Gemma n° 2003

“Quest’anno come gemma ho deciso di portare la mia mamma, una foto con me e lei in cui io sono molto piccola. Lei per me è tutto, un pilastro fondamentale; a lei racconto sempre tutto e fra noi non ci sono segreti. Con lei ho viaggiato e fatto tante cose. La persona che sono oggi è grazie a lei. Non è solo la mia mamma, è la migliore amica, la persona che amo di più al mondo”.

D. (classe quarta) mi ha chiesto di mettere come immagine la serie Una mamma per amica. Non entro nel dibattito che spesso si apre se sia corretto o meno immaginare o definire il rapporto madre e figlia come amicizia, mi limito a condividere una frase della blogger Caitlin Houston: “Le parole non bastano per esprimere l’amore incondizionato che esiste tra una madre e una figlia”.

Gemma n° 2002

“Dopo averci molto pensato, ho deciso di portare questo paio di scarpe, l’ultimo che ho avuto prima di lasciare il calcio, uno sport che mi ha accompagnato sin da piccola. Mio nonno mi portava a vedere le partite della squadra comunale di cui lui era molto fiero perché militava nella serie A femminile. Giocare a calcio era un mio sogno e dopo qualche anno sono riuscita a coronarlo. Nonostante io non fossi capace mi sono divertita molto e l’ultimo anno sono riuscita a trovare il mio ruolo. Poi ho dovuto lasciare, sia perché non riuscivo con la scuola, sia perché ero l’unico portiere per due squadre e da una parte ero la piccolina, dall’altra mi vedevano come una “traditrice” che andava a giocare con la under 15. Sono comunque stati 3 anni molto belli”.

Penso che il ruolo di C. (classe prima), quello del portiere, sia forse uno dei più solitari all’interno di uno sport di squadra, simile al libero della pallavolo. Eppure non sussiste senza la squadra, perde di senso. E puoi essere forte quanto vuoi, ma senza la squadra non vai da nessuna parte, soprattutto se sulla tua strada ne trovi una. Il fondatore del social network Linkedin, Reid Hoffman, ha detto Non importa quanto sia brillante la tua mente o strategia, se stai giocando una partita da solo e sei contro una squadra, perderai sempre.

Gemma n° 2001

“Durante i primi mesi di quest’anno scolastico, mi sono soffermata a lungo sulle mie scelte, le mie azioni e sugli ultimi avvenimenti della mia vita.
Noi giovani siamo in quel periodo in cui tutto è un limbo: siamo intrappolati tra il mondo dei ragazzi e degli adulti ed allo stesso tempo facciamo spesso scelte che consideriamo “da grandi” ma che in realtà ci mettono solo più confusione.
In questi ultimi tre anni sono cresciuta molto da questo punto di vista ed ho imparato ad entrare piano piano in questo nuovo mondo, spesso a causa di scelte ingenue ed inconsapevoli che allo stesso tempo mi hanno insegnato preziose lezioni di vita.
Il mondo dei grandi non è mai stato perfetto poiché si parla di responsabilità, maturità, vita lavorativa, soldi, famiglia, casa… Non che sia tanto male, ma alla fine è proprio lì che scopri tante parti di te che neanche conoscevi, ti apri a nuove conoscenze ed esperienze. Questo passo verso una responsabilità sempre più grande è stata una delle paure della mia adolescenza. Tutti dobbiamo affrontare questi problemi ma questo è ciò che un lato della vita ci riserva e dobbiamo godercela nei suoi alti e bassi altrimenti rischiamo di rimanere da soli.
Ma cosa significa stare da soli?
Tutto comincia dalla nostra persona: le nostre relazioni, scelte e giudizi. Siamo noi stessi che ci isoliamo in molte situazioni perché pensiamo che le persone esterne non possano comprenderci. Però stare con la nostra persona ci permette di riflettere sulla nostra vita e soprattutto ci permette di prenderci una pausa dalla vita frenetica di oggi.
Stare da soli può essere benefico come potrebbe diventare un’arma tagliente.
Quest’anno lo reputo veramente un anno dal quale non riesco a prendermi una vera pausa per riflettere. Lo studio, il traguardo sempre più vicino all’esame di fine anno, la corsa all’esame di ammissione per l’università, il COVID e vari problemi familiari.
Tutti gli avvenimenti accaduti si accumulano come piccoli fantasmi che mi svolazzano intorno ed in mezzo a questo disordine vorrei solo riuscire a schiarire le idee e riprendere tutto da zero.
Forse questo mio desiderio sarà possibile tra qualche mese? Aspetto che il futuro me lo dimostri e che io stessa riesca a lasciarmi alle spalle questi pesi senza aver bisogno di portarli come fardelli.”

