Gemma n° 1822

“Ho portato il mio boccaglio, ce l’ho da molto e sono sicuro che lo userò ancora per tantissimi anni perché sarà importante per le mie future avventure”.

Questa è stata la gemma lampo di R. (classe quarta). Approfitto del tema al centro della sua gemma  per citare una frase di Mark Twain che vuole anche essere un augurio per quello che potrebbe attendere R. nei prossimi mesi: “Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avrete fatto, che per quelle che avrete fatto. Quindi levate l’ancora, allontanatevi dal porto sicuro, prendete i venti con le vostre vele. Esplorate, sognate, scoprite!”.

Gemma n° 1821

“Questa canzone mi ricorda il periodo della quarantena: verso l’ora di cena, quando c’era il tramonto, salivo su un muretto di un angolo del mio giardino e da lì vedevo una palma dei miei vicini. Lì, insieme ai miei cani, me ne stavo tranquilla, ascoltavo musica e apprezzavo la presenza di questa palma al tramonto anche se la situazione intorno a me non era il massimo, non tanto per questioni di salute ma per la situazione in sé. E’ poi un genere musicale che condivido con mio fratello.”

Devo dire che è inusuale la scelta musicale di Q. (classe quinta): si tratta della versione più famosa del brano Garota de Ipanema, quella di Stan Getz e João Gilberto, The girl from Ipanema.
Non mi muovo dal Brasile e recupero una frase di Paulo Coelho: “Gli uomini si dividono in quelli che costruiscono e quelli che piantano. I costruttori concludono il loro lavoro e, presto o tardi, sono colti dalla noia. Quelli che piantano sono soggetti a piogge o tempeste, ma il giardino non cesserà mai di crescere”. Ecco, ho la sensazione che Q. e chi, come lei, abbia cercato un luogo rigenerativo durante la quarantena, si sia comportato un po’ come “quelli che piantano”…

Gemma n° 1820

“Ho portato due foto: le abbiamo fatte molto a caso ma volevo portarle perché è il primo anno in cui mi sento veramente parte di un gruppo a livello di amicizie. Non che gli anni scorsi sia stata male, ma quest’anno mi sento molto più libera, in particolare per le persone presenti nelle foto”.

V. (classe quinta) ha messo insieme due valori che sono spesso al centro delle nostre attenzioni: la libertà e l’amicizia. Una sequenza tratta dalla serie tv Felicity: due amiche hanno appena terminato di discutere, si avvicina un uomo e dice loro:

“Se ho capito bene, ragazze, e ho la certezza d’aver capito bene, voi due vi siete incontrate quando eravate terribilmente sole, e forse anche un po’ disperate, e avevate entrambe bisogno di amicizia. Ciascuna di voi due ha subito deciso che l’altra era la sua migliore amica, ma era un po’ troppo presto, non credete? Perché quello che c’era tra di voi non era una grande amicizia! Io ho avuto un migliore amico per sessantatre anni. Siamo stati ragazzi insieme, abbiamo fatto la guerra insieme. Sessantatre anni. La verità è che non si trova un migliore amico: migliore amico si diventa! Non accade in un incontro, in un anno o due. L’amicizia è paragonabile a una scatola, e se quello che ci mettete dentro è prezioso, durerà! Giudicare la vostra amicizia dopo solo un anno, anche se sono accaduti tanti fatti, è come giudicare un film prima di aver visto il secondo tempo. In conclusione, non credo che voi due foste grandi amiche.”
E aggiunge: “Sono due le cose che possono accadere: o col tempo riuscirete a diventare quello che vi illudevate soltanto di essere, oppure diventerete un ricordo che pian piano, purtroppo, svanirà nel nulla.”

Gemma n° 1819

Ha lasciato che il suo iPad si caricasse per tutta l’ora e alla fine M. (classe quinta) ha presentato la sua gemma.

