Cartacce in rete

E’ un po’ di tempo che rifletto sulla questione della maleducazione e dell’aggressività su internet, social, forum… Oggi ho letto questo breve pezzo del direttore di Internazionale Giovanni De Mauro.

educazione, comunicazione, facebook, internet, relazioni“Per uno studio pubblicato sul Journal of Computer-Mediated Communication, cinque professori di scienze della comunicazione dell’università del Winsconsin hanno fatto leggere a 1.183 persone un finto articolo online sui potenziali rischi e vantaggi di una tecnologia chiamata nanosilver. Poi gli hanno fatto leggere i commenti di finti lettori. Metà dei partecipanti ha letto dei commenti che, anche quando erano molto critici, erano comunque espressi in modo civile e pacato; l’altra metà ha letto dei commenti che avevano toni aggressivi e offensivi. Il risultato è che i commenti incivili “non solo hanno diviso i lettori, ma spesso hanno cambiato la loro interpretazione del contenuto dell’articolo”. Un attacco personale all’autore dell’articolo, per esempio, è sufficiente a far pensare che la nuova tecnologia sia più pericolosa di quanto sembri a prima vista. Evidentemente non siamo ancora consapevoli del potere che abbiamo nel condizionare – migliorandolo o peggiorandolo – lo spazio pubblico in cui ci troviamo quando siamo online. È come buttare le cartacce in un giardino pubblico: non è solo una questione di civiltà o di buona educazione. Non lo facciamo perché altrimenti renderemmo quel posto più brutto per gli altri e soprattutto per noi stessi.”

Badabum!

Badabum! Perché sono parole che fanno rumore queste di don Aldo Antonelli, parroco ad Antrosano e coordinatore di “Libera” per la Provincia dell’Aquila. Sono prese da L’Huffington Post.

175377_2925984_PULIZIABAS_12223333_medium.jpg“Amarezza e rabbia, indignazione e disappunto. Disgusto e una voglia matta di rivolta. Il vocabolario non è sufficiente a tradurre tutti i sentimenti che, in negativo, travagliano l’animo di un parroco di periferia. Le cronache di questi giorni hanno dell’incredibile che rasentano l’assurdo. Ormai è di dominio pubblico: l’aria mefitica della corruzione, dei giochi di potere, di pratiche persino criminali, di degrado morale, di malcostume appesta i palazzi vaticani e richiede urgente un’opera di disinfestazione e di pulizia generale, nella presa di coscienza e nella trasparenza generale. Aprire le finestre e cambiare aria! E invece cosa succede? Ci si chiude a riccio: si pone sotto secreto la relazione dei tre saggi, si schermano i telefoni, si oscurano perfino le finestre della Cappella Sistina, si perquisiscono i Cardinali, e si minaccia addirittura la scomunica a chi volesse twittare con l’esterno. La “città posta sul monte”, perché sia visibile a tutti e a tutti faccia luce, diventa un bunker sotterraneo più adatto ai topi che a persone libere e risorte. I “Pastori” che dovrebbero guidare il popolo in un cammino di crescita e di responsabilità vengono rinchiusi, chiavistellati (“cum-clave” da cui la parola “Conclave”), come scolaretti indisciplinati e incapaci, da tenere a bada.

Agli inizi del terzo millennio, in un mondo adulto ed emancipato, la chiesa continua imperterrita e mantenere una struttura d’altri tempi e che oggi non ha più alcun senso, anzi, si è invertita nel suo controsenso. Il conclave è nato e si è strutturato tale per tenere i cardinali indipendenti e liberi dai condizionamenti e dalle intrusioni del potere invadente e prepotente dei Re e degli Imperatori. Oggi questa stessa struttura invece che assicurare libertà al collegio cardinalizio, tiene i cardinali sotto tutela, come fossero degli incapaci; li tiene prigionieri.

Siamo agli antipodi di quella chiesa-comunità cui il Maestro aveva ordinato il linguaggio della schiettezza: «Sia il vostro linguaggio: sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Matteo 5,37). E’ stato censurato anche il Vangelo dalla sue narrazioni scomode che nessuno più ricorda ed è stato messo sotto silenzio perfino il suo Maestro: «Non abbiate paura. Nulla v’è di coperto che non debba essere svelato e nulla di nascosto che non debba essere conosciuto. Ciò che dico a voi nelle tenebre, proclamatelo nella luce; ciò che udite nell’orecchio, annunciatelo sui tetti» (Matteo 10, 26-27). «C’è un tragico paradosso in cui si dibatte la coscienza cattolica: l’istituzione per merito della quale ancora oggi nel mondo continua a risuonare il messaggio di liberazione di Gesù è governata nel suo vertice da una logica che rispecchia proprio quel potere contro cui Gesù lottò fino ad essere ucciso. Questa è la condizione paradossale e a volte tragica dell’essere oggi, e non solo oggi, un cattolico». Così scriveva il teologo Vito Mancuso nel suo ultimo libro Obbedienza e Libertà. «Il paradosso, lo precedeva Ortensio da Spinedoli su Adista Documenti n. 47/2011, è che le moderne società civili si reggono da due secoli sui principi evangelici (libertà, uguaglianza e fraternità), riscoperte da “senza-Dio”, mentre la Chiesa, che proviene dal vangelo, continua a poggiarsi sui canoni dei regimi assolutistici che il vangelo condanna». Nella Chiesa la diplomazia double-face si è mangiata la trasparenza e la paura ha esiliato il coraggio. In questi ultimi anni si è fatto di tutto per riportare indietro le lancette dell’orologio: laici imbavagliati, teologi senza tutela, vescovi in libertà vigilata, iniziative locali bloccate, centralismo forsennato. Le conseguenze catastrofiche di questa “politica” neoconservatrice sono davanti gli occhi di tutti: l’atmosfera è pesante, carica di tensioni, colma di risentimento. Il grande slancio spirituale si è spento, frenato dagli interdetti, paralizzato dai giuramenti, polarizzato dal grandi scenografie e dalle lussuose liturgie.

La liturgia ha cancellato la profezia. Dai non più sacri palazzi si vorrebbe i cristiani come un popolo di “colli storti”, per dirla con la felice espressione del grande Bernanos. Ma così non è…; e non sarà! Molti sono coloro che quotidianamente amano e lottano in e per una Chiesa Altra, così come emergeva dal Vaticano II: una Chiesa più attenta a lavare i piedi dell’umanità che non preoccupata di curare le vesti che porta addosso.”

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