Fato? Fatto!

Ospito ancora una volta un articolo di Ferdinando Camon che si interroga, prendendo spunto da un fatto di cronaca, sul fato, sul destino, su Dio…

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Gli antichi, quattrocento-cinquecento anni prima di Cristo, avebbero detto: «È il Fato». Chi altri potrebb’essere, a volere la morte di un triestino, nel lontano Messico, in un incidente così banale come uno scontro stradale? E quando il fratello riceve le ceneri del morto, e le porta sulla montagna più alta delle Alpi Giulie, a 2.745 metri, 800 metri al di sopra del “limite della vegetazione”, per disperderle sul mondo, e viene colpito da un fulmine, che scendendo dal cielo piomba dritto sulla sua scala ferrata come un proiettile sparato da un cecchino dalla mira infallibile, e così folgorato precipita per oltre 40 metri e in breve tempo muore, quale altra causa si può inventare, quale altro colpevole si può accusare, se non il Fato? La morte dei due fratelli Dean, uno in Messico e uno qui sulle Alpi  Giulie, sembra il frutto di una volontà superumana e maligna, alla quale la volontà umana non può sottrarsi. Era un pensiero gentile, civile e umano, quello di portare le ceneri del fratello, morto così lontano, così solo, così fuori della vista e dell’aiuto dei suoi, portarle il più in alto possibile, dove la vegetazione non cresce più, e sei nudo sotto il nudo cielo, esposto allo sguardo di chi dà la vita e la toglie, e da lì spargerle e lasciarle trasportare dai venti: è come depositare il fratello su tutto il mondo, in un ultimo abbraccio globale. Del resto, questa era la volontà del morto: dopo la morte, disperdersi sul mondo.  Chi ama la montagna, sa come il trovarsi al di sopra del limite della vegetazione dia il senso di un contatto con l’assoluto, il supremo, quel qualcosa che era prima della vita e che è dopo la morte. Gli antichi lo chiamavano Fato, e lo collocavano al di sopra degli dèi. Gli dèi stessi ne avevano paura. Qui il Fato, o chi per lui, ha visto il fratello salire per le montagne, portando le ceneri del fratello morto, per spargerle all’aria col gesto con cui il vivo saluta il morto, un gesto che nessuno ha mai insegnato ma che ognuno impara da sé, perché sta sepolto nell’inconscio di ognuno. Con quel gesto il vivo dice al morto: “Una Forza superiore t’ha strappato a me”. Ma la Forza superiore vedeva e sentiva tutto, e rispondeva: “Ma io non voglio separarvi, io vi voglio prendere tutt’e due”. L’evento che è seguito ha l’astuzia e la malignità dell’agguato: nei cieli si raduna un temporale, dai nuvoloni scoccano tuoni e lampi, un lampo fila dritto sull’uomo inerme che ha appena compiuto un’opera pia, onorare un morto, quell’opera dalla quale, secondo i poeti, trae la sua vera origine la civiltà umana, il lampo di fuoco percorre tutta la scala ferrata e  stacca l’uomo e lo fa precipitare. Con la loro rozza teoria, del Fato che tutto può e contro il quale niente è possibile, gli antichi spiegavano tutto. Noi non possiamo più ragionare così. Noi questi eventi li subiamo e basta. Sono il segno della nostra impotenza, della nostra rassegnazione. La Palma d’Oro di Cannes quest’anno è stata vinta da un film mistico, del regista Malick, all’inizio di questo film una famigliola vive serena e felice in una fattoria americana, è composta di padre madre e tre figli, un figlio muore senza che ci venga detto come e dove, e dalla Terra si sente una voce che sale in alto a chiedere: “Cosa siamo noi per te?”. La risposta dall’alto dà lo sgomento: “Dov’eri tu, quand’io creavo le galassie e gli abissi?”. Già, dov’eravamo noi? Cos’eravamo? Cosa siamo? Cosa sono questi due fratelli, morti uno in Messico e l’altro qui, per pura fatalità? Nell’economia del mondo, non contano niente. Per noi, ci rivelano tutto. Siamo tutti come loro. Esposti ai colpi della fortuna. E senza diritti. Neanche quello di far domande. 