“Ho deciso di portare come gemma il mio anno all’estero e in particolare le persone che porto nel mio cuore. Ho avuto modo di conoscere molte persone e di stringere rapporti davvero importanti. Ciò mi sta molto a cuore: ho avuto solo 10 mesi di tempo per conoscere e stare con queste persone e quindi abbiamo cercato di approfittare di ogni momento. Tornata in Italia ho sentito molto la mancanza di tutto questo. Ho portato alcune foto. Emerge in particolare il rapporto con la mia compagna di stanza: è arrivata nella mia famiglia perché la sua era un disastro e siamo finite in quarantena, chiuse dentro la nostra camera in quanto le uniche della casa negative. Siamo molto diverse e abbiamo litigato tanto tanto tanto, ma ora siamo molto unite. Vi sono poi altre amiche molto importanti con le quali ho condiviso tanti viaggi e tante esperienze; quando penso all’Inghilterra ormai penso a loro e ai momenti vissuti insieme. Abbiamo anche deciso di tornarci insieme per una settimana.”

M. ha descritto un viaggio sostanzialmente durato 10 mesi e che non si è concluso al suo ritorno, perché, terminato quello fisico, per lei è iniziato un altro viaggio. Lo si può comprendere attraverso una canzone dei Negrita di più di 15 anni fa, Rotolando verso sud, le cui prime parole dicono: “Ogni nome è un uomo ed ogni uomo è solo quello che scoprirà inseguendo le distanze dentro sé. Quante deviazioni, quali direzioni e quali no? prima di restare in equilibrio per un po’… Sogno un viaggio morbido, dentro al mio spirito e vado via, vado via, mi vida così sia”. Il viaggio qui è dichiaratamente metaforico, è quel percorso compreso tra una distanza e l’altra presente all’interno di ogni uomo, è quello spazio che sta tra un momento di equilibrio e l’altro. E’ una condizione tipica dell’uomo, non vi si può sottrarre, è la vita stessa. Rinunciare al viaggio è rinunciare a vivere: “mi vida così sia”.

Gemma n° 1818

“La mia gemma ce l’ho al collo ogni giorno: è un portafortuna, un coniglio con all’interno dell’ambra. Lo considero un oggetto molto importante: l’ho preso in Polonia, terra a cui sono molto legata, e rappresenta l’unico animale domestico che ho e, penso, avrò nella mia vita. Da piccola lo desideravo tanto e alla fine il sogno si è realizzato grazie a una persona molto significativa per me (è lei che mi ha preso sia il coniglio che il ciondolo). L’abbiamo cercato a lungo per le bancarelle di Cracovia e il fatto che questa persona abbia perso del tempo per rendermi felice dà molto valore a questo oggetto”.

Ecco la gemma di K. (classe quinta). Bene, ora immaginate di essere in giro con lei, ma non lungo le strade della meridionale Cracovia, bensì lungo la costa settentrionale della Polonia bagnata dalle acque del Baltico. E fatevi prendere per mano da questa leggenda sull’ambra che ho trovato in rete:
“Quando regnava ancora Perkunas dio del Tuono, nel fondo del Mar Baltico sorgeva il palazzo d’ambra di cui Jurate, la più bella tra tutte le dee era la regina.
Un giorno il giovane Kastytis, eccellente pescatore, decise di buttare le proprie reti alla foce del fiume Sventoji catturando così tutti i pesci che provavano a raggiungere il mare.
La notizia giunse al palazzo della regina, che preoccupata dalla situazione inviò le sue fedeli sirene a parlare con il giovane pescatore per convincerlo a ritirare le proprie trappole. Arrivate sul luogo di pesca accusarono Kastytis di impoverire la fauna del mare, ma lo scaltro pescatore si discolpò affermando di stare semplicemente lavando le reti nell’acqua e che i pesci ci si incagliavano senza il suo volere. Le sirene spiazzate dalla risposta tornarono al castello informando Jurate, che furiosa decise di andare a parlare di persona con il disobbediente Kastytis.
Al primo sguardo i due si innamorarono l’uno dell’altra e decisero di andare a vivere insieme nel palazzo d’ambra della dea ma il loro amore durò ben poco. Perkunas dio del tuono e padre di tutti gli dei aveva promesso Jurate in sposa a Patrimpas dio dell’acqua e quando vide i due innamorati andò su tutte le furie. In preda alla collera scagliò una freccia verso il palazzo che venne frantumato in migliaia di piccoli pezzettini d’ambra.
Il giovane morì nell’impatto, mentre la dea fu punita per la sua negligenza. Venne incatenata ad una roccia sul fondo del mare dove ancora oggi piange per il sua amore perduto, alcune volte il pianto si fa così straziante che le onde del mare, generalmente fredde e calme non riescono a trattenersi e infuriano anche loro. Le onde smuovono i pezzetti d’ambra del vecchio palazzo sedimentati sul fondo marino e li trasportano fino alla riva. Così che i pezzetti più grossi appaiono sulla sabbia. Sono le lacrime della regina: pure e limpide, com’era l’amore tra Jurate e Kastytis.”

