Sarà che conosco un missionario che da anni lavora là, sarà che anni fa avevo seguito con attenzione lo svilupparsi della guerra, ma il Burundi è nel mio cuore. E allora queste notizie mi fanno preoccupare. Prendo da Limes
In Burundi si avvicina una nuova guerra civile di Roberto Colella
Trentasei persone sono state uccise in un attacco contro un bar di Gatumba, nei pressi di Bujumbura, in Burundi. Una nuova escalation di violenza segno di una guerra civile già tendenzialmente in atto. Il presidente Pierre Nkurunziza ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. I responsabili dell’attacco sono ancora una volta i membri dell’Fnl, guidato da Agathon Rwasa, tornato in clandestinità a partire dal 2010. E pensare che proprio nel 2008 l’ultimo gruppo ribelle, appunto l’Fnl, si era arreso e dopo diversi tentativi era entrato a far parte del governo, deponendo le armi solo nel 2009. In precedenza, dopo le elezioni del 2010 boicottate dai partiti d’opposizione che avevano riconfermato la leadership di Nkurunziza, una escalation di crimini politici aveva lanciato un avvertimento. Uno degli ultimi attacchi era avvenuto nella provincia (nord-ovest) di Cibitoke quando otto uomini armati vestiti da poliziotti avevano preso d’assalto un minibus nel Buganda (60 chilometri a nord di Bujumbura). Tutti i passeggeri erano stati costretti a togliersi i vestiti prima di essere bagnati con la benzina e dati alle fiamme. Un uomo era stato bruciato a morte, due rimasti gravemente feriti.
Il bar di Gatumba, oggetto dell’ultimo massacro, appartiene a un membro del partito di governo che ha dichiarato che coloro che hanno attaccato il locale non erano semplici banditi ma combattenti, ribelli che lui stesso ha visto agire. Altri testimoni hanno detto che l’assalto è durato circa 20 minuti. Vestiti in uniforme e armati di granate e kalashnikov hanno cominciato a sparare. Gatumba, 13 chilometri da Bujumbura, era stata già nel 2004 teatro del massacro di circa 160 rifugiati congolesi tutsi. L’atto venne poi rivendicato dall’Fnl. Considerando la farsa delle elezioni del 2010 e le sue disastrose conseguenze sul consolidamento del processo di democratizzazione in Burundi, dato il clima di intimidazione, terrore e violenza, e considerando i crimini e gli omicidi impuniti, si può ben notare una politica di malgoverno culminata con la corruzione diffusa, la cattiva gestione economica e appropriazione indebita di fondi pubblici, la mancanza di trasparenza e opacità nella gestione dei beni dello Stato. L’Adc-Ikibiri, rappresentante dell’opposizione, ha chiesto diverse volte di fermare immediatamente le manovre distruttive nei confronti dei partiti politici di opposizione; vuole inoltre riprendersi la leadership dell’Fnl, e invita le Nazioni Unite, l’Unione Europea, l’Unione Africana, e i paesi della regione a lavorare insieme per aiutare il Burundi a creare un quadro appropriato per i negoziati.
In Burundi l’attuale classe dirigente sta trascinando il paese verso il baratro. Dalla tribuna dell’Unione Africana ad Addis Abeba il 13 giugno 2011, davanti a una platea di capi di Stato africani, il segretario di Stato americano Hillary Clinton aveva dato un chiaro messaggio che spiegava le ragioni della cacciata di Mubarak e Ben Ali: “Lo status quo è finito, i vecchi modi di governare non sono più accettabili. È tempo per i leader di essere responsabili, di trattare le persone con la loro dignità, rispettare i loro diritti e ottenere risultati economici. Se non lo fanno, è il momento che se ne vadano”. Questi leader che si aggrappano al potere a tutti i costi, che sopprimono le voci dei dissenzienti, che hanno arricchito se stessi e i loro sostenitori a scapito del loro popolo non possono stare al potere a queste condizioni. Di qui il rifiuto da parte di Nkurunziza di negoziare con i partiti di opposizione. “Eccellenza, non sottovalutate il popolo del Burundi. Il vento della rivoluzione soffierà presto anche sul Burundi” come sostenne poco tempo fa Pancrace Cimpaye, rappresentante dell’opposizione (Frodebu) in una lettera a Nkurunziza. Una profezia azzardata visto che il Burundi dopo 13 anni di guerra civile (1993-2006) pensava di non ricadere nel dramma bellico, ma le premesse e gli ultimi accadimenti indicano il contrario.