Accolgo il bilancio-sfogo di H. (classe quinta) augurandole quello che lei stessa auspica a se stessa: un’occasione di reset, uno di quei periodo in cui si ha il tempo per mettere dei punti, dei punti a capo, dei puntini di sospensione, dei punti esclamativi o dei punti interrogativi. Le auguro la punteggiatura dell’esistenza, quella che permette al nostro vivere di essere letto con un po’ più di chiarezza senza che sia esclusivamente un flusso di pensiero continui nel quale rischiare di perdersi.

Gemma n° 2000

“La gemma che ho deciso di portare è mia nonna, una delle persone più importanti della mia vita perché fin da piccola ha passato tantissimo tempo con  me. I miei lavoravano molte ore al giorno e se non ci fosse stata lei non avrei avuto qualcuno con cui stare. Ogni giorno dopo scuola andavo da lei a pranzo e mi ha insegnato tante cose: a colorare, a giocare a carte, a scrivere. Sono molto grata per questo”.

Per commentare la gemma di E. (classe seconda), l’ennesima dedicata quest’anno a una nonna o a un nonno, recupero una vecchia e strana canzone degli ormai sciolti PGR (Per grazia ricevuta) con la particolare voce di Giovanni Lindo Ferretti. Si intitola I miei nonni. Il ritornello: 
Rendo onore a chi mi ha preceduto tra mille errori e abominevoli credenze mi ha fatto vivo, sopravvivere, crescere
Il mondo è complesso, incantevole, difficile
Rendo onore a chi mi ha voluto, mille e mille errori, abominevoli presenze, io sono vivo, sopravvissuto, cresciuto.

Gemma n° 1999

“Come gemma ho deciso di portare, in generale, tutti i testi che scrivo quando sento emozioni particolarmente forti, nel caso particolare quello che ho scritto il 13 febbraio per una situazione amorosa finita a inizio gennaio. Tutto quello che ho scritto sono cose che sento ancora solo che ho imparato a gestirle, a non manifestarle più in maniera così forte. Aggiungo che a questa ragazza sono stato tanto affezionato perché arrivata in un periodo di semi-depressione durato da agosto a dicembre, un periodo durante il quale sentivo di non avere molto. Scrivo sempre in inglese, in questo caso l’ho tradotto.
Solo per tornare sconosciuti
E’ tutto finito. Sono stato costretto a bloccarla così che non possa contattarla e così che lei non debba nemmeno preoccuparsi di ciò che faccio, anche se non le è mai interessato. Oggi ho pianto più di quanto io abbia mai fatto in tutta la mia vita. Ho sentito così tanto dolore e rabbia nei miei pensieri e nelle mie stesse parole e per la prima volta ho buttato fuori tutto ciò che sentivo, senza nessun tipo di filtro. Mi sono sentito nella maniera peggiore immaginabile ed è stato orribile. E’ stato orribile continuare a piangere senza potersi fermare, è stato orribile sentire il mio viso bagnato senza avere la facoltà di fare nulla, è stato orribile sentire il naso gocciolare, è stato orribile sentire quella nebbia tornare, è stato orribile vedere tutte le mie speranze ed i miei bei ricordi frantumarsi davanti ai miei occhi. Ho iniziato a piangere e a sentirmi arrabbiato con tutto. Ero così arrabbiato che a malapena mi rendevo conto di ciò che mi accadeva attorno. Non ero in grado di pensare. Volevo solamente colpire qualcosa con tutta la mia forza. Poi, quella rabbia si è trasformata in solitudine e ho riniziato a piangere.
So che non dovrei dare così tanta importanza alle persone, ma l’averla conosciuta mi ha salvato. Sono stato bloccato in quella nebbia per così tanto tempo, senza riuscire a capire dove andare o dove dirigermi. Improvvisamente è comparso questo raggio di sole che mi ha mostrato la strada corretta. Ero finalmente in grado di muovermi senza timore e senza paura di perdermi di nuovo. Mi ha accompagnato fino a dove la nebbia smetteva di essere così fitta e, una volta uscito, quella luce scomparve, come se avesse finito il suo dovere.
Non ho intenzione di perdermi di nuovo però, perché ormai sono fuori. Posso vedere più chiaramente dove andare, anche se non ne sono sicuro.
Quel raggio mi ha aiutato davvero tanto, e vederlo dissolvere così mi ha portato a spaesarmi.
Domani è San Valentino e non ho nessuno da amare stavolta. Per la prima volta, non sarò in grado di indirizzare tutto l’amore che voglio dare a qualcuno.
Sono però contento di poter uscire di casa lo stesso, così da poter assistere alle manifestazioni d’amore degli altri e poter percepire l’amore altrui.
Addio, J… Mi hai fatto soffrire così tanto che preferirei non pensarci, così da poterti ricordare in maniera positiva.
Eravamo sconosciuti che hanno iniziato a conoscersi, solo per tornare sconosciuti.”

