“Ho portato un video ambientato a scuola con un prof che cerca di tener uniti tutti gli alunni senza distinzioni, con il coinvolgimento di alunni diversamente abili”. Così P. (classe quarta) ha introdotto la propria gemma.
Due sono le cose che mi hanno colpito guardando il video. La prima è che sembra che ognuno abbia dato il proprio contributo sentendosi parte di quello che sta facendo. Prese singolarmente le sequenze non hanno molto senso, ma viste nell’insieme hanno tutt’altro peso. La seconda è la modalità con cui sono fatti questi video, la cui diffusione è esplosa in questi ultimi anni. I protagonisti generalmente camminano in avanti, procedono e noi non riusciamo a intravvedere la strada che li attende. Non sappiamo dove stiano andando: loro vedono, mentre noi indietreggiamo guardandoli. Il loro futuro è proiettato alle nostre spalle. Siamo noi a temere, molto più di loro. Ci dobbiamo fidare, come alla fine ha fatto questo padre nei confronti del figlio. Invito a leggere il breve scambio, poi dico di chi è il padre (e quindi il figlio).
– Dove sei stato?
– Con Dave, Adam e gli altri.
– Ancora con questo gruppo?
– Sì, perché?
– Non ti porterà da nessuna parte, lo sai meglio di me.
– Vedremo. Vedremo, papà.
– Stai perdendo il tuo tempo, Paul. Fai come Norman, cercati un lavoro, guarda gli annunci. A Dublino qualcosa si trova.
– Questa cosa con la band potrebbe farci guadagnare dei soldi.
– Un lavoro vero, intendo. Che razza di mestiere è quello che fareste voi, eh?
– Suonare. Lo fanno in tanti in città.
– Lascialo fare agli altri, allora. Senti Paulie, lo fai un patto con me?
– Che tipo di patto?
– Ti do un anno di tempo. Puoi stare a vivere qui ancora un anno, ma se alla fine di quest’anno non hai trovato un lavoro, beh, allora te ne devi andare.
– Mi sta bene.
E’ un dialogo tra Bob Hewson e suo figlio Paul David Hewson, in arte Bono, leader degli U2 (Da “U2. The name of love” di Andrea Morandi).