Gemma n° 1817

L. (classe quinta) ha acceso il suo iPad e ha proiettato due foto: “Sono due foto con mia mamma perché la mia gemma è il nostro rapporto. Fino a poco tempo fa spesso facevo le cose senza dirle niente e quando veniva fuori che magari ero uscita litigavamo sempre; non capivo di sbagliare, me la prendevo sempre con lei e pensavo fosse cattiva. Col tempo sono cambiata e ora ho un bellissimo rapporto con lei, parliamo di tutto e non mi sento imbarazzata su niente perché mi sento a mio agio. Usciamo spesso anche da sole senza il resto della famiglia e talvolta ci scambiano per sorelle e per me lei non è solo una mamma ma anche un’amica; anche in casa, quando combiniamo qualcosa, siamo complici”.

Devo dire che in questi anni sono più frequenti le gemme d’amore nei confronti dei nonni rispetto a quelle nei confronti dei genitori, anche se comunque più frequenti rispetto al passato. Il poeta bengalese Rabindranath Tagore scriveva: “Il bambino chiama la mamma e domanda: “Da dove sono venuto? Dove mi hai raccolto?”. La mamma ascolta, piange e sorride mentre stringe al petto il suo bambino: “Eri un desiderio dentro al cuore”.” Ecco, quel de-siderio, quella mancanza di una stella (de-, distanza e – sidera, stelle) che dia senso al tuo cielo, è ciò che fa sì che quella relazione sia così forte, quell’amore così totale.

Gemma n° 1816

“Una foto di quand’ero piccola perché ho deciso di dedicare questa gemma a me stessa: in questo periodo sono cresciuta molto personalmente, ho avuto un grande cambiamento soprattutto caratteriale grazie alle persone che mi sono sempre state vicine. Ho sempre dato molto peso al giudizio degli altri e per questo motivo non mi sono mai esposta: ora sono molto più sicura di me stessa e dedico più tempo a piacere a me stessa che agli altri”.

Con queste parole L. (classe quinta) ha presentato la sua gemma. Da qualche parte ho letto una storia buddhista sulla facilità che abbiamo nel giudicare e nel mettere un’etichetta su tutto; non trovo più il libro ma la rete mi è venuta in soccorso. Ecco qui:
“Un vecchio contadino per anni aveva coltivato i suoi raccolti lavorando moltissimo.
Un giorno il suo cavallo fuggì e i vicini gli dissero che era stata proprio una sfortuna perderlo ma il contadino rispose “forse”.
Il cavallo, il giorno seguente, tornò insieme ad altri 3 cavalli. I vicini dissero che era una meraviglia ma il contadino rispose di nuovo “forse”.
Il giorno dopo il figlio del contadino provò a cavalcare uno dei nuovi cavalli ma si ruppe una gamba. I vicini gridarono alla sfortuna e l’agricoltore rispose ancora una volta “forse”.
Il giorno seguente dei soldati vennero ad assoldare giovani uomini nell’esercito ma il figlio del contadino non venne chiamato dato che aveva la gamba rotta. I vicini dichiararono che era stata una vera fortuna. Ma il contadino, come sempre, rispose “forse”.”

