Scomporre, capire

Voltofb

Scomporre un fiume nei suoi ruscelli. Capire un uomo” (Elias Canetti, La provincia dell’uomo).

Gemme n° 160

Ho portato una poesia che viene recitata alla fine del film Papà ho trovato un amico. La trovo molto emozionante.

Salice piangente con lacrime a forma di ramo,
perché piangi e non rispondi se ti chiamo?
E perché un giorno lui ti ha dovuto lasciare?
E perché non è potuto restare?

Sulle tue fronde si arrampicava e con la sua piccola mano leggera ti accarezzava.

Nella tua ombra vinceva l’estate, pensavi fossero eterne le sue risate?

Smetti di piangere salice piangente, perché questo piangere non servirà a niente.
Credi che la morte te lo abbia tolto, che non tornerà mai.
Ma cercalo nel tuo cuore, lo ritroverai”.

Questa la gemma di F. (classe quarta). Pubblico il pezzo di film da cui è tratta:

Questa, invece, è una canzone di Vasco Rossi che ha una storia lunga. Metto anche il testo, si intitola “La favola antica”. Mi sembra che possano essere colte delle somiglianze.

C’era una volta una favola antica quasi da tutti ormai dimenticata
che continuava a volare nell’aria aspettando colui che l’avrebbe di nuovo narrata
era una favola vecchia era un poco svanita come un barattolo di aranciata aperta
ma non voleva rassegnarsi e cercava di “non dimenticarsi”!

Parlava di una bambina bionda che non voleva dormire da sola
e la sua mamma poverina doveva starle sempre vicina
Un giorno venne una bella signora tutta vestita di luce viola
prese la mamma per la mano e la portò lontano, lontano
La bimba pianse cento sere poi si stancò e si addormentò
Quando il mattino la venne a svegliare con un bellissimo raggio di sole
vide la mamma poverina che sotto un albero dormiva
e la signora vestita di viola disse “non devi più avere paura… di restare sola”

C’era una volta una favola antica quasi da tutti ormai dimenticata
che continuava a volare nell’aria aspettando colui che l’avrebbe di nuovo narrata
era una favola vecchia era poco svanita come un barattolo di aranciata aperta
e per non essere dimenticata diventò vera… diventò! oh oh oh! … la vita!

Gemme n° 159

Come gemma ho scelto questo brano di De Andrè che ho sempre ascoltato con mio padre: racconta di una tragedia avvenuta nel 1864 negli Stati Uniti, quando i soldati distrussero una tribù di nativi americani. Penso che il testo sia molto profondo e significativo anche per l’attualità: ci sono ancora distruzioni e non penso che possano finire.” Queste le parole con cui C. (classe seconda) ha presentato la sua gemma.
Se qualcuno desiderasse conoscere in modo più approfondito la storia del massacro di Sand Creek, invito a leggere a questo post.
Uno degli aspetti più toccanti della canzone è lo stesso sottolineato qualche giorno fa in un’altra gemma: il punto di vista è quello di un bambino, sorpreso nella notte, a metà tra la veglia e il sonno. Il nonno cerca di proteggerlo, provando a mascherare la realtà: “Chiusi gli occhi per tre volte, mi ritrovai ancora lì, chiesi a mio nonno è solo un sogno, mio nonno disse sì”. La durissima realtà circostante si mischia col sogno che diventa incubo: “Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso, il lampo in un orecchio nell’altro il paradiso, le lacrime più piccole, le lacrime più grosse, quando l’albero della neve fiorì di stelle rosse”. A commento un unico collegamento, tra i tanti che purtroppo si potrebbero fare, con l’attualità: la Somalia.

Gemme n° 158

Kava1

Come gemma ho scelto una poesia di Kavafis e desidero accompagnare la lettura col brano Nuvole bianche di Einaudi. Itaca è metafora, è raggiungere una meta, accumulare saggezza e ricchezza. Mi riporta alla mia famiglia e agli amici, mi emoziona molto. Spero sia il mio viaggio e lo auguro a tutti. Ognuno ha una propria Itaca.

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
nè nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.”

Questa la gemma di R. (classe terza). C’è una canzone di Niccolò Fabi contenuta nell’album “La cura del tempo” del 2003 che si intitola “Il negozio di antiquariato” e sulla quale desidero soffermarmi. E’ difficile trovare un oggetto particolare in una strada centrale, lungo un corso, in bella vista in vetrina: “Per ogni cosa c’è un posto ma quello della meraviglia è solo un po’ più nascosto”. L’uomo contemporaneo è abituato al prodotto pronto e servito sul piatto: ciò che costa fatica spesso spaventa e non ci si rende conto che invece la cosa desiderata e bramata, per cui magari si è sofferto e lottato porta la bellezza proprio in quella attesa e in quelle battaglie (“Il tesoro è alla fine dell’arcobaleno che trovarlo vicino nel proprio letto piace molto di meno”). Le imprese, anche quelle che paiono impossibili, non sono precluse, ma è bene sapere quello di cui si va alla ricerca: “Come cercare l’ombra in un deserto o stupirsi che è difficile incontrarsi in mare aperto. Prima di partire si dovrebbe essere sicuri di che cosa si vorrà cercare dei bisogni veri”. La meta deve essere valutata con calma, non è detto che la corsa e la premura siano ideali per questo tipo di viaggio, corriamo il rischio di trascurare l’essenziale: “Ma le più lunghe passeggiate, le più bianche nevicate e le parole che ti scrivo non so dove l’ho comprate. Di sicuro le ho cercate senza nessuna fretta perché l’argento, sai, si beve, ma l’oro si aspetta”. Non lo so, penso ci stia bene qui.

