Su giornali, tg, siti di oggi c’è un gran parlare dell’esecuzione capitale del 42enne Troy Davis. Ecco una sintesi dell’articolo del Corriere della Sera.
“Dopo una lunga serie di rinvii, sospensioni e ritardi, è stata infine eseguita la condanna alla pena capitale inflitta a Troy Davis, 42 anni, divenuto suo malgrado l’ennesimo simbolo, dentro e fuori l’America, della battaglia contro la pena di morte: in un carcere di Jackson, in Georgia, gli è stata praticata la prevista iniezione letale. A nulla sono servite le manifestazioni a suo sostegno in varie città del mondo e gli appelli di alte personalità per salvargli la vita. Una campagna che ha visto nelle scorse settimane l’adesione di papa Benedetto XVI, dell’ex presidente Jimmy Carter, dell’arcivescovo Desmond Tutu e di molti esponenti politici e personaggi pubblici americani e internazionali…
Davis era stato condannato a morte per l’uccisione nel 1989 a Savannah di un agente di polizia, Mark MacPhail, che seppur fuori servizio era intervenuto di notte in difesa di un senzatetto che era finito al centro degli scherzi violenti di un gruppo di teppisti. All’epoca, Davis aveva 19 anni…
Dalla condanna di Davis, sette dei nove testimoni hanno modificato o ritrattato le proprie dichiarazioni, alcuni dicendo di essere stati costretti dalla polizia a testimoniare contro di lui. Nessuna prova fisica collegava Davis all’omicidio. La maggior parte di coloro che avevano avviato la campagna per salvarlo sostenevano che, per la scarsa consistenza delle prove a suo carico, avrebbe dovuto avere almeno un altro processo. In particolare, un esperto come l’ex direttore della Cia ed ex giudice William Sessions aveva sottolineato che sulla sua colpevolezza c’erano «seri dubbi, alimentati da ritrattazioni di testimoni, accuse di coercizione da parte della polizia, e mancanza di serie e concrete prove». Tutti argomenti che hanno portato per quattro volte, dal 2007, a rinviare l’esecuzione. L’ultima volta, per appena tre ore e mezza, ancora mercoledì sera, per dare alla Corte suprema il tempo di esaminare e respingere l’ultimo disperato ricorso della difesa. Uno stillicidio. «Il trattamento riservato a Troy Davis – sostiene Brian Evans di Amnesty – si può paragonare alla tortura, soprattutto quando più volte si è trovato a poche ore dalla morte, dopo aver già dato i suoi ultimi addii». Questa volta, alle 11.10 locali (le 5.10 di giovedì mattina in Italia), l’incontro con il boia per Troy Davis è però infine arrivato. Inesorabile.