E’ sempre molto difficile commentare gemme così ricche, quelle che lasciano me e una classe intera a cuore aperto. Non voglio aggiungere qui le mie parole al testo di G. (classe quarta), ho già detto qualcosa in classe. Mi sento di appoggiare una colonna sonora, una canzone di una cantante italiana non certo giovane, Patty Pravo. Al Festival di Sanremo di qualche anno fa ha presentato un brano che mi è entrato nell’anima e che appoggio qui. Il titolo è Cieli immensi.
“E ridere guardando il mondo con la felicità di quando il cielo è immenso
E mai dimenticare quel che ci ha fatto vivere
Ma tu chi sei?
Che cosa vuoi?
E come mai mi pensi?
Poi dirsi addio, oppure mai
Ma i cieli sono immensi”

Gemma n° 1998

“Da un po’ mi frullava in mente di portare questa gemma, ma mi pareva un po’ superficiale e un po’ egocentrica. In questi anni ho perso un po’ il significato vero di questo lavoro sulle gemme, il fatto di portare qualcosa che vale ed è importante, per cui quest’anno ho deciso di portare me stessa. Io come gemma è intesa io come azioni che compio, io come carattere che ho, io come persona che sono, io sono la gemma di me stessa e penso che ognuno sia gemma di se stesso: oltre ad avere un valore come esseri umani, abbiamo un valore per le persone specifiche che siamo, io come N. o lei come Simone Del Mondo. In particolare ha valore la N. che in molti non vedono perché io non faccio vedere questo tipo di N. Per quanto io sia una persona espansiva, estroversa, tendo a mostrare solo un lato di me, quello scherzoso e ironico. Mi sono costruita un personaggio: non amo parlare di me stessa, non mi sento a mio agio e tendo a chiudermi. Agli altri mostro un lato superficiale, un tratto delle tante parti di me; e gli altri conoscono ovviamente quell’aspetto. Talvolta mi capita di fare un recap della mia vita e di pensare ai momenti di difficoltà che ho superato con forza di volontà e speranza: questa è, ad esempio, una delle cose di me che non mostro, che non racconto. Quindi questa gemma è per ricordare anche a me stessa che io non sono solo risate e scherzi, ma sono anche tanto altro; gli altri non lo vedono per i muri che io costruisco. Questa gemma è un passo nella direzione di far conoscere qualcosa in più di me”.

Mi sento di ringraziare N. (classe quarta) per aver deciso di fare questo passo in occasione della sua gemma. Sono ben consapevole del fatto che ciascuno di noi, insegnante, studente, bidello, segretario o preside che sia (ho volutamente utilizzato terminologie vecchie ma più familiari), non porti tutto se stesso a scuola. Per forza di cose diversi aspetti restano fuori, spesso aspetti interessanti, ricchi, appassionanti, caleidoscopici. Il mistico persiano Jalāl al-Dīn Muḥammad Rūmī, vissuto nel 1200, scrisse:
“Cerca bene in te stesso
ciò che vuoi essere,
poiché sei tutto.
La storia del mondo intero sonnecchia in ognuno di noi”.
E prima di lui Sant’Agostino “Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi”.
Non le ho riportate, in riferimento alla gemma di N., per quei due verbi negativi “sonnecchia” e “trascurano”, tutt’altro. Le ho citate perché raccontano di quanta ricchezza ci sia in ciascuno e quanto importante sia rendersene conto; e che prezioso regalo rappresenti il momento in cui qualcuno decide di svelarci qualcosa di sé.