Gemme n° 157

jess«Ha nevicato anche l’anno scorso: ho fatto un pupazzo di neve, mio fratello l’ha buttato giù, e io ho buttato giù mio fratello. Poi, abbiamo preso il tè insieme.» (Dylan Thomas)
Ho voluto cominciare con questa citazione perché non credo ci sia modo migliore di descrivere il rapporto fra me e mio fratello.
Fin da piccoli, noi due siamo sempre stati agli antipodi su tutto, dal cartone animato preferito, al gusto della torta di compleanno, eccetera eccetera. Piccole cose, certo, ma che hanno sempre reso complicato ogni più piccolo confronto. Anche se tra fratelli è normale litigare, troppo spesso finivamo per urlarci contro per ore o per non parlarci del tutto per giorni; era come se mancasse qualcosa, come se, sotto sotto, io non conoscessi veramente quella persona che avevo visto nascere e crescere accanto a me. Quel “punto d’incontro” che serviva ad unirci è arrivato nella maniera più improvvisa e impensabile possibile: l’anno scorso, mia madre è stata male, e la nostra vita ha iniziato a cambiare. In quel periodo, in cui mio padre lavorava molto e mia madre non poteva occuparsi di noi, io e mio fratello ci siamo trovati spesso soli, ad aspettare in silenzio. Se devo essere del tutto sincera, inizialmente io credevo che lui non capisse appieno la situazione, o che semplicemente la ignorasse; quando però un giorno sono entrata in camera e l’ho trovato seduto sul letto che piangeva a dirotto, ho capito di avere di fronte a me una persona molto più intelligente e sensibile di quanto credessi. Principalmente però, era un bambino che aveva bisogno di conforto. Quella sera, io e lui siamo stati seduti l’uno di fronte all’altra a parlare per ore, sia di cose serie che di stupidaggini, e ci siamo un po’ scoperti a vicenda. Ho capito per la prima volta cosa volesse dire avere un fratello minore da proteggere, e ho giurato che l’avrei sempre fatto, perché so che, qualunque cosa accada, lui sarà sempre lì per me, pronto a difendermi e a sostenermi; perché alla fine non importa quante volte ci butteremo giù, l’importante è che uno sarà sempre pronto a risollevare l’altro e ad «offrigli una tazza di tè».”
Questa è stata la toccante gemma di J. (classe terza). Mi è venuta in mente una frase che arriva dal passato. Mio nonno adorava i film di Totò, di Franco e Ciccio e di Bud Spencer e Terence Hill. Nel film “Lo chiamavano Trinità” uno dei protagonisti afferma: “Come ti permetti lurido ladrone! Questi sono i miei fratelli e i miei fratelli li picchio solo io!”. Mi ha fatto sorridere, ma pure riflettere. I rapporti umani più profondi sono quelli sinceri, ma non è facile essere sinceri ed accettare la sincerità. Significa essere nudi davanti all’altro e nudità significa anche vulnerabilità. Ci vuole tempo per svestire gli abiti che fanno da corazza, ma una volta che si scopre la bellezza dell’altro non vi si rinuncia.

Gemme n° 156

Una delle mie canzoni preferite riguarda il difficile cammino di un figlio che si distacca dai genitori. Al padre sono associati lavoro e fatica, alla madre emozioni e sentimenti. Il figlio si stacca per delle incomprensioni. Ma la cosa bella è che alla fine, in un momento di debolezza, li cerca ancora”.
Questa la gemma e la preferenza musicale di G. (classe quinta). Il mio pensiero è andato a una canzone dedicata da un padre alla figlia: Francesco Guccini scrive per Teresa il brano “Culodritto”. In Emilia quando un giovane guarda con disapprovazione e un po’ puntuto un adulto e se ne va, si dice “andarsene a culodritto”. Nella canzone emergono le differenze generazionali, gli assolutismi adolescenziali, le insofferenze genitoriali, ma soprattutto quella fiducia finale di cui ha parlato anche G. Adoro questo brano.


Ma come vorrei avere i tuoi occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti
e le tue risate pulite e piene, quasi senza rimorsi o pentimenti,
ma come vorrei avere da guardare ancora tutto come i libri da sfogliare
e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare…
Culodritto, che vai via sicura, trasformando dal vivo cromosomi corsari
di longobardi, di celti e romani dell’antica pianura, di montanari,
reginetta dei telecomandi, di gnosi assolute che asserisci e domandi,
di sospetto e di fede nel mondo curioso dei grandi,
anche se non avrai le mie risse terrose di campi, cortili e di strade
e non saprai che sapore ha il sapore dell’uva rubato a un filare,
presto ti accorgerai com’è facile farsi un’inutile software di scienza
e vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza…
Culodritto, cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre fatica
e che il vivere è sempre quello, ma è storia antica, Culodritto…
dammi ancora la mano, anche se quello stringerla è solo un pretesto
per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato o mi ha mai chiesto;
vola, vola tu, dov’io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare
e dove è ancora tutto, o quasi tutto… da sbagliare…”

Gemme n° 155

Ho trovato questo video per caso… stavo cercando altro… ma mi ha molto colpita: accettarsi alla nostra età è difficile, siamo continuamente giudicati da altri, da riviste. Se potessimo modificarci saremmo forse tutti uguali. E’ importante accettarsi per quello che si è, tanto si viene comunque giudicati e comunque chi giudica non è perfetto. Perché farmi giudicare da chi avrà sempre qualcosa da dire su di me?”. Così E. (classe quarta) ha presentato la sua gemma.
Una delle ultime canzoni di Marco Mengoni gira molto in radio in questi giorni. Non mi piace molto perché la trovo eccessivamente ripetitiva, ma il testo lo trovo molto calzante:
Oggi la gente ti giudica, per quale immagine hai.
Vede soltanto le maschere, non sa nemmeno chi sei.
Devi mostrarti invincibile, collezionare trofei.
Ma quando piangi in silenzio, scopri davvero chi sei.
[…] Ma che splendore che sei, nella tua fragilità”.
Inoltre, aggiungo anche un’altra cosa: amo fotografare. Una delle cose che mi piace immortalare è il primo piano delle persone, anzi il primissimo piano, se non addirittura un particolare del volto. Quando lo faccio mi accorgo di quanto bello sia. Più mi avvicino, più aumenta la bellezza. Potessi entrare nel cuore, ne sarei travolto.

Gemme n° 154

«La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.»
Questa poesia di Sant’Agostino mi è stata data da mio padre quando è mancata una persona cara. La dedico a lei e a tutte le persone che stanno vivendo una perdita. E’ importante non dimenticare le persone che perdiamo, ci stanno sempre vicine.”
Ecco la gemma di C. (classe seconda).
In un tratto della canzone “L’arcobaleno” Adriano Celentano canta delle parole che richiamano i pensieri e le emozioni di Mogol mentre pensa allo scomparso Lucio Battisti. Il rimando al brano di Sant’Agostino mi sembra evidente:


Mi manchi tanto amico caro davvero
e tante cose son rimaste da dire
ascolta sempre solo musica vera
e cerca sempre se puoi di capire.
Son diventato sai il tramonto di sera
e parlo come le foglie di aprile
e vibro dentro ad ogni voce sincera
e con gli uccelli vivo il canto sottile
e il mio discorso più bello e più denso
esprime con il silenzio il suo senso”.

