
“Volevo raccontare un aneddoto che mi è stato raccontato da mia zia. Nel 2011 è mancata la mia bisnonna materna e mia zia era con lei; è poi venuta a casa nostra per avvisare mia mamma. Ricordo che mi sono seduta vicino alla mamma e, vedendola con gli occhi lucidi, le ho chiesto se fosse triste e cosa fosse successo. Lei mi ha risposto che era mancata sua nonna, però mi ha detto che non era triste perché colpita da una cosa che le aveva raccontato sua sorella: negli attimi prima di morire la zia stava parlando con la bisnonna e si era accorta che non rispondeva più e che guardava un punto indefinito. Ha sorriso e ha chiuso gli occhi. Questa cosa mi fa sempre emozionare quando la racconto, anzi, mi fa salire un nodo alla gola perché è poetica e bellissima e, secondo me, dà alla morte un significato che nessuno riuscirebbe mai a dare. La morte spesso può essere anche liberazione: la bisnonna io non l’ho conosciuta nel pieno della sua vita, l’ho sempre vista costretta a letto a causa di una malattia. Ecco, forse più che liberazione, quella scena è la certezza che la morte non è solo paura, ma forse un abbandonarsi a una gioia, a qualcosa che vedi di più. Forse quel giorno lì lei ha sentito un grande amore, una grande gioia e ha detto “è la mia ora e io sono contenta di affidarmi a quello che viene”. Questo mi dà forza e mi aiuta a concepire la morte in maniera più serena, soprattutto in questo periodo”.
Amo leggere David Maria Turoldo, trovo così tanta affinità tra i miei pensieri e le sue parole che non di rado mi sono emozionato coi suoi versi. Tuttavia, a commento della gemma di B. (classe quarta), non pubblico una sua poesia, ma un brevissimo estratto di un’intervista del 1991: “Per me la morte è sempre stata come una fessura attraverso cui guardare i colori della vita, apprezzarne i valori. La morte è una presenza positiva, fa apprezzare meglio il tempo, fa giudicare meglio le cose. Ogni mattina dico, se questo è il mio ultimo giorno non posso perderlo. Vivo ogni giorno, non come fosse l’ultimo, ma il primo. Penso che non ci sia nemmeno un di qua e un di là, ma semplicemente un prima e un dopo. Una continuità. Questo certamente è il senso misterioso della nostra fede, ma non è assolutamente un discorso che si fa soltanto per chi ha fede. Il discorso sulla continuità della vita, si può farlo anche con chi non crede, con chi non ha fede. Non è un discorso consolatorio, ma di constatazione. Io posso anche dire «non so come sarà dopo», ma nessuno mi può dire che non ci sia”.