Gemma n° 1997

“Ho portato questo libricino. Ne esiste anche una prima versione, scritta dalla terza media allo scorso anno. Mi piace scrivervi quel che mi passa per la testa o quel che mi succede; inoltre lascio sempre degli spazi vuoti perché mi piace commentare e scrivere, magari qualche anno dopo, come si è conclusa una cosa che pensavo di non poter risolvere. Entrambi li custodisco in una scatola dei ricordi insieme ad altri oggetti come biglietti del treno o dell’aereo o fotografie”.

Nel libro Cuori in torment@ ho trovato una frase che bene si abbina alla gemma di M. (classe terza). Scrive Gianfranco Iovino “L’uomo ha due grandidoti: la “parola” per dare suono ai pensieri, e la “scrittura” per darne loro un senso nel tempo.” Aggiungerei anche nello spazio, non solo nel tempo. Quando scrivo mi capita di rendermi conto di dare spazio a dei pensieri che se non avessi provato a scrivere, non avrebbero trovato neppure inizio. Voltaire scrive che La scrittura è la pittura della voce. Mi ci ritrovo molto.

Gemma n° 1996

“La mia gemma è un guanto: l’ho ritrovato da poco tempo, saranno un mese o due, e lo tengo appeso in camera sul termosifone. E’ un bel ricordo perché lo usavo quando ero piccolo, quando giocavo a calcio. Per tanti anni mio padre non mi ha voluto prendere dei guanti per quando faceva freddo quando mi allenavo, poi un giorno mi ha fatto questo regalo. Io ho sempre perso tutti i guanti che avevo e recentemente ne avevo prese due paia, proprio per non restare senza. Poi ho ritrovato questo, l’unico superstite del paio. Mi ricorda anche un periodo di innocenza, di inconsapevolezza, di dare per scontate tante cose”.

La gemma proposta da C. (classe terza) mi ha fatto pensare al fatto che la ricchezza di molti degli oggetti a cui teniamo risieda nell’attesa che abbiamo vissuto prima di possederli. Il tempo fatto di desiderio, di auspici, di speranza, di sogni è spesso il tempo che permette ad un frutto di trasformarsi da acerbo a maturo. Profuma di buono.

Gemma n° 1995

“Ho portato una foto di Lignano della scorsa estate: da quando ero piccola ci vado ogni estate, quindi è sinonimo di niente preoccupazioni, compiti, studio. Insomma, un posto felice”.

A differenza di G. (classe prima), ho scoperto Lignano da grande, perché le mie estati d’infanzia sono legate a Grado e poi alla montagna. Ma le sensazioni sono le stesse, precise e identiche.

Gemma n° 1994

“Oggi ho portato questo anello che mi è stato regalato da mia madre. Me lo ha regalato quando sono andata per la prima volta a Roma dove lei abita. Per me era l’inizio di un periodo molto complicato e non so per quale motivo mi sono affezionata molto a questo oggetto”.

Nel libro Lascia che ti racconti di Jorge Bucay ho trovato le parole giuste per la gemma di G. (classe prima):
“«Maestà» disse l’uomo facendo una riverenza «nel luogo da dove provengo si parla dei tuoi mali e del tuo dolore. Sono venuto qui a portarti il rimedio.» E chinando la testa porse al re un cofanetto di cuoio. Il re, sorpreso e speranzoso, lo aprì e frugò nel cofanetto. Dentro c’era soltanto un anello d’argento.
«Grazie» disse il re in preda all’entusiasmo. È un anello magico?»
«Certamente» rispose il viaggiatore «ma non basta portarlo al dito perché la sua magia faccia effetto… Ogni mattina, quando ti alzi, dovrai leggere l’iscrizione incisa sull’anello, e ricordare quelle parole ogni volta che vedrai l’anello al tuo dito.»
Il re prese l’anello e lesse ad alta voce: «Devi sapere che anche questo passerà».”