Gemme n° 153

MonetDue quadri che ho visto di recente: questa è la mia gemma. L’opera di Picasso l’ho ammirata a gennaio a The Three Dancers 1925 by Pablo Picasso 1881-1973Londra, quella di Monet a Natale a Parigi. Il quadro di Monet l’ho sempre sognato: ho fatto danza classica per 5 anni e il poster di quel dipinto era appeso sul muro della sala di ballo. Sognavo di vederlo dal vivo e quando mi ci sono trovata davanti mi sono emozionata molto. Il quadro di Picasso penso possa rappresentarne l’evoluzione: queste tre ballerine mi hanno commossa.” Queste le parole di B. (classe seconda).
Paul Klee afferma che “L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”. Penso che in questo risieda la sua capacità di muovere in noi le emozioni e i sentimenti.

Uno sguardo sullo Yemen

yemen_sanaa-388x250Pubblico un articolo di Giorgio Cuscito sullo Yemen. Nonostante sia fresco (comparso ieri qui), l’attualità è molto stringente: rispetto a quanto scritto nel pezzo, il presidente Hadi è fuggito e l’Arabia Saudita sta intervenendo (Ansa).
Lo Yemen è sull’orlo di una guerra civile. I ribelli huthi, che nei mesi scorsi hanno preso il controllo della capitale Sana’a e obbligato il presidente Rabbu Mansour Hadi a dimettersi, continuano la loro avanzata verso Sud. Il 25 marzo, questi hanno occupato l’aeroporto di Aden, città portuale dove Hadi si era rifugiato. Il presidente si troverebbe in un “luogo sicuro”, ma non avrebbe lasciato il paese. Gli huthi hanno anche attaccato la grande base aerea di al Anad a 60 chilometri da Aden. Nei giorni precedenti hanno conquistato Taiz, la terza città più grande del paese, inoltre sono entrati ad al Mukha, 80 chilometri a Nord dallo stretto di Bab al Mandeb, che collega il Mar Rosso e l’Oceano Indiano. Bab el Mandeb è uno snodo fondamentale lungo le rotte del petrolio proveniente dalla penisola arabica.
Inoltre, pochi giorni fa, una milizia jihadista affiliata allo Stato Islamico (Is), che afferma di chiamarsi semplicemente “Provincia di San’a” ha rivendicato gli attentati sferrati in due moschee sciite della capitale, che hanno provocato la morte di circa 150 persone. La presenza del franchising del “califfo” al Baghdadi può complicare ulteriormente lo scenario yemenita. Gli huthi, conosciuti anche come Ansar Allah (Partigiani di Dio) sono sciiti e appartengono alla comunità yemenita degli zaydi, che rappresenta almeno il 30% della popolazione. Gli zaydi hanno controllato il Nord dello Yemen per circa mille anni fino a quando nel 1962, in seguito a un colpo di Stato, hanno perso il loro potere. Il gruppo degli huthi è nato nel 1992, con il nome di “Gioventù credente”. Quello attuale viene da Hussein Badr al-Din al Huthi, che nel 2004 ha guidato la loro prima insurrezione nella provincia di Saada, loro roccaforte.
Lo Yemen si trova nella penisola arabica, a Nord confina con l’Arabia Saudita (tra i principali esportatori al mondo) e a Est con l’Oman. A Sud si affaccia sul golfo di Aden (Oceano Indiano), al di là del quale, a poche decine di chilometri di distanza, vi è l’Africa Orientale. In pratica il paese è una sorta di cerniera tra il Continente Nero e il Medio Oriente e un punto di transito dei flussi del jihad. La sua stabilità è importante sia per garantire il trasporto delle forniture di petrolio provenienti dal golfo di Aden, sia per ostacolare il terrorismo. La moderna repubblica dello Yemen è stata fondata nel 1990 con la fusione tra lo Yemen del Nord e quello del Sud. Da allora il paese, tra i più poveri al mondo, è stato segnato da numerosi conflitti interni. Nel 1994, forze secessioniste nel Sud hanno tentato (fallendo) la via dell’indipendenza e negli anni Duemila gli huthi si sono confrontati in più occasioni con l’esercito yemenita. Le proteste iniziate nel 2011 e ispirate dalle cosiddette “primavere arabe” in Egitto e Tunisia hanno costretto il presidente Ali Abdullah Saleh a dimettersi l’anno successivo. Questi aveva ricoperto tale carica per circa trent’anni, prima alla guida dello Yemen del Nord (1978-1990) poi di quello unificato (1990-2012).
La crisi cominciata nel 2011 ha consentito ad al Qaida nella penisola arabica (Al qaida in the arabian peninsula, Aqap) di consolidare qui il suo ruolo, creando delle roccaforti nel Sud del paese. Nel 2012 Hadi è diventato presidente ma ciò non è bastato a contrastare efficacemente il terrorismo e l’ascesa degli huthi. Come accennato prima, a gennaio 2015 i ribelli sciiti hanno obbligato il governo a dimettersi. Nel 2014, il presidente Hadi aveva proposto una riforma che avrebbe trasformato lo Yemen in una federazione di sei regioni. Una soluzione che gli huthi consideravano dannosa. La creazione della macroregione di Azal, densamente popolata, scarsa di risorse energetiche, priva di sbocchi sul mare, avrebbe incluso la maggioranza degli storici territori settentrionali dello sciismo zaidita. Hadi, che ha dichiarato le sue dimissioni non valide, è poi fuggito nella città portuale di Aden, nel Sud, insieme a truppe e forze di polizia a lui fedeli.
Per la sua posizione geostrategica, il futuro dello Yemen interessa agli Stati Uniti e ai principali attori regionali, Arabia Saudita e Iran.
L’impegno di Washington dipende sia dalla vicinanza del paese all’Arabia Saudita, presunto alleato e uno dei suoi principali fornitori di petrolio, sia da ragioni di sicurezza. Aqap, infatti, sarebbe ispiratrice di molti attentati contro l’Occidente. Tra cui quello al cacciatorpediniere Uss Cole, ormeggiato al porto di Aden, nel 2000, quello – fallito – il 25 dicembre 2009 sul volo Amsterdam-Detroit e quello sferrato a Parigi presso la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Ragion per cui, dal 2002 Washington si serve dei droni per condurre uccisioni mirate. Lo scorso mese, gli Stati Uniti hanno chiuso la loro ambasciata a Sana’a ed evacuato il personale restante a causa del deterioramento della situazione. Washington ha fornito allo Yemen armi per oltre 500 milioni di dollari e ora teme che queste possano finire nelle mani dei ribelli oppure di al Qaida.
L’Arabia Saudita sostiene Hadi e accusa l’Iran, suo principale avversario regionale, di appoggiare militarmente ed economicamente gli huthi (con cui Teheran condivide la matrice sciita) per danneggiare indirettamente Riyad. Il presidente yemenita a sua volta accusa il suo predecessore Saleh e le truppe che sono ancora a lui fedeli di sostenere i ribelli huthi, con l’obiettivo di tornare alla guida del paese.
Lo Stato Islamico è la new entry nel quadro yemenita, anche se non è chiaro quanto sia forte il legame tra i miliziani affiliati nel paese e il nucleo dell’organizzazione in Iraq e Siria. Spesso, i jihadisti locali cercano di consolidare il proprio ruolo sul territorio e incutere timore nel nemico reclamando l’appartenenza a un gruppo terroristico più grande. Un fatto che tuttavia non ne riduce la pericolosità.
Il vuoto di potere nel paese, la consolidata presenza jihaidsta e gli interessi dei grandi attori regionali (Arabia Saudita, Iran, Qatar) rendono lo scenario yemenita molto simile a quelli siriano, iracheno e libico. Gli huthi, con il supporto delle truppe fedeli a Saleh, sembrano ora avere la meglio. Tuttavia, la loro avanzata verso Sud potrebbe essere ostacolata non solo dai soldati di Hadi, ma anche dall’opposizione delle tribù sunnite e dai miliziani di Aqap ed eventualmente dell’Is. Le organizzazioni terroristiche potrebbero far leva sull’avanzata degli sciiti huthi per intensificare l’opera di reclutamento nella comunità sunnita. Tutto ciò potrebbe far aumentare il rischio di un conflitto tra confessioni. Resta poi da vedere quali saranno le mosse di Iran e Arabia Saudita. Lo Yemen è un paese molto povero, in cui l’acqua scarseggia e gli aiuti umanitari sono da sempre indispensabili. Questo potrebbe essere un fattore chiave. Non è da escludere che qualora gli huthi consolidassero il loro potere nel paese, dialoghino anche con Riyad per avere assistenza finanziaria. Del resto, l’Arabia Saudita confina direttamente con lo Yemen e potenzialmente ha più soldi da offrire rispetto all’Iran, che dista circa 2 mila chilometri e in questo momento è sotto il giogo delle sanzioni economiche occidentali per la questione del nucleare ( i negoziati con gli Usa non si sono ancora conclusi). Nel frattempo, Riyad ha schierato delle truppe al confine con lo Yemen. Il consiglio di sicurezza dell’Onu ha espresso il proprio sostegno al presidente Hadi e affermato “il suo forte impegno a favore dell’unità, della sovranità, indipendenza e dell’integrità territoriale” del paese. Poi ha sottolineato la necessità di una soluzione politica per riportare qui la pace, in collaborazione con il Consiglio per la cooperazione nel Golfo. Il problema è che al momento né la il governo di Hadi (che ha chiesto un intervento militare dei paesi arabi e dell’Onu) né gli huthi sembrano intenzionati a dialogare. L’impasse potrebbe far scoppiare la guerra civile, creando i presupposti per un altro Stato fallito e facendo gli interessi delle organizzazioni terroristiche presenti sul territorio.”