Sul testamento

Traggo dall’ultimo numero della rivista Rocca un articolo che fa molto pensare. Il pezzo è di Raniero La Valle e si può trovare anche sul suo sito http://www.ranierolavalle.it/2011/07/il-falso-testamento.html

5778126038_c6267f28f8_b.jpgUn pessimo segno dei tempi il fatto che il Parlamento, non potendo occuparsi del bene del Paese rimasto in poche sporchissime mani, si sia incattivito nell’impresa di dettare norme su come morire. Costituzionalmente disabile,per come è stato eletto, a provvedere alla vita, si dedica alla morte. Il Parlamento lo fa non solo dettando per legge i termini della «morte naturale», ma intromettendosi in quella sfera personalissima che una volta era il cosiddetto testamento spirituale, nel quale ciascuno pensava se stesso nel momento futuro della morte, per vedere quale fosse l’ultima parola da lasciare ai vivi. Di questa parola il legislatore si appropria, del testamento fa carte false, o anche carta straccia; si chiama testamento biologico, ma in realtà è l’atto di fede in cui una persona dice come crede nella vita: se crede che la vita non stia tutta nella vita fisica, sicché se si lascia questa non è la vita intera che si lascia; se crede alla distinzione tra nuda vita, vegetale o animale che sia, e una vita rivestita dell’umano, e magari umanizzata dallo spirito divino; oppure crede che senza ventilazione non c’è nessuna vita.

È triste e pericolosa una società nella quale si sente il bisogno di fare una legge sulla morte, soprattutto per proibire una buona morte, che in greco si dice eutanasia. Vuol dire che siamo arrivati a un grado di tale sospetto reciproco, di tale sfiducia nei parenti, nei medici, negli infermieri, nei giudici come se tutti fossero lì pronti a toglierci la vita, che c’è bisogno di una legge, di una ferrea norma penale per vietarglielo. Una volta, quando si moriva in casa, e quando le macchine non intercettavano quello che si chiamava «il ritorno alla casa del Padre», ciò sarebbe stato inconcepibile. Ma ora abbiamo a che fare con un legislatore che pretende di estendere il suo controllo su tutte le pieghe della realtà, e con una maggioranza parlamentare che ha patito come uno scacco, come un’intollerabile usurpazione il fatto che la povera Eluana Englaro morisse un attimo prima che un suo sovrano decreto glielo impedisse. Vuole una rivincita su tutte le Eluane Englaro del futuro.

La Chiesa farebbe bene a non mettercisi in mezzo. Per molte ragioni. La più mondana è che se la Chiesa detta alla politica l’agenda etica, una politica cattolica, fatta o ispirata dai cattolici, non è più possibile: è possibile solo una politica ecclesiastica eseguita magari da miscredenti e corrotti per tutt’altri motivi. Fino a quando la Chiesa dei vertici si assume la titolarità delle scelte politiche che giudica per lei rilevanti, la Chiesa della base, cioè i fedeli laici non possono farci niente, ed è inutile auspicare una nuova generazione di politici cattolici e magari proporre ad attempati pionieri di una nuova Dc un codice della Segreteria di Stato arcaicamente chiamandolo codice di Camaldoli. La ragione più ecclesiale è che il declino della Chiesa in Italia, dopo gli anni del Concilio, è cominciato quando essa si è tutta concentrata ed esaurita nella lotta contro il divorzio, e poi in quella dell’aborto, e poi, sempre più polarizzandosi, in quella per la vita «dal concepimento alla morte naturale»; ciò comportava una riduzione del cristianesimo a una sorta di Autorità di garanzia della vita fisica (purché «innocente») e un invilupparsi del movimento cristiano nei movimenti per la vita. Di conseguenza doveva venirne l’arretramento del suo progetto religioso in progetto culturale. La ragione più spirituale è che nella riduzione della fede ad etica, cioè a casistica dei comportamenti ammissibili, si perde l’essenziale del messaggio di salvezza. La religione dei precetti c’era già, erano tanti, ed era il giudaismo. Se c’era da aggiungerne di nuovi, a ogni cambiamento di culture e di tecniche, non c’era bisogno che partorisse Maria. La novità del cristianesimo sta nell’aver portato l’etica, la norma dell’agire, dal dominio della verità al dominio dell’amore, dal regno dell’obbedienza al regno della libertà. Ogni volta la Chiesa fa fatica ad essere la Chiesa di quel messaggio lì: è più semplice affermare una verità, dichiararla oggettiva (in temporale universale e astorica) ed esigere comportamenti conseguenti. L’ultima volta fu quando nella Pacem in terris Giovanni XXIII voleva dire agli uomini che se volevano la pace, dovevano farsi guidare (ducibus) dalla verità, dalla libertà, dalla giustizia e dall’amore. I censori gli obiettarono che non si poteva mettere sullo stesso piano la verità e la libertà, perché il magistero dei recenti pontefici aveva stabilito una gerarchia, era la verità che doveva decidere di tutto, la libertà era vigilata, doveva passare all’esame di chi deteneva la verità. Non parliamo poi dell’amore. Papa Giovanni lasciò quelle parole come stavano. La dignità dell’uomo stava nel poter cercare liberamente la verità, l’etica stava nel farsi discepoli dell’amore di Dio.