Gemma n° 1993

“Ho portato le punte da danza classica perché rappresentano la mia passione, anche se non le ho usate molto. Le ho utilizzate all’inizio, poi mi sono presto diventate piccole. Il sogno da piccola era danzare sulle punte e riuscire a starci sopra è già un gran risultato: è stato molto più difficile di quanto pensassi!”

Per commentare la gemma di S. (classe prima) riporto la frase di un filosofo che ballerino non è stato pur citando spesso la danza nei suoi scritti, Friedrich Nietzsche: Il ballerino ha le orecchie sulla punta dei piedi.

Buona Pasqua

A Natale ho mandato alle mie classi  gli auguri partendo da come ci stavamo preparando in famiglia insieme a Mariasole. A Pasqua è un po’ diverso, è difficilino spiegare a una bimba di 2 anni che l’amico nato a Natale è diventato grande in 4 mesi, viene ucciso in croce e poi risorge. La Pimpa che vola da Nino il pinguino a bordo di un aquilone è obiettivamente più credibile ai suoi occhi. Quindi ciao ciao a Mariasole.

Qualcosa, però, ho desiderato scriverla lo stesso. Questa che i cristiani stanno vivendo è la settimana fulcro della loro fede, ma è anche il fulcro dell’esperienza di molte persone, anche non credenti. L’esperienza del dolore, del tradimento, della disperazione, della morte, della notte, della vicinanza, del conforto, dell’amicizia, dell’amore, della speranza, della luce. Nel vangelo di Giovanni si parla di una donna, Maria di Magdala, che, dopo la morte di Gesù, si reca al sepolcro. Il cuore è pesante, ha dovuto dire addio ad una persona amata, sente il cuore vuoto perché ha avvertito la speranza morire dentro di sé. E infatti si avvia “quando era ancora buio”. Non ci viene suggerita un’ora, non è un’indicazione temporale, ma è una condizione esistenziale. Maria è avvolta dal buio del dolore, della mancanza di riferimenti. Come quando può capitare a noi nel momento in cui ci sentiamo persi e non riusciamo ad accendere una luce per trovare la strada o quanto meno le indicazioni per rimetterci in carreggiata. Eppure lei va in una direzione, quella del sepolcro, quella del luogo in cui è stato posto Gesù, quella della morte. Arriva e trova la pietra che copre l’ingresso spostata. Torna indietro per avvisare i discepoli e con due di loro ripercorre il sentiero. I due entrano, lei no. Resta fuori, a piangere, convinta che qualcuno abbia rubato il cadavere, come ci conferma la risposta che dà ai due angeli che appaiono (soltanto a lei) mentre si china a guardare dentro il sepolcro. Mentre guarda al luogo della morte, non trova segni di speranza, traccia di luce: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Sono i momenti in cui ci succede di vedere tutto buio, in cui dolore si somma a dolore, in cui le certezze o le sicurezza che avevamo vacillano. Qui però, di Maria si dice che “Detto questo, si voltò indietro”. Lei smette di guardare verso il sepolcro, verso la morte, e si gira dall’altra parte. Il testo dice che vede Gesù, ma non lo riconosce, anzi, lo prende per il custode del giardino. Lui chiede: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Questo è un incontro che auguro a chiunque: quello con qualcuno che si ferma, ti guarda, riconosce il dolore e te ne chiede le ragioni. Qualcuno che si preoccupa davvero di te, tanto che riesce a comprendere che in realtà tu sei alla ricerca di qualcuno che dia il senso a quelle lacrime, che le deterga, che ti sollevi l’anima, ti prenda il cuore in mano e lo accarezzi. Maria esplicita il suo bisogno a colui che crede il custode: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Ridammi il fondamento della mia speranza, restituiscimi la base della mia fiducia, sembra gridare la donna, riportami ciò che mi è stato tolto. “Maria!” le dice Gesù. Lì, quando si sente chiamata per nome, lo riconosce. E il sepolcro, il luogo del buio e della morte, non ha più posto nel suo cuore perché ora la sua speranza ha un altro fondamento: la relazione con qualcuno che non se ne va, che è lì per te, ti chiama per nome, ti chiede il motivo del tormento e ti domanda che cosa tu stia realmente cercando. Il friulano David Maria Turoldo nei suoi Canti ultimi scriveva:

“No, credere a Pasqua non è
giusta fede:
troppo bello sei a Pasqua!

