In questo modo, proprio in nome della tutela della rivoluzione, cercano di creare un nuovo regime: siamo stati scippati della nostra rivoluzione!». La ventinovenne, viso acqua e sapone e unghie in tinta con il maglioncino verde, scosta dal viso i capelli corvini e fa una pausa, osservando i poliziotti appostati intorno al ministero dell’Interno. «Sa di quella ragazza violentata dalla polizia?», butta lì. Parla della giovane stuprata a settembre da due agenti che poi la accusarono per atti osceni (infine assolta per mancanza di prove, dopo una mobilitazione massiccia dell’opinione pubblica). «Noi donne siamo state da subito un bersaglio facile: ci dicono che dobbiamo tornare a chiuderci in casa, così si risolverebbe anche il problema della disoccupazione degli uomini!». Al di là del rischio di un rigurgito patriarcale, che in questo caso ha del grottesco, la posta in gioco è alta: «Se ai tempi di Ben Ali le femministe lottavano per ottenere nuovi spazi, noi siamo costrette a farlo per difendere le conquiste del passato. Recentemente siamo dovute scendere in piazza perché dalla bozza della nuova Costituzione fosse ritirato il riferimento alla “complementarietà” tra uomo e donna, che aveva sostituito l’espressione “parità”. Ma a rischio è anche il Codice di statuto personale, all’avanguardia sui diritti femminili, mentre si ipotizza di legalizzare la poligamia ed esponenti sauditi vengono invitati a parlare delle mutilazioni genitali per le bambine…».
Ma con la caduta del regime non è aumentata la libertà di espressione? «Abbiamo avuto un breve periodo di libertà, ma oggi la situazione è di nuovo critica», afferma Ben Mhenni, che insegna linguistica all’università di Tunisi. «Si tenta di imbavagliare i giornali, la tv nazionale è in mano agli islamisti, che hanno riciclato anche giornalisti ex fedeli di Ben Ali, le tv private sono finanziate dai partiti politici e i cyber-attivisti ormai tendono ad autocensurarsi, per timore delle ritorsioni». La denuncia di Lina è dura: «Qui non esiste ancora una giustizia indipendente. Gente che si è macchiata di crimini gravissimi ora è libera: chi è organico al nuovo governo può stare tranquillo. Sono più corrotti di prima e usano gli stessi metodi violenti del passato». Il clima, già teso, è reso incandescente dalla povertà. «La situazione economica è molto grave. Il turismo risente degli attacchi dei salafiti e anche gli investitori non sono incoraggiati a venire qui. A volte ho la sensazione che andiamo verso una guerra civile». Per la giovane attivista, la via d’uscita è solo una: «Dobbiamo portare avanti la nostra rivoluzione, girare il Paese per spiegare alle persone che devono votare secondo i programmi dei candidati, non in cambio di denaro o perché qualcuno si propone come l’unica scelta giusta per i “buoni musulmani”. La religione e la politica devono restare separate. Anche i governi occidentali, che parlano di diritti umani ma oggi sostengono gli islamisti per interesse, dovrebbero ricordarselo».
In attesa…
Pubblico un articolo molto bello di Fulvio Scaglione preso da Avvenire.
“Su quanto avviene in queste ore in Egitto si appuntano, e con giusta causa, gli occhi del mondo. Occorre che questo avvenga, però, per le ragioni che davvero contano, e non per quanto conviene alla retorica del momento. È inutile, per esempio, cercare nella deriva autoritaria del presidente egiziano Morsi, espressione politica dei Fratelli Musulmani, la conferma di un fallimento della Primavera araba. Al contrario: la protesta contro le decisioni di Morsi dimostra che la Primavera ha aperto un vaso di Pandora di coscienza civica, prima assente, che sarà impossibile richiudere. Quello che invece deve inquietare è la bozza di Costituzione (da approvare con referendum) che il Presidente ha fatto licenziare in fretta e furia da un’Assemblea costituente popolata solo da Fratelli musulmani e salafiti dopo l’abbandono dei cristiani e dei laici per l’evidente impossibilità di svolgere un lavoro decente. La bozza, all’articolo 2, detta: «I principi della sharia sono la principale fonte della legislazione».
È un dramma perché lo fa Morsi in Egitto? No, al contrario: è un dramma perché lo fanno tutti. Intanto, l’articolo in questione è tal quale a quello presente nel testo dei tempi di Mubarak. La Costituzione adottata dall’Iraq ha un articolo 2 identico quasi alla lettera. Quella dell’Arabia Saudita, all’articolo 1, dice: «Il Regno dell’Arabia Saudita è uno Stato sovrano arabo islamico con l’islam come religione; il Corano e la Sunnah del suo Profeta… sono la sua Costituzione ». Abbiamo citato per primi due Paesi molto “amici” dell’Occidente, ma se passiamo all’Iran troviamo all’articolo 4: «Tutte le leggi e i regolamenti civili, penali, finanziari, economici, amministrativi, culturali, militari e politici… devono essere fondati su criteri islamici ». E in Tunisia, dove elezioni democratiche hanno dato la maggioranza al partito islamista Ennadha come in Egitto ai Fratelli Musulmani, il tentativo di sottoporre le leggi dello Stato alla legge islamica è stato finora contenuto solo dalla forte mobilitazione dell’opinione pubblica. Questo è uno dei crinali più critici nei rapporti con il mondo islamico. È chiaro infatti che il monopolio della legge affidato a una sola fede, anche se maggioritaria, mina alle radici quel principio della libertà di religione che, al contrario, è uno dei capisaldi della nostra civiltà e della nostra cultura. Con quel che poi ne deriva in termini di reciprocità, sia nei rapporti tra cittadini sia nelle relazioni tra Stati. Ma non basta.