Uno sguardo su Tunisi

Gli attentati di Tunisi della scorsa settimana mi hanno colpito particolarmente perché hanno toccato luoghi che ho visitato in un viaggio di qualche anno fa. Oggi pubblico un articolo di Simone Olmati del 20 marzo (pubblicato su Limes), con alcune foto che ho scattato nel luglio 2008.

Tunisia 15-22 luglio 2008 323 fbLa sparatoria davanti al Parlamento e il successivo attacco all’adiacente museo del Bardo che ha provocato 22 vittime accertate gettano la Tunisia nella guerra regionale al jihadismo (non solo dello Stato Islamico). Un vortice da cui la giovane democrazia nordafricana avrebbe volentieri mantenuto le distanze, come testimoniano le posizioni assunte dal governo di Tunisi in merito alla crisi libica e la replica, ben più esplicita, del primo ministro Habib Essid all’appello interventista dell’Egitto. “Abbiamo preso tutte le misure necessarie”, aveva dichiarato Essid lo scorso 18 febbraio. Un mese dopo, l’attacco terroristico non solo ha smentito nei fatti le parole del premier, ma ha messo in mostra le falle evidenti dell’intelligence e trascinato di peso il paese dei gelsomini nella lotta al terrorismo. L’attentato avrà senza dubbioTunisia 15-22 luglio 2008 327 fb conseguenze rilevanti sull’approccio che il governo deciderà di adottare per prevenire la penetrazione jihadista. Nel discorso immediatamente successivo all’assalto il premier ha parlato di una “guerra lunga”, ma ha voluto altresì rassicurare i tunisini sul fatto che il governo adotterà contromisure straordinarie per tutelare la capitale e i siti turistici, ben consapevole del danno economico che l’attentato può produrre in termini di riduzione delle presenze turistiche. Il governo stima una perdita di almeno 700 milioni di dollari. Il turismo infatti, sebbene in calo negli ultimi anni, rappresenta pur sempre circa il 15% del pil tunisino.