Fede vera
è al venerdì santo
quando Tu non c’eri
lassù!

Quando non una eco
risponde
al tu alto grido

e a stento il Nulla
dà forma

alla tua assenza.”

Ecco l’incontro che auguro, per questa Pasqua a ciascuna e ciascuno di voi e ai vostri cari. Per i cristiani è l’incontro con il Risorto, per le persone credenti in altre religioni o non credenti è l’incontro con ciò e con chi dona loro speranza e luce che mai viene a mancare, anche quando pare non esserci, anche quando sembra tutto avvolto nell’oscurità.

Buona Pasqua.

Gemma n° 1992

“La mia gemma è un orecchino di perla, uno solo perché l’altro l’ho perso. Non sono i primi in assoluto, ma i primi di cui ho ricordo; avrò avuto 6 o 7 anni e me li ha regalati mia nonna. Li tenevo sempre, un po’ come faceva lei; in più io porto il suo nome. Quindi, questa cosa ci univa tantissimo e io l’ho sempre ammirata per il suo carattere, il suo modo di fare, anche se talvolta era un po’ dura. Un giorno alle elementari, giocando a ricreazione, mi sono accorta di averne perso uno e sono andata in panico, ho persino fatto chiamare mia mamma. Non ero tanto impaurita di far arrabbiare la nonna, ma ero molto dispiaciuta di averlo perso; allora le abbiamo telefonato e mi ha tranquillizata tanto. Ora, anche se l’orecchino è unico, lo indosso qualche volta perché è un regalo di nonna, anche se lei non c’è più: un modo per ricordarmi di lei”.

Commento la gemma di G. (classe seconda) con un breve testo di Alessandro D’Avenia da Cose che nessuno sa: “Nessuna perla è uguale all’altra. Nessuna perla è mai perfettamente simmetrica. E nelle cose di questo mondo meglio tenersi lontani dalla perfezione: la luna quando è piena comincia a calare, la frutta quando è matura cade, il cuore quando è felice già teme di perdere quella gioia, l’amore quando raggiunge l’estasi è già passato. Solo le mancanze assicurano la bellezza, solo l’imperfezione aspira all’eternità.”

Gemma n° 1991

“Io volevo parlare di mia sorella, la ‘cosa più importante che possiedo’. Lei ha tre anni e mezzo meno di me e condividiamo qualsiasi cosa facciamo, anche se sono cose brutte ce le diciamo anche senza dirle ai nostri genitori. Sappiamo tutto l’una dell’altra, abbiamo un rapporto di fiducia oltre ogni limite e non ho paura di dirle nulla. Sono molto felice ad avere una sorella così, significa che mi vuole tanto bene e quando reputa sbagliata una cosa che ho fatto, mi aiuta a correggerla e io faccio lo stesso con lei”.

Il vocabolario Treccani definisce complicità la partecipazione a un’azione criminosa o colpevole, considerata, in diritto penale, una forma di concorso nel reato. Non mi azzarderei ad accostare questa descrizione al rapporto tra M. (classe seconda) e la sorella. Poi, più avanti, si legge Con senso attenuato, connivenza, aiuto diretto o indiretto in macchinazioni anche scherzose, e sim.: se n’è andata a ballare all’insaputa del fidanzato e con la c. della sorella; anche, perfetta intesa. Ecco, ci siamo. Allora sì, direi che è un buon modo di definire quello speciale legame che lega due sorelle.

Gemma n° 1990

La gatta Minù è quella a destra

“Ho tre gatti, ne avevo una che durante la quarantena ne ha partoriti due. La gatta, la mamma, è scomparsa da un po’ di mesi ed è lei la mia gemma, un po’ per ricordarla e perché è quella a cui sono stata più affezzionata, anche per l’aiuto che ha dato a tutta la mia famiglia. Durante la quarantena, periodo per nessuno allegro, ho avuto un periodo in cui sono stata male sia fisicamente che psicologicamente, cercavo di isolarmi in camera però lei cercava di entrare, di saltare sulla maniglia della porta, si lamentava se qualcuno a me indesiderato entrava. Se la mandavo via, tornava indietro, dormiva ai piedi del letto anche se non la volevo… Dei gatti si dice spesso che siano apatici, freddi, opportunisti, eppure ho sperimentato altro…”.