Gemma n° 1815

“Sin da piccola sono stata appassionata di cinema perché per me è un modo per scappare dalla realtà e trovare un rifugio. Prendo tre film che hanno influenzato la mia vita e il mio modo di pensare e per i quali è scattato qualcosa di diverso: quando guardo un film lo analizzo, non mi faccio mai trasportare emotivamente, ma non per questi tre film che segnano anche tre parti della mia vita. Da piccola avevo un’ossessione per Il re leone: lo guardavo ogni singolo giorno e mia nonna era disperata, non ne poteva più. Questa storia di redenzione, di tornare sui propri passi, di destino ineluttabile a me piaceva molto e colori e musiche mi davano quella gioia che spesso non riuscivo a trovare durante la mia giornata. Era un po’ come se mi sentissi a casa in questi ambienti africani. Alle medie le cose non sono cambiate molto per me, finché un giorno, presa dalla noia, ho guardato Prova a prendermi di Steven Spielberg: almeno una volta al mese lo riguardavo, pur provando pena e compassione. Mi ritrovavo nel personaggio di Frank, un ragazzo che ha paura, molto intelligente e che sostanzialmente vuole solo scappare dalla realtà, vuole vivere sotto mentite spoglie un’altra vita per poter essere felice quando in realtà si ritrova solo. Alla fine viene preso perché la vita è così. Negli ultimi anni, quando ero in Danimarca ho deciso di andare a vedere con i miei amici Jojo Rabbit: è stato amore a prima vista, nonostante mi abbiano costretta ad andare a vederlo e mi abbiano pure pagato il biglietto! Questo perché odio tutta la rappresentazione visiva che abbia a che fare con l’Olocausto perché mi hanno traumatizzata da piccola e mi costringevano con la forza a guardare, per la giornata della Shoah, immagini e film. Questo film invece è fresco, innovativo, giovane, divertente: nella scena finale ricordo che stavo sia ridendo che piangendo. Mi ha fatto riaprire, mi ha fatto vivere una storia da un punto di vista diverso che mi ha fatto anche ricredere su alcune mie vecchie convinzioni e riaprire porte che pensavo di aver chiuso definitivamente. lo riguardo ogni volta che ho bisogno di riprovare quelle emozioni di gioia e tristezza allo stesso tempo, quando ho voglia di provare dei sentimenti”.

Ho provato le stesse emozioni di G. (classe quarta) espresse per il terzo film quando ho guardato per la prima volta Train de vie di Radu Mihăileanu. Gli abitanti di uno shtetl, per sfuggire alle grinfie naziste, decidono di investire tutti i loro averi nell’acquisto di un treno, suddividersi tra ebrei (quali essi sono realmente) e soldati tedeschi, e intraprendere un continuo viaggio per l’Europa fingendo la deportazione (e puntando alla Palestina attraverso la Russia). In questa sequenza ecco il misto di incredibile ilarità (sottolineo la chicca di un partigiano “Stiamo scrivendo la storia ma non so come interpretarla”) e profonda riflessione, tra l’altro condotta da Shlomo, il matto del villaggio!

Gemma n° 1814

“Ero molto indecisa perché non sentivo che ci fosse una cosa che veramente volevo portare, poi ho pensato di parlare di qualcosa che mi influenza tutti i giorni: la mia gatta. Durante il lockdown è stato bello averla lì. All’inizio sono stata in isolamento e ai tempi non si sapeva se gli animali potessero entrare nell’isolamento ma ho dovuto lasciarla entrare altrimenti stava tutto il giorno a piangere fuori dalla porta. Dalla mattina alla sera lei stava sempre con me senza mai uscire se non una volta al giorno e per me la sua presenza è stata molto importante”.

Questa la gemma di M. (classe quarta) Scrive lo psicoanalista statunitense Jeffrey Moussaieff Masson: “Forse i gatti sono qui per insegnarci questo: a vivere l’attimo in modo così completo, con un totale coinvolgimento, che lo faccia durare in eterno”.