Restando alla bozza egiziana, troviamo che l’articolo 2 è pericolosamente integrato dall’articolo 4, quello in cui si ribadisce che, in materia di legge islamica, può essere sollecitato il parere del grande imam di Al Azhar, la moschea del Cairo che è anche il più prestigioso centro teologico del mondo sunnita. Questo configura non solo la sottomissione della legge dello Stato alla legge islamica, ma anche la subordinazione del potere giudiziario all’autorità religiosa. Mentre noi ben sappiamo che l’indipendenza della magistratura è una delle architravi del nostro Stato democratico. Questo va sottolineato. Perché la violazione del principio della libertà di religione, pur gravissima per ciò che sottintende, potrebbe in teoria scaricarsi solo sui non musulmani, che peraltro in Egitto sono almeno il 10% della popolazione, quindi non pochi. Mentre l’asservimento del potere giudiziario si scaricherebbe su tutti, musulmani e non musulmani, senza distinzioni, aprendo senza scampo la strada a un regime autoritario. In questa battaglia coloro che protestano in tante città dell’Egitto non vanno lasciati soli. Perché è una battaglia che in qualche modo combattono anche per noi.”
La sfinge idolatra
In Egitto c’è chi, dopo aver distrutto le statue del Buddha di Bamiyan in Afghanistan, pensa che Piramidi e Sfinge vadano distrutte in quanto simbolo di idolatria… Ne scrive Asianews.
“Gli operatori turistici egiziani temono una deriva islamista del Paese e attaccano l’imam salafita Murgan Salem al-Gohary che in un programma televisivo andato in onda su TV2 Channel ha proposto la distruzione delle Piramidi di Giza e dalla Sfinge perché simbolo di idolatria. Questa ennesima dichiarazione si aggiunge alle decine di minacce dei salafiti contro il patrimonio artistico egiziano e i luoghi di vacanze, che rappresentano uno dei principali settori di impiego per la popolazione. Ihab El-Badry, leader della Coalition To Support Tourism, ha depositato oggi una denuncia ufficiale al presidente Morsi, al Premier e al ministro del Turismo accusati di non fare nulla per controllare gli islamisti. “Anche se finora sono solo dichiarazioni – afferma – esse stanno devastando il nostro settore. Esse fanno il giro del mondo e questa per noi è solo pubblicità negativa. I turisti ora sono restii a viaggiare in Egitto, hanno paura”.
Conosciuto in tutto il Paese per le sue posizioni estremiste, Murgan Salem al-Gohary ha passato diversi anni in carcere durante il regime di Mubarak proprio per la sua attività vicina ai terroristi islamici. Intervistato dal programma di Tv2 Channel il leader salafita si è vantato di aver combattuto con i talebani in Afghanistan e di aver partecipato alla distruzione delle statue dei Buddah di Bamiyan, sottolineando che statue e beni archeologici dell’antico Egitto potrebbero fare la stessa fine. “Le piramidi e la Sfinge – ha affermato il leader salafita – sono degli idoli che offendono l’islam e vanno distrutte come i Buddah dell’Afghanistan. Dio ha ordinato al profeta Maometto di distruggere le statue degli idoli, ogni egiziano che si professa islamico deve fare lo stesso”. Trasmessa il giorno dopo la grande manifestazione pro-sharia organizzata dagli islamisti, l’intervista ad al-Gohary ha scatenato numerose polemiche nel Paese, che non si sono limitate agli operatori turistici, ma hanno reso più rovente il dibattito fra democratici e islamisti sull’inserimento della legge islamica nella nuova costituzione.
Sfruttando l’onda della primavera araba egiziana e il vuoto di potere creatosi dopo la caduta di Mubarak, il partito ultraconservatore salafita è riuscito a diventare la seconda forza più influente in parlamento dopo i Fratelli Musulmani. Secondo Ahmed Osman, autore televisivo, la maggior parte dei salafiti la pensa come al-Gohary e vorrebbe le statue o distrutte o coperte da teli per nascondere le parti che offendono l’islam. La controversa posizione dell’imam salafita e dei suoi seguaci è però contestata anche all’interno degli ambienti islamisti. Abdel Fattah Moro, vicepresidente del partito islamico tunisino Ennadha, sostiene che i salafiti sbagliano a leggere il Corano. Secondo il libro “il profeta ha distrutto gli idoli perché la gente li adorava, ma nessuno adora la sfinge e le piramidi”, quindi non vi è alcun motivo di distruggerle. Nonostante le rassicurazioni di Fratelli Musulmani e altri leader di partiti islamici sul tenere la religione lontano dalla politica, essa sta entrando progressivamente nella istituzioni e atti un tempo inconcepibili sono sempre più giustificati dalle autorità. Nel novembre 2011 il partito al-Nour ha coperto con dei veli le sirene della fontana di Zeus situata nel centro di Alessandria. Un altro esempio della progressiva islamizzazione della società egiziana è la recente scelta di 250 hostess della Egypt Air di indossare il velo islamico a bordo degli aerei, prendendo esempio dai vicini Paesi del Golfo: Qatar, Emirati arabi, Arabia Saudita. Fondata nel 1932 la compagnia di bandiera egiziana non ha mai applicato l’obbligo islamico del velo, che durante il regime di Mubarak era una sorta di tabù.”
