Gemme n° 278

Bearzi

Quando si è trattato di scegliere che gemma portare ho pensato da subito a qualcosa che centrasse col Bearzi, l’oratorio che frequento, perché è al centro della mia vita: per me è veramente importante. Ho scelto di partire dal principio, e quindi ho scelto la maglietta del primo anno del centro estivo, che aveva per tema l’Orlando furioso. Rappresenta l’inizio di un’esperienza fondamentale e che continua tuttora e che spero continui anche in futuro.” Ecco la gemma di L. (classe seconda).
Don Bosco diceva che l’educazione è cosa del cuore; personalmente penso che l’efficacia sia ottimale quando i ritmi dei cuori coinvolti siano capaci di ascoltarsi e di farsi ascoltare. Capiterà di battere in tempi diversi, di correre e di rallentare, di precedere e di seguire. Sarà bello però ritrovarsi nella stessa casa.

Gemme n° 277

La canzone è tratta da un dvd sugli Eagles. Hanno attribuito molti significati e soprattutto molti secondi significati a Hotel California (satanici, subliminali…). Per me avrà sempre due significati. Il primo è che evoca il viaggio in California coi miei, il tepore sulla pelle e le stelle. Sembrava di stare in mezzo all’universo. Il secondo significato, più importante, è che si tratta della canzone preferita mia e di mio padre; quando la sentiamo insieme lui si trasforma, la canticchia e mi ha chiesto di tradurla. Mi fa vedere un lato di lui che di solito è nascosto.” Così A. (classe quarta) ha presentato la sua gemma.
Penso che i lati nascosti siano alcune delle cose che ci rendono unici; poche persone hanno il privilegio di conoscerli e sono coloro che rispondo al nome di amanti, amici, famigliari…

Gemme n° 276

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Come gemma non ho voluto portare alcun oggetto, ma un’esperienza di quest’estate in ospedale. E’ un mercoledì, sono in un disco bar e ho bevuto un bicchiere di prosecco, ho un leggero mal di testa, ma nella norma. Durante la serata però va aumentando e si aggiungono dei giramenti di testa. Penso sia l’alcol, nonostante una certa meraviglia perché convinta di reggere un po’ di più. Ad un certo punto inizio a cadere da un lato; la cosa diventa alquanto imbarazzante, tutti mi fissano come fossi ubriaca. Mi cedono persino le gambe. Il giorno dopo, la cosa non si è risolta e i miei mi accompagnano in pronto soccorso: ci sono già andata, e come le altre volte, mi aspetto solo una ricetta o una medicina. Invece i medici dicono a mia mamma che devo restare in ospedale. Mia mamma è tedesca e sul momento non capisce, quindi resta in silenzio. Rimango in ospedale 7 giorni. Il giorno dopo il ricovero sarei dovuta partire per un viaggio in Sicilia. Invece il mio viaggio ha cambiato meta e itinerario. Ma anche questa esperienza, come tutti i viaggi mi ha portato qualcosa. In questi momenti ti rendi conto dei momenti belli. Sono uscita all’ospedale e la prima cosa che ho apprezzato è stata il sole. A volte diamo per scontate troppe cose.” Questa è stata la gemma di V. (classe quinta).
Penso che questa gemma rappresenti il senso di questo lavoro sulle gemme: fermarsi un attimo, appuntarsi una cosa che si sta vivendo, che si vede, si ascolta o si conosce, e decidere di farle spazio dentro di noi in modo che vi resti. E magari regalarla agli altri; magari a loro non farà lo stesso effetto, ma… non si sa mai…

Gemme n° 275

Ho scelto di portare questo brano non perché Elisa sia la mia cantante preferita, ma perché sono rimasta colpita dalle parole. Anche se la canzone è dedicata alla figlia, io ho interpretato il testo come un invito a guardare il futuro e a cercare di andare avanti anche se si presentano delle difficoltà e rialzarsi sempre.” Questa è stata la gemma di V. (classe terza).
Durante la mia adolescenza ho letto una buona parte della bibliografia di uno scrittore amante del volo: Richard Bach, diventato famoso soprattutto per Il gabbiano Jonathan Livingston. In un altro dei suoi testi, Biplano, scrive: “Se io non compissi il dovere elementare di curarlo quando le sue ruote sono sul terreno, non avrei mai il diritto di chiedergli un favore speciale, una volta ogni tanto, quando è in volo, Il favore, forse, di andare avanti anche se la pioggia si abbatte come un solido muro sul suo motore, o di resistere con i suoi tiranti e i suoi montanti ai vortici improvvisi e furiosi dei venti di montagna. E magari anche l’estremo favore di sfracellarsi sulle rocce di un deserto durante un atterraggio di fortuna, lasciando però che il suo pilota ne esca incolume.”