Non posso esprimermi sui gatti perché non ne ho mai posseduto uno direttamente, ho sempre e solo frequentato gatti altrui. Però so quanto un animale domestico possa essere parte della vita famigliare, quanti diventi parte delle vicende e delle relazioni che vi si intessono. Grazie a F. (classe terza) per avermene dato un’ulteriore conferma.

Gemma n° 1989

“Questa canzone è sempre stata come una migliore amica per me, c’è sempre stata nei momenti più bui che siano attacchi di panico o semplice voglia di sentirla. E’ l’unica cosa che riesca a calmarmi in qualsiasi situazione. Ci sono stati giorni in cui ascoltavo soltanto quella, a ripetizione, perché proprio ne avevo bisogno, come negli ultimi giorni, molto bui per me, perché in poco tempo mi sono trovata da sola e ho perso anche una persona molto importante, mio nonno. Questa canzone è stata la mia ancora”.

La gemma di A. (classe prima) è Fine line di Harry Styles. Voglio commentarla con un’altra canzone. E’ un brano che quest’anno compie vent’anni, è dei Tiromancino e fa parte dell’album In continuo movimento. Il titolo è Per me è importante. Non parla direttamente di morte, ma l’ho sempre pensata in riferimento ad una persona amata che non fa più parte di questa vita:
“Le incomprensioni sono così strane, sarebbe meglio evitarle sempre per non rischiare di aver ragione, che la ragione non sempre serve. Domani invece devo ripartire, mi aspetta un altro viaggio e sembrerà come senza fine, guarderò il paesaggio. Sono lontano e mi torni in mente, t’immagino parlare con la gente. Il mio pensiero vola verso te per raggiungere le immagini scolpite ormai nella coscienza, come indelebili emozioni che non posso più scordare. Il pensiero andrà a cercare tutte le volte che ti sentirò distante, tutte le volte che ti vorrei parlare per dirti ancora che sei solo tu la cosa che per me è importante. Mi piace raccontarti sempre quello che mi succede, le mie parole diventano nelle tue mani forme nuove e colorate, note profonde mai ascoltate, una musica sempre più dolce, il suono di una sirena perduta e lontana. Sembrerà di viaggiare io e te, con la stessa valigia in due, dividendo tutto sempre, normalmente. Il mio pensiero vola verso te per raggiungere le immagini scolpite ormai nella coscienza, come indelebili emozioni che non posso più scordare. Il pensiero andrà a cercare tutte le volte che ti sentirò distante, tutte le volte che ti vorrei parlare per dirti ancora che sei solo tu la cosa che per me è importante…”

Gemma n° 1988

“Ho portato questo libro, Piccole donne di Louisa May Alcott, perché è uno dei miei preferiti ed è quello che mi ha portato alla passione per la lettura, una parte molto importante di me. Quando sono triste o ho dei momenti bui, mi metto a leggere perché riesco a mettere per un attimo da parte la mia vita e a viverne un’altra. Il libro poi tratta di argomenti molto importanti, come la situazione della donna e la sua emancipazione. Ogni volta che lo vedo penso alla prima volta che ho cominciato a leggere e ciò mi dà felicità”.

Che fortunata N. (classe prima)! Io non ricordo il mio primo libro; ricordo il primo libro della consapevolezza. Cosa intendo? Non ero un gran lettore, alle medie e ai primi anni del liceo, mia mamma mi scongiurava di leggere qualcosa e io rispondevo a suon di pagine di Guerin Sportivo e Super Basket… La cosa, chissà perché, non le dava soddisfazione. Ma in 3a liceo il mio prof di disegno e storia dell’arte, Daniele Bucchini, mi consigliò I pilastri della terra. Da lì in poi la corsa non si è mai fermata e ha fatto della lettura una delle mie più grandi passioni.