Gemma n° 1813

“Ero molto indecisa sulla gemma da portare, avrei voluto portare delle foto della mia estate o degli ultimi anni con i miei amici, ma avrei sempre percepito di lasciar fuori qualcosa e quindi ho deciso di parlare di qualcosa di me di più profondo e che magari è più del mio passato che del mio presente, anche se si ripercuote pure nel presente. La canzone che mi ha portato a questa riflessione parla di accettazione sociale ed è dei Pinguini Tattici Nucleari:

Quando l’ho ascoltata la prima volta ho pensato: Oddio, ma parla di me! Da piccola ho avuto delle amiche con cui stare, ma ho sempre percepito di non poter far parte di un gruppo più grande: vedevo tante persone che riuscivano a stare sempre bene con tutti, mentre io, pur avendo questa volontà di voler star bene con le persone che incontro, non riuscivo mai a sentirmi totalmente accettata da un gruppo. Alle elementari le femmine giocavano solo con le bambole e io giocavo ai videogiochi, allora mi avvicinavo ai maschi però a loro non piaceva ciò a cui giocavo io e mi prendevano in giro perché ero suscettibile ed ero sempre la sfigatella incapace a fare qualsiasi cosa nonostante cercassi di mostrarmi forte. Ho sempre avuto molta paura dei giudizi, soprattutto alle media dove sono stata bullizzata dalle compagne di classe e, come dice la canzone, “io ingenua cadevo ma ero comunque contenta da morire (chiudevo un occhio su come mi trattavano gli altri) o da morirci (perché in fondo mi faceva male)”. Non capivo che il mare era pieno di pesci e che in futuro avrei trovato delle persone con cui stare veramente bene; a quel tempo per me al mare non si sciava, mentre vi si può sciare in altro modo. Una cosa che mi sorridere è che al cantante dicevano che sciare non faceva per lui e di andare a giocare a basket; io mi ostinavo a cercare di giocare a basket e mi dicevano di andare a sciare. Tuttora ho alcune paure di non essere accettata ma le sto affrontando: sono uscita dall’utopia che avevo da piccola di poter star bene con tutti e riesco ad adattarmi senza negare me stessa.”

Mi ha suscitato molti pensieri la gemma di A. (classe quarta). Su tutti questi pensieri sono emersi quelli legati a delle parole che, talvolta, da insegnante, mi sento in dovere di dire a qualche studente e genitore: “state valutando se questa scuola sia la scelta giusta?”. Si tratta di una domanda delicata perché può andare a toccare dei vissuti, dei pregressi, può andare a suscitare dei “te l’avevo detto” o “ecco, siete contenti?”. Insomma, può innescare delle dinamiche potenzialmente esplosive che invece hanno bisogno di venire alla luce per essere curate per il bene di quello studente. E’ una domanda che non presuppone un fallimento ma una valutazione. Che senso ha investire infinite risorse, molteplici ore di lavoro, numerosissime gocce di sudore per quella che è la strada sbagliata? Ho fatto un anno e mezzo di scienze geologiche prima di capire che non era la via giusta per me; aver cambiato mi ha regalato la felicità… Lo so che la gemma di A. parla di sentirsi o meno accettati dagli altri, ma passa inevitabilmente prima per il sentirsi o meno accettati da se stessi.

Gemma n° 1812

Ha mostrato una foto G. (classe quarta) per iniziare a parlare della sua gemma: “E’ una rosa del 14 febbraio 2021, giorno di San Valentino e del terzo meseversario col mio attuale ragazzo. E’ la prima rosa che mi ha regalato; non so perché ci sia così affezionata, però quando l’ho tenuta in camera un mese mia mamma ha deciso di metterla in questo contenitore di vetro con delle piccole rose che profumano sotto. La tengo sul comodino e quando mi sento un po’ giù mi metto a guardarla, sia perché mi ricorda una bella giornata sia perché al mio ragazzo sono molto affezionata anche come persona non solo perché è il mio ragazzo. Non vorrei mai perderlo né da un punto di vista amoroso né come amico: lo voglio presente nella mia vita. Poi, dopo varie sollecitazioni, me ne ha regalate anche altre ma a questa resto particolarmente affezionata e spero rimanga integra il più a lungo possibile”.