… e Ramadan

Prendo da www.ilpost.it 

Il significato spirituale del Ramadan è stato analizzato da molti teologi. Si attribuisce ad esempio al digiuno la dote di insegnare all’uomo l’autodisciplina, l’appartenenza a una comunità, la pazienza e l’amore per Dio. In realtà però nel corso del tempo il Ramadan ha assunto anche altri significati. Foreign Policy ne ha elencati cinque, di cui si parla meno degli altri.

Il Ramadan è un grosso giro d’affari120044838_10.jpg

Il Ramadan è secondo solo al Natale per il livello di consumismo che ormai ha sviluppato. Certo, la produttività durante il mese del digiuno diminuisce, ma i supermercati a Istanbul sono strapieni e per gli autonoleggio di macchine di lusso di Ryad è uno dei periodi migliori dell’anno. Le catene di fast-food offrono pasti speciali durante la notte e in Egitto si compra quasi il doppio del cibo rispetto al solito. Inoltre, visto che durante la notte migliaia di persone sono a casa per celebrare l’interruzione giornaliera del digiuno, i canali televisivi trasmettono i loro programmi più importanti: tra il 25 e il 30 per cento dei guadagni legati alla pubblicità arrivano proprio durante il mese del Ramadan. Persino l’Australia ne risente: durante il periodo immediatamente precedente al Ramadan, le esportazioni di pecore – un lusso che si concedono durante quel mese – schizza fino ad aumentare del 77%.

Il Ramadan è il più grosso prodotto d’esportazione dell’Arabia Saudita

Fino agli anni settanta, la stretta osservanza del Ramadan era limitata ai paesi del mondo musulmano. Poi arrivò la crisi petrolifera del 1973. I petrodollari iniziarono ad affluire nelle casse dei paesi del Golfo Persico, ricoprendo d’oro le monarchie del deserto, che con quei soldi iniziarono anche a costruire moschee e realizzare seminari in tutto il mondo. Regole rigidissime nel trattamento delle donne, nell’educazione e nelle pratiche religiose iniziarono a estendersi anche nelle regioni più remote delle montagne pakistane e nelle pianure del Bangladesh. Oggi ad Aceh, in Indonesia, chi non osserva il Ramadan può essere punito con bastonate. E nel 2009, in Egitto, il Ministro dell’Interno iniziò a inasprire le leggi che fino ad allora consideravano la violazione del digiuno durante il giorno un reato minore.

Il Ramadan è un periodo di pace, ma è stato usato anche come strumento di guerra

La contemplazione religiosa non è sempre stata sinonimo di pace. Il profeta Maometto diede inizio alla battaglia di Badr – la prima vera guerra musulmana contro gli infedeli – durante il mese del Ramadan del 624. E il conflitto del 1973 che gli israeliani chiamano la Guerra del Kippur, è conosciuto come la Guerra del Ramadan in Egitto, Giordania e Siria, che lanciarono il loro attacco a sorpresa durante il digiuno. Più di recente, in Iraq, il mese del Ramadan è stato caratterizzato dagli attacchi dei ribelli contro le truppe dell’esercito americano, raggiungendo il picco di oltre 1.400 attentati nel 2007 (per restare a oggi, si guardi alla Siria, ndr). Ma ci sono stati anche dei casi in cui il Ramadan ha complicato le operazioni militari: durante la battaglia di Tora Bora, alcuni combattenti afgani anti-talebani che erano ormai alle costole di Osama bin Laden decisero di tornare a casa al tramonto per spezzare il digiuno.

La globalizzazione ha cambiato il Ramadan

Per i circa 45 milioni di musulmani che vivono nei paesi occidentali, la stretta osservanza dei precetti religiosi è ormai diventata una questione soprattutto personale. Il lavoro non rallenta in Occidente durante il Ramadan, e quelli che decidono di digiunare devono comunque lavorare a fianco di persone che continuano a mangiare e a bere come se niente fosse. In rete si trovano diverse guide che dispensano consigli su come affrontare la sensazione di solitudine e isolamento, e in alcuni casi sono state previste delle eccezioni per le persone che non vivono in un paese musulmano. Per esempio, le persone che vivono in quei paesi in cui per motivi geografici il sole non tramonta mai durante il mese del Ramadan possono iniziare e finire il digiuno seguendo i ritmi della Mecca, o di qualunque altra città vicina che abbia una successione di alba e tramonto più regolare.

