La vedi nel cielo quell’alta pressione, la senti una strana stagione?
Ma a notte la nebbia ti dice d’un fiato che il dio dell’inverno è arrivato.
Lo senti un aereo che porta lontano? Lo senti quel suono di un piano,
di un Mozart stonato che prova e riprova, ma il senso del vero non trova?
Lo senti il perché di cortili bagnati, di auto a morire nei prati,
la pallida linea di vecchie ferite, di lettere ormai non spedite?
Lo vedi il rumore di favole spente? Lo sai che non siamo più niente?
Non siamo un aereo né un piano stonato, stagione, cortile od un prato…
Conosci l’odore di strade deserte che portano a vecchie scoperte,
e a nafta, telai, ciminiere corrose, a periferie misteriose,
e a rotaie implacabili per nessun dove, a letti, a brandine, ad alcove?
Lo sai che colore han le nuvole basse e i sedili di un’ex terza classe?
L’angoscia che dà una pianura infinita? Hai voglia di me e della vita,
di un giorno qualunque, di una sponda brulla? Lo sai che non siamo più nulla?
Non siamo una strada né malinconia, un treno o una periferia,
non siamo scoperta né sponda sfiorita, non siamo né un giorno né vita…
Non siamo la polvere di un angolo tetro, né un sasso tirato in un vetro,
lo schiocco del sole in un campo di grano, non siamo, non siamo, non siamo…
Si fa a strisce il cielo e quell’alta pressione è un film di seconda visione,
è l’urlo di sempre che dice pian piano:
“Non siamo, non siamo, non siamo…”
Puntualizzazione: a detta dello stesso Guccini la sua negazione non è montaliana “Codesto solo oggi possiamo dirti / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” (Non chiederci la parola) ma “è lo sfogo di uno che scopre di vivere con una persona che non lo considera più molto”.
Il brano si apre con l’alta pressione nel cielo, che significa solitamente bel tempo, ma subito, a far da contraltare arriva la nebbia notturna che mal si concilia col sereno, e la nebbia annuncia l’arrivo dell’inverno. Da qui in poi tutta la canzone è costruita attorno a dei contrasti, a dei contraltari, a delle affermazioni seguite immediatamente dalle loro negazioni. Soffermiamoci sulle situazioni descritte:
• un aereo porta lontano (a sottolineare l’esigenza o il desiderio di andarsene?)
• un pianista non particolarmente dotato prova e riprova a suonare Mozart, ma nonostante tutti i tentativi non riesce a trovare il vero senso delle cose, della vita, di se stesso
• cortili umidi, auto abbandonate, cicatrici di vecchie ferite appena percettibili e occasioni perse rinchiuse in vecchie lettere mai inviate: rimorsi? rimpianti?
• favole spente che quindi non lasciano spazio ai sogni, alle speranze, alla consolazione
• strade senza nessuno, solitarie che tristemente portano a luoghi già conosciuti e che non danno più l’emozione della prima volta
• binari che pervicacemente si perdono verso il nulla con vagoni di terza classe nella nebbia di una distesa uniforme e sterminata: angoscia
Il tutto si conclude con un urlo doloroso e triste che non riesce neppure a farsi sentire, tanto è orrido l’abisso davanti al quale si trova. Mi ricorda il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”:
“Vecchierel bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
per montagna e per valle,
per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l’ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela,
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e piú e piú s’affretta,
senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
colà dove la via
e dove il tanto affaticar fu volto:
abisso orrido, immenso,
ov’ei precipitando, il tutto obblia.”
O anche il tratto de “La nascita della tragedia” di Friedrich Nietzsche in cui Mida si mette alla ricerca di Sileno:
“L’antica leggenda narra che il re Mida per molto tempo inseguì nella foresta il saggio Sileno, il compagno di Dioniso, senza prenderlo. Quando questo infine gli cadde nelle mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile tace il demone; finché, costretto dal re, uscì finalmente fra risa sibilanti in queste parole;
“Stirpe misera ed effimera, figlia del caso e della fatica, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non udire?
La cosa migliore è per te totalmente irragiungibile: non essere nato, non essere, essere niente.
Ma la seconda cosa migliore per te è – morire presto.”