Case di Sidi copia 2Nel pomeriggio del 19 marzo è arrivata la rivendicazione del gesto da parte dello Stato Islamico (Is), con un file audio e un testo diffusi via twitter. Entrambi i file dovranno essere vagliati attentamente per accertarne l’attendibilità. Nonostante l’attribuzione del gesto all’Is, la presenza organizzata e strutturata di seguaci di al-Baghdadi in Tunisia non sembra trovare riscontro; così come non sembrano esserci state, ad oggi, affiliazioni ufficiali di gruppi jihadisti locali al “califfato”. I messaggi di sostegno all’Is da parte di alcuni battaglioni di terroristi sembrano più opera di singoli militanti che non delle rispettive leadership, ancora fedeli ad al Qaida. Il battaglione Okbaa Ibn Nafaa rientra in questa casistica. La katiba, operativa al confine tra Tunisia e Algeria, ha rivendicato – tra le altre azioni – l’uccisione di quattro soldati di stanza nel governatorato di Kasserine avvenuta nella notte tra il 17 e il 18 febbraio scorso. Nonostante la katiba (non l’unica operativa in Tunisia) abbia in passato diffuso contraddittori messaggi di supporto allo Stato Islamico (come riporta David Thompson), essa non ha mai giurato fedeltà al califfato ed è, viceversa, ritenuta affiliata alla casa madreTappeti! copia 2 Ansar al-Sharia, alla quale garantirebbe un legame “operativo” con al Qaida nel Maghreb Islamico (Aqmi). Le forze attualmente attive in Tunisia sono dunque riconducibili all’ombrello di Aqmi più che allo Stato Islamico. Proprio il giorno prima dell’attentato di Tunisi, era stato uno dei leader di Ansar al Sharia, Wannes Fékih, a preannunciare in un video – dove compare soltanto in foto – “giorni pieni di avvenimenti”. Gli arresti delle ultime ore sapranno dare qualche informazione in più a riguardo.

Stato Islamico o al Qaida, la Tunisia deve preoccuparsi soprattutto del “terrorismo di ritorno”, laddove il paese dei gelsomini più di ogni altro esporta foreign fighters sui fronti caldi di Iraq e Siria. Tali combattenti, arruolatisi in molti casi anche a causa di condizioni di marginalità economica e sociale, potrebbero tornare in patria da militanti estremamente radicalizzati ma soprattutto da esperti combattenti, con tutti i rischi che ne conseguono. Lo scorso 13 febbraio, Rafik Chelli – segretario di Stato incaricato della sicurezza – aveva dichiarato che i jihadisti rientrati dalla Siria sarebbero almeno 500. I due autori materiali dell’attacco al parlamento e al Bancarella di spezie copia2Bardo avrebbero trascorso un periodo in due campi d’addestramento in Libia prima di rientrare, secondo quanto riportato dallo stesso Chelli. Si badi bene, però: la Tunisia non è la Libia. A fronte di un non-Stato petrolifero ai suoi confini orientali, il governo di Tunisi, peraltro già impegnato nella repressione dei movimenti estremisti e nel controllo delle proprie frontiere, dispone delle risorse militari e di intelligence da dispiegare per arginare il fenomeno. È prevedibile che l’esecutivo, come preannunciato ieri dai suoi più alti esponenti, adotterà ulteriori misure a protezione dei siti sensibili. Anche grazie a una tradizione laica di bourghibiana memoria e a una società civile variegata ma adulta, la primavera tunisina non è sfociata in un vuoto di potere colmato da gruppi jihadisti, bensì nelle istituzioni democratiche che oggi sono chiamate ad affrontare la situazione. A tale proposito, dal 24 al 28 marzo si terrà a Tunisi il Forum SocialePanettiere copia2 Mondiale, confermato dagli organizzatori proprio per non mostrare cedimento alla minaccia terrorista. Sarà un appuntamento importante sia per dimostrare solidarietà alla società civile tunisina, sia per rimettere al centro del discorso temi quali i diritti sociali e lo sviluppo economico sostenibile che potrebbero costituire dei veri argini al reclutamento jihadista, soprattutto all’interno di società a forte sperequazione sociale come quelle arabe.

L’attentato del Bardo, infine, ha dimostrato che la Tunisia non può combattere da sola. Sarà dunque importante che l’Europa e l’Italia in particolare, per ragioni di prossimità geografica e di relazioni storico-economiche, rafforzino la cooperazione con Tunisi nello scambio di informazioni sensibili e di intelligence. Quattro anni fa i paesi occidentali hanno perso l’occasione di dialogare con le forze progressiste, laiche e religiose dei paesi mediterranei lasciando che fossero altri attori regionali a farsi largo tra le pieghe delle rivoluzioni. La Tunisia ha resistito finora, nonostante tutto. Oggi l’Europa e l’Occidente non possono lasciarla sola.

Ere tecnologiche copia2

Ritorno dal mercato copia2

Mercato per strada copia2

Gemme n° 152

cio-che-inferno-non-e-900Ho portato il libro “Ciò che inferno non è”; l’ho appena iniziato, quindi non posso emettere un giudizio. E’ che non prendevo in mano un libro dalla terza media, mentre questo mi ha catturato immediatamente. Questo non è gran periodo per me, tuttavia attraverso quest’opera «vedo meglio»”. Queste sono state le parole di B. (classe seconda).
Amo leggere ed è una gioia sentire una studentessa, uno studente, dire di aver scoperto o riscoperto il piacere della lettura. Un proverbio cinese recita “Un libro è un giardino che puoi custodire in tasca”.

Religiosità, religioni, preghiera

Quando nasce la religiosità? Quando nascono le religioni? Quando nasce la preghiera? Julien Ries prova a dare una risposta su Luoghi dell’Infinito, n. 106, anno XI, aprile 2007, p. 35, tratto da Dimensione Speranza.