Gemma n° 1987

“Quest’anno è stato molto più difficile trovare una gemma non perché non ne avessi ma perché mi sembra quasi che tutto lo sia: dopo due anni di privazioni mi pare di avere tutto e anche oltre. Alla fine ho deciso di portare un pezzo di un libro letto recentemente e che riassume il mio stato d’animo. Parla di un uomo che ad un certo punto della sua vita si guarda allo specchio e si rende conto di non essere lui la persona che vede e decide di partire e fare un viaggio intorno al mondo, un viaggio senza ritorno in cui ricerca la sua natura. Ecco il passo di Come una notte a Bali di Gianluca Gotto:
Trascorri anni a immaginare il momento in cui la tua vita cambierà. Quel momento, però, non arriva. La vita va avanti come sempre, senza sorprese, senza novità, senza grandi emozioni. 
Ma poi, proprio quando ormai credi che nulla possa cambiare, ecco che succede qualcosa di totalmente inaspettato. È il destino? È colpa di Dio? O forse è l’Universo? O è semplicemente il caso?
Dopo anni di calma piatta, ora il mare è in tempesta. Puoi tornare in fretta al porto sicuro che conosci alla perfezione. Oppure farti trasportare lontano dalle nuove correnti.
Così facendo, potresti trovare qualcosa che non riuscivi nemmeno a immaginare nei tuoi sogni più sfrenati.
Potresti scoprire di non aver mai capito niente su di te e di non aver mai amato davvero.
Potresti riacquistare un sorriso che neanche sapevi di avere: quello vero, che nasce dal cuore.
E un giorno potresti ritrovarti sulla cima di un promontorio a Bali.
Di fronte all’immensità dell’oceano.
Felice come non eri mai stato nella tua vita.
Ho scelto questo passo in particolare perché quest’anno avrò la possibilità di fare un viaggio a New York, il primo fuori dall’Italia. E’ anche un sogno che ho fin da piccola quello di andare a New York. Ecco quindi che dopo due anni di chiusure e isolamenti vari mi sembra di tornare a vivere e ciò mi ridà la speranza”.

Le parole citate da C. (classe quarta) mi hanno portato alla mente un passo di Novecento di Alessandro Baricco che ho sempre amato e che mi hanno fatto pensare a quel giorno in cima al promontorio a Bali.
“A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c’è una ragione. Perché proprio in quell’istante? Non si sa. Fran. Cos’è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C’ha un’anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un’ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall’inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto fra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d’accordo, allora buona notte, ‘notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto: fran. Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: “A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave”. Ci rimasi secco. Fran.”

Gemma n° 1986

“Questo libro mi è stato regalato quando avevo due anni e mezzo da mia sorella nata in quel momento e mia mamma mi ha detto che me l’aveva portato lei nascendo (ovviamente l’aveva preso mamma). Per me è molto importante: come si vede è molto rovinato perché l’ho letto tante volte da piccola e l’ho anche colorato insieme a mia sorella. Glielo leggevo quando, alle elementari, ho imparato a leggere; è il primo ricordo che condivido con mia sorella e abbiamo un bel rapporto”.

Questa la gemma di V. (classe terza). Che belli questi oggetti usati, rabberciati, consunti dal tempo, sdruciti, segnati dal passare dei giorni e delle mani: mi sono sempre affezionato più a loro che a quelli, magari più economicamente preziosi, ma che non si potevano, proprio per il loro valore, toccare. E quindi restavano lì, spettatori delle nostre vite, senza esserne i protagonisti insieme a noi.

Gemma n° 1985

“Questa foto mi ricorda due cose. La prima non si vede bene, ma intorno al collo ho un cartellino, quello delle gite delle elementari e questa è la prima gita: è stato per me un bel periodo. La seconda cosa è che qui sono a casa dei miei nonni: la nonna ora non c’è più ed ero molto legata a lei”.

Resto stupito da quante gemme tocchino l’infanzia, come questa di M. (classe prima). Personalmente non ho molti ricordi di quand’ero piccolo, faccio fatica a recuperare dalla memoria degli episodi e a distinguere realtà e fantasia. Allora mi affido a quanto scrive lo psicoanalista James Hillman: “La nostra vita non è determinata tanto dalla nostra infanzia, quanto dal modo in cui abbiamo imparato a immaginarla.”

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