Da ragazzo ho fatto l’animatore in Parrocchia e mi è capitato spesso di utilizzare dei racconti di Bruno Ferrero. Il primo suo libro che ho acquistato si intitola L’importante è la rosa e contiene questo racconto/aneddoto:
“Il poeta tedesco Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata.
Un angolo di questa via era permanentemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti. La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo. Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.
Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta: «Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?».
«Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani», rispose il poeta.
Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene. Allora accadde qualcosa d’inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell’uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.
Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via. Silenziosa e immobile come sempre.
«Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?», chiese la giovane francese.
«Della rosa», rispose il poeta.”

La pagina del libricino si chiude poi con le parole di Antoine de Saint-Exupéry: «Esiste un solo problema, uno solo sulla terra. Come ridare all’umanità un significato spirituale, suscitare un’inquietudine dello spirito. E’ necessario che l’umanità venga irrorata dall’alto e scenda su di lei qualcosa che assomigli a un canto gregoriano. Vedete, non si può continuare a vivere occupandosi soltanto di frigoriferi, politica, bilanci e parole crociate. Non è possibile andare avanti così».

Gemma n° 1811

“Lei è mia cugina, ha 14 anni, e qui siamo in una foto di questa estate durante la vacanza insieme. Quando qualcuno mi chiede cosa sia la felicità, ecco, per me è il suo benessere. L’anno scorso ha avuto una delle cose peggiori che possano succedere ad una persona, soprattutto quando è molto piccola: è stata ricoverata per due mesi e mezzo in ospedale per depressione e atti di autolesionismo perché ha provato più volte a togliersi la vita. In quelle due settimane che siamo state insieme era così felice e spensierata che è stato un sollievo vederla così dopo mesi in cui era stata tanto male”.

Queste parole pronunciate da B. (classe quarta) sono state, pur nella tranquillità del tono di voce e del lieto fine, un pugno nello stomaco, l’ennesimo che arriva in questi anni. Inutile girarci intorno, inutile non parlarne o far finta di niente. Insegno da più di vent’anni e sono state tante le ragazze e tanti i ragazzi che hanno un vissuto uguale o simile e la grandissima maggioranza di loro ne sono uscite e usciti. Poco più di due mesi fa mio nipote mi ha mandato un link su Wa; alcune delle parole che lo accompagnavano erano “potrebbe essere un ascolto intrigante. è un inedito portato da questo ragazzino 2002 ieri ad xfactor”.

Laura, Marco, Pietro e Anna, i nomi citati dal cantante gIANMARIA, forse vivono situazioni distanti o non assimiliabili a quelle vissute da chi mi è passato davanti agli occhi, ma certo rappresentano i vissuti di tante, troppe persone che ad un certo punto avvertono che la sofferenza che stanno vivendo sia troppa, che il non senso che che le accompagna sia senza ritorno. Il pezzo si conclude con la ripetizione di queste parole: “e cosa vuoi per questo sabato sto in sto palazzo, a parlar con loro e a guardar che si ammazzano, nel mio film si ripete fino a qui tutto bene, per ogni piano e ad ogni piano perché è così che gli conviene”. Vi colgo un rimando diretto al film L’odio di Kassovitz, in cui, verso la fine una voce fuori campo pronuncia queste parole: “È la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani… A ogni piano, mentre cade, l’uomo non smette di ripetere: “Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene”. Questo per dire che l’importante non è la caduta ma l’atterraggio.” Nella vita succede di cadere e durante la caduta ci sono tante fasi e tanti stati d’animo; sicuramente a fare la differenza è l’atterraggio che ti può dar modo di rialzarti più o meno facilmente o purtroppo di non rialzarti proprio. So solo che mentre sono lì a guardare la caduta e cerco di fare quanto è nelle mie possibilità spero solo che o si apra un paracadute che qualcuno ti lancia o che si aprano quelle benedette ali presenti in ciascuno e che magari non sai di avere o che magari sono solo troppo rattrappite o deboli per spalancarsi e trasformare la caduta in volo. Perché è così che ti conviene.

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