La progressiva scoperta del prodigioso patrimonio religioso dell’umanità ha messo gli scienziati di fronte a un fatto: l’universalità del fenomeno religioso, nello spazio e nel tempo. E negli ultimi decenni le straordinarie scoperte fatte nella Rift Valley africana, specialmente in Tanzania e in Kenya, hanno fatto arretrare in modo spettacolare le frontiere della paleoantropologia.
Più di due milioni di anni fa, l’Homo habilis della Rift Valley tagliava gli utensili in amigdale, scegliendo materiali e colori; aveva il senso della simmetria e del simbolo. È la cultura di Olduvai, del tutto sconosciuta prima del 1959. Gli succede l’Homo erectus, che affollerà il mondo antico per scomparire intorno a 150.000 anni fa e lasciare il posto all’Homo sapiens. Con quest’ultimo si moltiplicano gli utensili e, cosa nuova, egli scava tombe per seppellire i defunti. Le tombe più antiche ritrovate a Qafzeh in Palestina risalgono a 90.000 anni fa. Con l’Uomo di Neandertal (da 80 a 40.000 anni fa) la quantità di tombe continua a crescere: numerose le tracce di culti funerari, segni della credenza in una vita ultraterrena. Nelle tombe si trovano ocra rossa, simbolo del sangue e della vita, ornamenti e teschi trattati, segno di protezione per il defunto nella vita ultraterrena. Intorno a 35.000 anni fa, compare l’uomo moderno, Homo sapiens sapiens, creatore dell’arte franco-cantabrica (come le grotte di Lascaux e Rouffignac). Attraverso la decorazione di centinaia di grotte che sono luoghi “d’iniziazione religiosa”, attraverso l’arte mobile, attraverso le tombe, quest’uomo mostra di credere in una Realtà che lo supera: la sua religiosità si afferma nell’arte. Verso i 10.000 anni fa esce dalle caverne e s’insedia all’aperto: i primi villaggi sono stati ritrovati in Mesopotamia, Siria e Palestina. Dopo aver vissuto ancora un po’ di raccolta, caccia e pesca, inventa l’agricoltura, verso l’8000 avanti Cristo. È la grande rivoluzione religiosa e culturale del Vicino Oriente.
Gli archeologi hanno ritrovato le prime immagini di divinità risalenti a quell’epoca. Innanzitutto, due simboli: la donna feconda che sarà la dea-madre e il toro; due culti che si diffonderanno rapidamente in tutto il Vicino Oriente. La località di Catal Huyuk in Anatolia, occupata tra i 6250 e i 5400 anni avanti Cristo, aveva un’intensa attività religiosa. Su 139 edifici emersi dagli scavi, quaranta avevano degli altari. Questi edifici sono i primi santuari conosciuti. Vi si trovano affreschi, bassorilievi, statuette e piccole figure. L’archeologo Jacques Cauvin ha condotto un’analisi minuziosa degli affreschi raffiguranti la dea “madre degli animali e degli uomini” e il toro. Si tratta di grandi figure attorno alle quali ruota tutto un mondo umano raccolto accanto alle due divinità. Affreschi analoghi si trovano nelle cavità tra le rocce dell’Hoggar, nel sud dell’Algeria, dove, attorno a un “Grande Dio”, esseri umani stanno a braccia alzate nella posizione degli oranti. Le stesse figure si ritrovano a sud di Orano. Questi pochi dettagli tratti da un’abbondante documentazione archeologica hanno un significato importante. Verso l’8000 avanti Cristo l’uomo comincia a rappresentare la divinità tra due simboli: la donna feconda e il toro, segni di vita e di potenza. La divinità è vita e potenza. Due millenni più tardi, l’uomo costruisce altari e santuari per le divinità. Le invoca a braccia alzate, nel gesto della preghiera, della domanda, della supplica. Ecco le prime tracce di preghiera. «Qui l’arte — dice Cauvin — riflette un evento psichico. Il sacro è percepito dall’uomo attraverso la credenza in una divinità suprema. Non è più una semplice esperienza del sacro ma un’autentica religione».
orantiTestimonianze analoghe d’epoca neolitica si trovano incise sulle rocce della Val Camonica, una stretta valle della Lombardia a nord di Brescia. Poco prima del 5000 avanti Cristo, comincia la fase climatica definita “atlantica”: introduzione dell’agricoltura, aumento della popolazione. Sulle rocce sono incise molte figure umane, con le braccia alzate al cielo, verso simboli solari e celesti.
Inoltre nella roccia sono scavate, in gruppi, piccole fosse a forma di coppe che fanno pensare a rituali d’offerta. E utile notare che i gruppi di oranti sono incisi su basi rocciose poste di fronte al sole che sorge, verso il quale gli oranti alzano le braccia. Del resto, va osservata la presenza di incisioni idoliformi alte anche due metri. Tali figure di idoli diventano più numerose nel quarto millennio.
Ciò che più colpisce l’osservatore è, da un lato, la posizione degli oranti con le braccia alzate verso la volta celeste e, dall’altro, il fatto che le rocce siano state scelte perché poste di fronte al sole che sorge. Evidentemente l’uomo religioso camuno era impressionato dalla volta celeste. Il fenomeno si ritrova nelle diverse religioni del Vicino Oriente, dell’Egitto, del mondo mediterraneo e dell’Indo durante i millenni che precedono la nostra era. Mircea Eliade ha fatto osservare che il cielo rivela la sua trascendenza, la sua forza e la sua sacralità attraverso la semplice contemplazione della volta celeste. Questa provoca nell’uomo un’esperienza del sacro. “Il cielo si rivela infinito e trascendente. Le regioni superiori, inaccessibili all’uomo, acquisiscono il prestigio divino del trascendente, della realtà assoluta, della perennità” (Trattato della storia delle religioni). In conclusione, la scoperta della cultura d’Olduvai risalente a più di due milioni di anni fa dimostra che, fin dalle origini, l’uomo possiede la facoltà dell’immaginario e la coscienza simbolica. Fin dalle origini l’uomo è stato impressionato dall’universo e in particolare dalla simbolica della volta celeste. Dunque ha potuto fare, fin dalle origini, un’esperienza del sacro di cui abbiamo prova materiale solo a partire dall’esistenza dei riti funerari. Il simbolismo della volta celeste ha avuto il ruolo di rivelare una realtà transumana. Se disponiamo della prova della religiosità umana di 100.000 anni fa, dobbiamo attendere i 10.000 anni avanti Cristo per trovare tracce di religioni organizzate e i 6 mila per vedere uomini in preghiera. Verso i 2000 anni avanti Cristo, Dio risponde alla lunga ricerca dell’uomo. Fu la rivelazione di Dio ad Abramo e la promessa di un’Alleanza con lui.”

