Gemma n° 1813

“Ero molto indecisa sulla gemma da portare, avrei voluto portare delle foto della mia estate o degli ultimi anni con i miei amici, ma avrei sempre percepito di lasciar fuori qualcosa e quindi ho deciso di parlare di qualcosa di me di più profondo e che magari è più del mio passato che del mio presente, anche se si ripercuote pure nel presente. La canzone che mi ha portato a questa riflessione parla di accettazione sociale ed è dei Pinguini Tattici Nucleari:

Quando l’ho ascoltata la prima volta ho pensato: Oddio, ma parla di me! Da piccola ho avuto delle amiche con cui stare, ma ho sempre percepito di non poter far parte di un gruppo più grande: vedevo tante persone che riuscivano a stare sempre bene con tutti, mentre io, pur avendo questa volontà di voler star bene con le persone che incontro, non riuscivo mai a sentirmi totalmente accettata da un gruppo. Alle elementari le femmine giocavano solo con le bambole e io giocavo ai videogiochi, allora mi avvicinavo ai maschi però a loro non piaceva ciò a cui giocavo io e mi prendevano in giro perché ero suscettibile ed ero sempre la sfigatella incapace a fare qualsiasi cosa nonostante cercassi di mostrarmi forte. Ho sempre avuto molta paura dei giudizi, soprattutto alle media dove sono stata bullizzata dalle compagne di classe e, come dice la canzone, “io ingenua cadevo ma ero comunque contenta da morire (chiudevo un occhio su come mi trattavano gli altri) o da morirci (perché in fondo mi faceva male)”. Non capivo che il mare era pieno di pesci e che in futuro avrei trovato delle persone con cui stare veramente bene; a quel tempo per me al mare non si sciava, mentre vi si può sciare in altro modo. Una cosa che mi sorridere è che al cantante dicevano che sciare non faceva per lui e di andare a giocare a basket; io mi ostinavo a cercare di giocare a basket e mi dicevano di andare a sciare. Tuttora ho alcune paure di non essere accettata ma le sto affrontando: sono uscita dall’utopia che avevo da piccola di poter star bene con tutti e riesco ad adattarmi senza negare me stessa.”

Mi ha suscitato molti pensieri la gemma di A. (classe quarta). Su tutti questi pensieri sono emersi quelli legati a delle parole che, talvolta, da insegnante, mi sento in dovere di dire a qualche studente e genitore: “state valutando se questa scuola sia la scelta giusta?”. Si tratta di una domanda delicata perché può andare a toccare dei vissuti, dei pregressi, può andare a suscitare dei “te l’avevo detto” o “ecco, siete contenti?”. Insomma, può innescare delle dinamiche potenzialmente esplosive che invece hanno bisogno di venire alla luce per essere curate per il bene di quello studente. E’ una domanda che non presuppone un fallimento ma una valutazione. Che senso ha investire infinite risorse, molteplici ore di lavoro, numerosissime gocce di sudore per quella che è la strada sbagliata? Ho fatto un anno e mezzo di scienze geologiche prima di capire che non era la via giusta per me; aver cambiato mi ha regalato la felicità… Lo so che la gemma di A. parla di sentirsi o meno accettati dagli altri, ma passa inevitabilmente prima per il sentirsi o meno accettati da se stessi.

Gemma n° 1812

Ha mostrato una foto G. (classe quarta) per iniziare a parlare della sua gemma: “E’ una rosa del 14 febbraio 2021, giorno di San Valentino e del terzo meseversario col mio attuale ragazzo. E’ la prima rosa che mi ha regalato; non so perché ci sia così affezionata, però quando l’ho tenuta in camera un mese mia mamma ha deciso di metterla in questo contenitore di vetro con delle piccole rose che profumano sotto. La tengo sul comodino e quando mi sento un po’ giù mi metto a guardarla, sia perché mi ricorda una bella giornata sia perché al mio ragazzo sono molto affezionata anche come persona non solo perché è il mio ragazzo. Non vorrei mai perderlo né da un punto di vista amoroso né come amico: lo voglio presente nella mia vita. Poi, dopo varie sollecitazioni, me ne ha regalate anche altre ma a questa resto particolarmente affezionata e spero rimanga integra il più a lungo possibile”.

Da ragazzo ho fatto l’animatore in Parrocchia e mi è capitato spesso di utilizzare dei racconti di Bruno Ferrero. Il primo suo libro che ho acquistato si intitola L’importante è la rosa e contiene questo racconto/aneddoto:
“Il poeta tedesco Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata.
Un angolo di questa via era permanentemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti. La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo. Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.
Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta: «Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?».
«Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani», rispose il poeta.
Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene. Allora accadde qualcosa d’inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell’uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.
Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via. Silenziosa e immobile come sempre.
«Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?», chiese la giovane francese.
«Della rosa», rispose il poeta.”

La pagina del libricino si chiude poi con le parole di Antoine de Saint-Exupéry: «Esiste un solo problema, uno solo sulla terra. Come ridare all’umanità un significato spirituale, suscitare un’inquietudine dello spirito. E’ necessario che l’umanità venga irrorata dall’alto e scenda su di lei qualcosa che assomigli a un canto gregoriano. Vedete, non si può continuare a vivere occupandosi soltanto di frigoriferi, politica, bilanci e parole crociate. Non è possibile andare avanti così».

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