Il Ramadan è il migliore amico dei tiranni

I dittatori di alcuni paesi musulmani fondamentalisti hanno usato spesso il Ramadan per rafforzare la legittimità del loro regime. Turkmenbashi, l’ultimo dittatore neo-stalinista del Turkmenistan, decise di graziare 8.415 prigionieri durante il Ramadan nel 2005; un esempio che più tardi è stato cinicamente seguito anche a Damasco e Algeri. Anche Saddam Hussein – che cercò di vendersi come un fervente musulmano durante gli ultimi anni del suo regime – durante la guerra contro l’Iran offrì per due volte una richiesta di cessate il fuoco nel mese del Ramadan. E nel 2008 – quando l’allora segretario di stato americano Condoleeza Rice andò in visita in Libia – Gheddafi si rifiutò di stringerle la mano prendendo a scusa l’obbligo di non sfiorare una donna durante il periodo di digiuno pur essendo come al solito circondato da uno stuolo di amazzoni, la sua guardia privata tutta al femminile.

C’è Ramadan e…

Traggo dal sito www.sufi.it qualche notizia sul Ramadan iniziato il 1° agosto

Il mese di Ramadan è il nono del calendario islamico, reso doppiamente sacro dall’Islàm per il fatto che è: “Il mese in cui fu rivelato il Corano come guida per gli uomini e prova chiara di retta direzione e salvezza” (Sura II, v. 185).

Il digiuno, durante il sacro mese di Ramadan, è atto basilare di culto, obbligatorio per tutti i musulmani tranne che per alcune categorie di persone. Per legge sono esenti dal digiuno i minorenni, i vecchi, i malati di mente, i malati cronici, i viaggiatori, le donne in stato di gravidanza o che allattano, le persone in età avanzata, nel caso che il digiuno possa comportare un rischio per loro. E’ proibito alle donne musulmane mestruate e in puerperio. La legge ammette e raccomanda anche il digiuno volontario, in determinati giorni dell’anno. Il Corano stabilisce l’obbligo del digiuno: ” O voi che credete! Vi è prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che furono prima di voi, nella speranza che voi possiate divenire timorati di Dio.”  (sura II, v.183)palestina3.jpg

Si tratta di un mese di purificazione, ricco di grazie, e durante il quale, in una delle sue ultime notti dispari, detta Lailatu l-Qadr (notte del destino), le porte del cielo sono più dischiuse. L’Inviato di Dio disse: «Quando arriva il Ramadan vengono aperte le porte del Paradiso, e chiuse quelle del Fuoco, e i demoni vengono legati». Il digiuno dura dalle prime luci dell’alba fino al tramonto; in genere va fatto precedere da un pasto leggero poco prima dell’aurora, detto suhur, per poter affrontare la giornata. Consiste non soltanto nell’astensione da ogni cibo e bevanda, ma anche da qualsiasi contatto sessuale e da ogni cattivo pensiero o azione, durante l’intera giornata fino al tramonto. Non bisogna litigare, né mentire né calunniare. Nella prova del digiuno è più importante il significato spirituale di quello materiale per il fatto che l’uomo obbedisce a un ordine divino. Egli impara a tenere sotto controllo i suoi desideri fisici e supera la sua natura umana.

In considerazione del fatto che i mesi lunari sono alternativamente di 29 e 30 giorni, l’anno lunare in tutto è di 354 giorni e indietro di undici giorni rispetto a quello solare. La legge stabilisce che per dichiarare iniziato il mese del Ramadan non basta il solo calcolo, ma dovrebbero esserci testimoni oculari e affidabili che dichiarino avanti a un qàdi di aver visto la luna. Il digiuno, come la salàt, non è valido se non è preceduto dalla niyyah (intenzione). Dopo la pronuncia della niyyah, si incomincia a digiunare quando incomincia ad albeggiare (aurora).  Il tramonto del sole pone fine al digiuno e l’astinenza viene interrotta mangiando dei datteri o bevendo dell’acqua, come vuole la Sunnah del Profeta. L’interruzione iftar, per tradizione viene preceduta da una breve preghiera. Dopo la preghiera rituale della sera si usa fare una speciale preghiera notturna piuttosto lunga detta Tarawih: secondo la Sunnah del profeta, questa preghiera va da un minimo di 8 rak’at ad un massimo di 20.

Il Ramadan è un mese di carità, durante il quale il credente deve dividere i suoi beni con coloro che ne hanno bisogno. La rottura involontaria del digiuno non comporta nessuna sanzione, purché si riprenda subito dopo aver preso coscienza di tale rottura. In caso di interruzione consapevole, bisogna rimediare con l’offerta di un pasto a un certo numero di musulmani bisognosi, oppure dare l’equivalente in denaro; diversamente bisogna digiunare per sessanta giorni. Con il sorgere della luna nuova del mese di Shawwal ha termine il mese di Ramadan e con esso finisce l’astinenza ed inizia ‘Id al-Fitr, la festa della rottura.

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