Gemme n° 151

sepu

Ero indecisa fra due cose. Alla fine ho scelto il libro di Sepùlveda “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”: ha fatto parte della mia infanzia e fa ancora parte della mia adolescenza. E’ la storia semplice di un gatto (il mio animale preferito) e di una gabbianella: da grandi il libro può essere ancora letto perché insegna la libertà e punti che di solito tralasciamo (il rispetto per la natura e per gli animali) e mette in luce l’egoismo degli uomini (anche se alla fine compare un uomo che aiuta gli animali). Pur essendo scritto con un linguaggio semplice, è un libro che insegna molto: spesso gli adulti perdono la concezione che si possa imparare anche dalle cose semplici”. Riporto una citazione che mi pare particolarmente azzeccata in riferimento alle ultime parole dette da S. (classe quarta): “Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. È acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole ed arriva sempre come ricompensa dopo la pioggia. Apri le ali… … Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo”.

Il giorno di dolore che uno ha

IL GIORNO DI DOLORE CHE UNO HA (Ligabue, Secondo tempo)
Quando tutte le parole sai che non ti servon più
quando sudi il tuo coraggio per non startene laggiù
quando tiri in mezzo Dio o il destino o chissà che
che nessuno se lo spiega perché sia successo a te
quando tira un po’ di vento che ci si rialza un po’
e la vita è un po’ più forte del tuo dirle “grazie no”
quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà.
Sopra il giorno di dolore che uno ha.
Tu tu tu tu tu tu…
Quando indietro non si torna quando l’hai capito che
che la vita non è giusta come la vorresti te
quando farsi una ragione vorrà dire vivere
te l’han detto tutti quanti che per loro è facile
quando batte un po’ di sole dove ci contavi un po’
e la vita è un po’ più forte del tuo dirle “ancora no”
quando la ferita brucia la tua pelle si farà.
Sopra il giorno di dolore che uno ha.
Tu tu tu tu tu tu tu tu tu…
Quando il cuore senza un pezzo il suo ritmo prenderà
quando l’aria che fa il giro i tuoi polmoni beccherà
quando questa merda intorno sempre merda resterà
riconoscerai l’odore perché questa è la realtà
quando la tua sveglia suona e tu ti chiederai che or’è
che la vita è sempre forte molto più che facile
quando sposti appena il piede lì il tuo tempo crescerà
Sopra il giorno di dolore che uno ha
Tu tu tu tu tu tu tu tu tu…
La canzone è stata dedicata da Luciano Ligabue al giornalista Stefano Ronzani, morto a causa della leucemia: “si ammalò gravemente e ci fu un momento della sua malattia in cui capii che le lunghissime chiacchierate sul farsi forza, sul darsi speranza, sul combattere in qualche modo il suo male in realtà avevano perso significato… Provai allora a comunicargli questa cosa nella maniera che la fortuna o il caso o qualcuno ha deciso che, tutto sommato, con me funziona: una canzone… Quindi in maniera, se vuoi, anche patetica, per il suo compleanno gli feci avere questo brano, totalmente riscritto rispetto all’originale. La canzone gli servì; mi raccontò che l’aveva aiutato ad aprire dei rubinetti che aveva bisogno di aprire. Poi era un critico musicale e vide la cosa pure sotto un altro profilo. “Questa canzone è troppo bella perché resti dentro un nastrino. Non ha senso che rimanga fra me e te, pubblicala”. Devo dire che sono molto contento del successo che ha avuto, proprio per la storia che c’è dietro.” (da “Vivere a orecchio”)
La situazione descritta, quindi, è quella di una persona gravemente ammalata per la quale non ci sono più parole per dare spiegazioni e per infondere coraggio: anzi, il coraggio più grande è quello che serve per cercare di risollevarsi e non stare nella disperazione. E’ inevitabile chiedersi perché sia capitato qualcosa di cui non si può attribuire la colpa ad alcuno: magari si possono tirare in ballo Dio, o il destino o altro. La vita sembra ingiusta rispetto ai criteri personali ed è evidente che non è possibile tornare indietro: già farsene una ragione diventa un’ottima cosa e permette di vivere più serenamente. E allora si riescono a vedere anche dei momenti migliori:
il vento si mette a soffiare e ci aiuta a sollevarci e magari a non dire “grazie, no” alla vita
il sole si fa largo tra le nubi e getta i propri raggi proprio là dove è più necessario per noi
la ferita brucia, ma il dolore è il segno che la pelle sotto è viva, pulsa e si sta ricreando
il cuore, benché ferito perché azzoppato, riesce a prendere un suo ritmo e a farci ballare
l’aria gira e soffia un po’ di aria pulita nei nostri polmoni
c’è la consapevolezza che la vita non è facile, ma è sicuramente forte e magari basta spostare un po’ il piede (dall’acceleratore?) per guadagnare un po’ di tempo.

Gemme n° 150

Gemma Aurora

E’ una foto in cui avevo due anni. Ero con mia mamma. Mi comunica un senso di spensieratezza che mi manca un po’, benché non sia afflitta da chissà quali problemi. La gemma è la famiglia. Ad esempio sono cresciuta anche con mia nonna, mancata due anni fa, una seconda figura materna. Mi sono accorta della sua vera importanza quando è mancata. La famiglia non va data per scontata ed è fatta di rapporti che vanno coltivati.” Questa foto è la gemma di A. (classe terza). Dice Alex Haley: “La famiglia è un collegamento con il nostro passato e un ponte verso il nostro futuro”.

