Oggi è la volta di Antonio Miggiani, Sostituto Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Trieste. Non si è dilungato molto nel suo intervento di sabato 2 febbraio a Contromafie, ma ha comunque offerto degli interessanti spunti di riflessione, soprattutto per la situazione del Friuli Venezia Giulia e toccando i temi della corruzione e dell’omertà.

“La Procura di Trieste ha competenza per l’intero Friuli Venezia Giulia. Il Friuli Venezia Giulia era un’isola felice fino a qualche anno fa, ma purtroppo, ormai, la situazione è radicalmente cambiata: senz’altro ci sono delle pesanti infiltrazioni da parte di mafia siciliana, camorra e ‘ndrangheta. E’ una mafia che agisce con caratteristiche molto diverse rispetto alla mafia omologa che agisce in territori di mafia come le nostre regioni del sud. E’ una mafia imprenditrice, non è la mafia sanguinaria della Sicilia o della Calabria; non si registrano omicidi di mafia, però è imprenditrice perché i denari che vengono acquisiti attraverso le attività illecite di associazione mafiosa (finalizzata a realizzare un dominio economico) vengono utilizzati al nord. […] All’interno delle attività la mafia fa delle scelte preferenziali: investimento immobiliare, gestione di esercizi pubblici, pizzerie, ristorazione, settore turistico e alberghiero. La mafia interviene quindi in una regione come il Friuli Venezia Giulia, una regione che era sana fino a qualche tempo fa, dove vi era una imprenditoria corretta, dalla notevole ricchezza, e interviene per fare business. E’ un’infiltrazione decisamente pericolosa. Siamo in una situazione di crisi economica generalizzata e gli unici soggetti che hanno possibilità economica sono proprio i mafiosi! E i loro soldi da dove vengono? O dal business delle estorsioni, che per fortuna non riguardano il nostro territorio, o da quello degli stupefacenti, gestito dalla ‘ndrangheta a livello internazionale. Questi profitti enormi vengono investiti in attività economiche lecite.
Come agisce la mafia? Attraverso il principio del minimo mezzo. La mafia uccide solo in ultima istanza. Essa vuole raggiungere un determinato obiettivo; se delle persone o delle forze le si oppongono, la prima cosa che fa la mafia è cercare di rabbonirle corrompendole, cerca di portarle dalla sua parte con l’uso del denaro. Se questo non riesce e se l’obiettivo è strategico per l’organizzazione mafiosa, allora si fa il salto di qualità e si va al delitto. La mafia punta a creare un sistema corruttivo. Purtroppo noi sappiamo che in Italia esiste una grande corruzione ed esiste una piccola corruzione; purtroppo sul tema non c’è stata l’attenzione necessaria e registro con soddisfazione la nuova legge entrata in vigore il 31 gennaio, la numero 3 del 2019, la cosiddetta “spazzacorrotti”. Intanto ha messo fine ad una caratteristica solo italiana, che cioè esisteva una amnistia permanente che era la prescrizione. Inoltre ora la polizia giudiziaria può agire come agente provocatore, può fingersi agente corruttore per provare un reato. In più vi è anche l’inasprimento di alcune fattispecie di reato.
L’acquisizione della prova di reato è spesso problematica perché la corruzione crea un regime di omertà che è molto difficile scalfire; nel nostro ordinamento giuridico non viene colpito solo il pubblico amministratore ma anche il privato, entrambi rispondono del reato, e ciò crea un interesse comune a non dire nulla. E il reato di corruzione è un reato seriale: il pubblico amministratore corrotto non si fa corrompere una sola volta, ma lo fa diventare sistema di vita. A sua volta il corruttore nel privato ha interesse ad avere determinati benefici o determinate corsie preferenziali nello svolgimento della sua attività economica. Ciò crea un muro di omertà in tutto simile a quello creato dalle mafie. L’unica differenza potrebbe essere che l’omertà mafiosa dei classici territori mafiosi è di tipo passivo, nel senso che la popolazione subisce la mafia, tutti sanno chi è il mafioso e tutti lo temono, mentre nel nostro territorio noi non sappiamo chi sono i mafiosi e non percepiamo il pericolo e ci rendiamo partecipi di una omertà interessata di tipo attivo. Se poi denunciassimo ci troveremmo coinvolti nel procedimento. Ma ecco la novità della nuova legge: se il corruttore o il corrotto fa denuncia entro quattro mesi dal fatto, senza che sia intervenuta l’iscrizione al registro del reato, non viene punito. […]
Desidero anche sottolineare che la polizia giudiziaria non è addestrata per perseguire il reato di corruzione, prodromico all’associazione per delinquere di tipo mafioso. E’ una mancanza che va colmata.”