Finire il liceo a 18 anni?

scuola (1)Oggi è il 1° settembre. Per gli insegnanti questa data significa un’unica cosa: inizio del nuovo anno scolastico. Nella maggior parte delle scuole si svolge il Collegio Docenti; così è stato anche nella mia. Tra i vari temi toccati dalla Dirigente c’è stato anche quello della possibile futura riduzione da 13 a 12 anni del percorso scolastico. Negli anni si sono ipotizzati anticipi della scuola primaria, tagli della scuola secondaria di primo grado, taglio del quinto anno di quella di secondo grado… Personalmente non sono un sostenitore convinto al 100% della necessità di terminare gli studi a 18 anni piuttosto che a 19. Semplicemente mi interrogo sulla questione. “Tutta l’Europa termina a 18 anni, ci dobbiamo adeguare”. Non è vero e non sempre, in quei paesi, i risultati sono lusinghieri. Alla fine del liceo scientifico mi sono iscritto a scienze geologiche e mi ci sono voluti due anni per capire che quella non era la strada fatta per me e che dovevo cambiare rotta. Di conseguenza, l’ingresso nel mondo del lavoro è avvenuto, per me, con due anni di ritardo (in realtà ho recuperato dopo, ma questo è un altro paio di maniche). Non mi sento tuttavia così penalizzato rispetto ad altri. Questo mi fa pensare che una delle cose più importanti per una scuola dovrebbe essere l’orientamento, non nel senso di una serie di attività da organizzare, ma nel senso precipuo di una scuola orientante, che permetta ai suoi studenti, attraverso tutta la sua offerta formativa, di capire quale sia la strada da percorrere. Ciò chiederebbe molta flessibilità e di conseguenza una diversa organizzazione: questa la riterrei una vera riforma. E in tal senso un anno non farebbe proprio la differenza: vi sono esperienze talmente significative e formanti che non hanno bisogno di periodi così lunghi e altre che invece richiedono esperienze pluriennali, proprio nel senso di una qualità della scuola.

E ai miei dubbi aggiungo le domande che Nicoletta Viglione scrive su IR di maggio-giugno: “Sono le finalità della scuola che vanno riviste: è più importante puntare sulla professionalizzazione oppure privilegiare una buona preparazione di base come spazio di educazione civile? E’ opportuno anticipare le scelte prevedendo un doppio binario che consenta, a chi non ha interesse per gli studi, di iniziare al più presto percorsi di avviamento al lavoro? Come garantire il reale assolvimento dell’obbligo e diminuire la dispersione scolastica?”.

Che peso ha?

ISIS

Ma l’Islam moderato esiste o non esiste? Come si configura? Ad esso viene data voce? O non conviene farlo emergere perché non farebbe audience? Esso è effettivamente rappresentativo? Scrive oggi Francesco Pistocchini su Popoli:
Intrecci politici e militari, spesso opachi, hanno consentito ai militanti estremisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (oggi identificati con la sigla Is) di occupare parte della Siria e dell’Iraq con l’obiettivo dichiarato di fondare un Califfato compiendo stragi, soprattutto tra le minoranze non islamiche (cristiani, yazidi e altri) e tra gli stessi musulmani. Tuttavia molte voci nell’islam sunnita si sono levate contro l’Is, anche se non sempre messe in risalto dai media, non solo in Occidente, ma anche in Paesi musulmani più conservatori.
Tra questi spicca il Gran muftì dell’Arabia Saudita, lo sceicco Abdulaziz Al sl-Sheikh, che il 19 agosto ha definito sia l’Is sia al Qaeda «nemici numero uno dell’Islam» e non appartenenti in alcun modo alla fede comune. La corrente wahabita che sostiene il regime saudita condivide alcune posizioni dottrinali dei terroristi, ma respinge i metodi violenti e il pericolo di destabilizzazione che rappresentano. Si ritiene che molti sauditi si siano uniti ai ribelli in Siria e Iraq e non è chiaro quanto la posizione dei religiosi wahabiti possa influenzare le loro scelte.
Anche importanti autorità dei principali Paesi dell’area hanno condannato le stragi, a partire dal Gran muftì di al-Azhar, Egitto, Shawqi Allam, che ha denunciato l’Is come una minaccia per l’islam. Il responsabile degli Affari religiosi in Turchia, Mehmet Görmez, ha affermato che: «La dichiarazione fatta contro i cristiani è veramente terribile. Gli studiosi islamici hanno bisogno di concentrarsi su questo perché l’incapacità di sostenere pacificamente altre fedi e culture annuncia il collasso di una civiltà».
Sul piano ufficiale, sia l’Organizzazione per la cooperazione islamica, che riunisce 57 Paesi, sia la Lega araba, si sono espresse contro i crimini commessi nelle scorse settimane in Iraq, parlando esplicitamente in difesa delle minoranze cristiane e degli yazidi. E inoltre non sono mancate le condanne da parte delle autorità delle comunità islamiche negli Usa, in Gran Bretagna e Francia, specialmente dopo l’assassinio del giornalista James Foley.
Chiara ed esplicita è la posizione dei musulmani in Italia. A fronte di una quarantina di mujaheddin di provenienza italiana partiti per la jihad in Siria e Iraq, persone di cui ha ampiamente parlato la stampa in questi giorni, in un appello del 12 agosto contro le guerre, l’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia che raggruppano 1,2 milioni di fedeli, ricorda che «il rispetto e la protezione della Gente del Libro (i cristiani e gli ebrei) e, in generale di tutte le popolazioni che vivono in un Paese o territorio governato dai musulmani è un dovere ineludibile di qualunque potere che si richiami all’Islam». L’Ucoii aggiunge che quando una forza che affigge insegne islamiche viola tutte le regole morali del conflitto, non può essere giustificata o sostenuta da alcuna referenza religiosa.
Davide Piccardo, responsabile del Coordinamento associazioni islamiche di Milano (Caim) conferma a Popoli.info la posizione dei musulmani nel nostro Paese: «Quanto sta accedendo in queste settimane in Siria e in Iraq, per effetto dell’avanzata dell’Isis, sono aberrazioni. In questo frangente noi siamo non solo con i cristiani iracheni e siriani, ma con tutte le minoranze religiose vittime della violenza».
I musulmani italiani ricordano che anche 16 ulema sunniti di confraternite sufi di Mosul sono rimasti vittime dei fanatici dell’Is così come gli imam di alcune grandi moschee, mentre altri musulmani, tra cui i peshmerga curdi, fanno fronte all’avanzata degli estremisti.”