Gemme n° 149

E’ una canzone che mi piace molto. A metà si sente la voce di una donna (tra l’altro non molto femminile) che parla della condizione delle donne in generale. Penso che l’uguaglianza dei sessi non esista ancora, magari più in Europa che altrove. Evviva le feminist!”. Così E. (classe terza) ha presentato la sua gemma.
Canta Beyoncé: “Insegniamo alle ragazze a tirarsi indietro, a farsi sempre più piccole. Diciamo loro «Puoi avere delle ambizioni ma non così tanto. Potresti desiderare di essere una donna di successo ma non così tanto successo. D’altronde sei sottomessa all’uomo»”. Qualche giorno fa, leggevo sul sito del Corriere un articolo dal titolo curioso: “Quei 3 mesi di matematica che mancano alle bambine”. Ci si interrogava: “Come mai le ragazze italiane in matematica a quindici anni sono mediamente tre mesi indietro rispetto ai loro coetanei?”. La conclusione era: “I genitori ancora pensano a carriere diverse per i figli e le figlie. Basta sfogliare i dati: un papà su due crede che il proprio figlio (maschio) possa poi trovare un lavoro in ambito scientifico-tecnologico, dall’ingegneria alla chimica, mentre lo stesso genitore, di fronte alla domanda su che cosa possa fare sua figlia, soltanto in un caso su sei pensa che possa finire con l’appassionarsi a materie scientifiche e dunque poi ad un lavoro che abbia a che fare con la scienza o la tecnologia. Le mamme condividono queste scelte, e a dimostrare che i pregiudizi sono difficili da scardinare, il tipo di lavoro della mamma non influenza le scelte delle figli. In più l’Italia «è l’unico Paese dove tali differenze sono particolarmente accentuate nelle classi socio-economicamente più svantaggiate», scrivono gli esperti dell’Ocse. Si capisce perché un ragazzo su cinque pensa di lavorare nell’ambito scientifico e soltanto una ragazza su venti, a quindici anni, «osa» immaginarsi in una carriera scientifica: spesso nessuno si occupa del suo «orientamento». L’occasione ora è cercare di invertire questo circolo vizioso. E nel rapporto c’è un suggerimento preciso: la soluzione è affidata ai professori e alla scuola. Se si riuscirà a formare e preparare docenti capaci di usare metodi didattici che includono e favoriscono l’autostima delle studentesse, c’è un ampio margine di miglioramento. È questa una delle sfide vere della scuola, perché «un ragazzo/a che è realizzato nel suo potenziale di studente — scrivono gli esperti dell’Ocse — sarà bravo nel suo lavoro e persino innovatore nella società». L’appuntamento è al prossimo rapporto, fra tre anni.”.
Sarei a questo punto curioso di sapere quale percentuale di madri e padri crede che il proprio figlio (maschio) possa poi trovare un lavoro come insegnante…

La vita è pur buona

eclisse01gHo conosciuto Etty Hillesum grazie al mio insegnante di teologia fondamentale, che a suo tempo mi aveva consigliato la lettura delle Lettere e del Diario. Ieri, durante un’ora di buco stavo leggendo alcune sue parole: “Ascoltare, ascoltare ovunque, ascoltare la vera essenza delle cose. E amare e allontanarmi e morire, ma rinascere, tutto è così intriso di dolore e tuttavia così pieno di vita” (da “Uno sguardo nuovo. Il problema del male in Etty Hillesum e Simone Weil, di B. Iacopini e S. Moser). Poi, nella giornata, una studentessa ha mostrato un toccante video sui bambini nella guerra in Siria, un’altra mi ha confidato con gli occhi inebriati di gioia che diventerà zia, una classe mi ha chiesto di andare a vedere il sole nascondersi dietro alla luna, ho pensato ai dieci anni senza il mio amato nonno, ho tolto dal roseto le vecchie foglie per non soffocare le nuove, ho sentito dell’attentato alle moschee nello Yemen, ho saputo delle preoccupazioni di due madri per i figli… e sullo sfondo di tutto c’era sempre Etty. Dal campo di prigionia di Westerbork, in Olanda, nel quale è entrata volontariamente e dal quale è uscita su un vagone che l’ha portata ad Auschwitz, scriveva: “La gente si smarrisce dietro a mille piccoli dettagli che qui ti vengono quotidianamente addosso, e in questi dettagli si perde e annega. Così, non tiene più d’occhio le grandi linee, smarrisce la rotta e trova assurda la vita […]. La vita è pur buona” (Lettere, pag. 65).

Gemme n° 148

Questo video fa riflettere molto. Quando l’ho visto sono rimasta senza parole; è un po’ come dice lo slogan alla fine. Non ci rendiamo conto di quello che sta succedendo in Siria, siamo tranquilli e non ci pensiamo. La nostra vita è tranquilla mentre questi bimbi stanno realmente vivendo la guerra e non hanno la vita che dovrebbero avere”. Con queste parole M. (classe quarta) ha presentato la sua gemma.

Mi ci è voluto un po’, ma sono finalmente riuscito a trovare le durissime parole che mi sono risuonate nella mente mentre M. parlava. Si tratta di “Tema della Bosnia” del premio Noble per la letteratura Joseph Brodskij:

Mentre pensi a versarti uno scotch, schiacci una blatta,
o controlli l’orologio, mentre con la mano ti sistemi la cravatta,
c’è gente che muore.

In queste città dai nomi strani, sotto i colpi di fucile,
in mezzo alle fiamme, senza nemmeno sapere perché,
c’è gente che muore.

In posti piccoli che non conosci, ma grandi abastanza
per reclamare il diritto a un grido o a un addio
c’è gente che muore.

C’è gente che muore
Mentre tu eleggi nuovi apostoli dell’indifferenza,
del non intervento e di tutto ciò che fa morire la gente.

Sei troppo lontano per amare il prossimo tuo nel fratello Slavo,
dove i tuoi angeli hanno paura di volare,
c’è gente che muore.

Mentre i mezzi busti non trovano accordo, versione di Caino,
la macchina della storia fa dei cadaveri il suo carburante.

Mentre guardi un atleta segnare, controlli l’ultimo estratto-conto,
o canti la ninnananna al tuo bambino,
c’è gente che muore.

Il Tempo, che con la punta tagliente del suo pennino
assetato di sangue separa le vittime dagli assassini,
scriverà tra questi il nome di quelli come te.”

Gemme n° 147

fiabrusse

Ho portato un libro di fiabe di una collana che mia madre mi leggeva quando ero piccola. Non dormivo senza fiaba. Il libro mi ricorda i tempi dell’infanzia, mia madre quando ero piccola. Era tutto senza i problemi di adesso”. Sono state le parole con cui I. (classe terza) ha presentato la propria gemma. Tengo sempre conservata nel cuore l’idea di portarmi sempre dietro un po’ della mia infanzia, del mio essere bambino.
Dice Clelia Canè: “I bambini devono poter credere che la magia esiste, esiste in ognuno di noi, nei nostri ideali, nelle scelte che ci guidano e negli insegnamenti che ci aiutano a crescere. La magia è la vita e l’amore è il motore della vita. Amare, credere, sognare e sperare sono le ali che ci permettono di spiccare il volo. Ai bambini dico «Abbiate il coraggio di aprire le vostre ali e volate in alto, sempre più su! Prendete in mano il vostro sogno e fatene una grandiosa realtà!»”.