Globalizzazione e povertà

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Globalizzazione? Crescita? Decrescita? Ricchezza? Povertà? Martedì mattina stavo entrando nel cortile della scuola, quando, durante il mio zapping radiofonico, mi sono imbattuto in un accenno a un fondo di Pierluigi Battista sul Corriere a proposito dei meriti della globalizzazione. Sono andato ad acquistare il quotidiano con l’idea di leggere il pezzo e magari condividerne una parte con le quinte in cui sto trattano l’argomento. Subito sotto pubblicherò una “replica” di Igor Giussani. Infine tornerò al Corriere con alcuni dati riportati da Sara Gandolfi. Ecco le parole di Battista (qui la fonte):

Noi che stiamo nella parte privilegiata del pianeta possiamo borbottare, testi di Piketty alla mano, contro gli effetti della vituperata globalizzazione. Ma 200 milioni di esseri umani potrebbero non essere d’accordo. Secondo le stime della Banca mondiale, infatti, in tre anni il numero complessivo dei poveri nel mondo è passato da 902 a 702 milioni. Un numero ancora mostruoso. Ma non poteva esserci smentita più squillante per chi, seguace di qualche «Occupy» nel mondo, sostiene che la globalizzazione sia la causa delle peggiori nefandezze sociali ed economiche.
Nel 2015 c’è anche una percentuale simbolica che è stata raggiunta: la povertà globale si attesta sotto il 10 per cento della popolazione.
Ci sono 200 milioni di affamati in meno, nel mondo. Ci sono 200 milioni di disperati che sono usciti dall’inferno della miseria assoluta, dell’indigenza più umiliante, dei bambini che muoiono per inedia, a cominciare dall’Africa sub-sahariana. E non per gli aiuti internazionali che spesso vanno ad ingrassare le corrotte oligarchie locali. Ma perché l’economia, il dinamismo economico, quel poco di libero mercato e di libero commercio che riesce ad imporsi pur in condizioni ambientali tanto ostili, sono il peggior nemico della miseria frutto dell’immobilità, della staticità assoluta, della mancanza di libertà. La «narrazione», come usa dire, sulla globalizzazione è suggestiva ma spesso è troppo condizionata dai pregiudizi ideologici anticapitalisti e della retorica che vede nel «liberismo selvaggio» la fonte di ogni male.
poverty2È una narrazione che unisce economisti che conoscono lo statalismo e il dirigismo come unico dogma, cattolici pauperisti, e ultimamente galvanizzati dalle parole papali, che ritengono il libero mercato un’invenzione diabolica, interi ceti sociali che nella libera concorrenza della globalizzazione sentono minacciata la loro posizione. Ma a conti fatti, se davvero abbiamo a cuore la sorte degli esseri umani, dovremmo ammettere che la globalizzazione è la via d’uscita dalla povertà per tanti, troppi dannati della terra. 702 milioni di esseri umani ancora intrappolati nella prigione della miseria assoluta sono ancora uno scandalo morale inaccettabile.
Ma 200 milioni di esseri umani salvati dalla povertà dovrebbe essere una notizia da accogliere con meno cinismo e con un’intelligenza che prevede la non subalternità agli schemi correnti del conformismo culturale. La povertà delle idee, anche questa sarebbe auspicabile che diminuisse.”

Ecco la replica di Giussani su Decrescita felice:
Sono particolarmente grato a Pierluigi Battista perché, con l’articolo sul Corriere dal titolo ‘Una vittoria dell’«odiata» globalizzazione sulla miseria’, mi ha fatto per un attimo tornare indietro di almeno una quindicina d’anni, quando ero un giovane militante altermondista e politici, economisti e giornalisti ripetevano ossessivamente i mantra delle meravigliose sorti progressive della ‘globalizzazione’, parola oramai quasi bandita dai media. Apprezzo inoltre che Battista, a differenza di altri più noti pifferai del neoliberismo – i vari Thomas Friedman e Jeffrey Sachs, che per inseguire la moda si sono tinteggiati di verde approdando ai lidi dello sviluppo sostenibile – non abbia improvvisamente abiurato il suo credo economico. Cosa ancora più importante, tutti quanti dovremmo essergli riconoscenti perché, in poco più di una trentina di righe, fornisce un’ottima lezione di mistificazione della realtà.
Noi che stiamo nella parte privilegiata del pianeta possiamo borbottare, testi di Piketty alla mano, contro gli effetti della vituperata globalizzazione. Ma 200 milioni di esseri umani potrebbero non essere d’accordo. Secondo le stime della Banca mondiale, infatti, in tre anni il numero complessivo dei poveri nel mondo è passato da 902 a 702 milioni. Un numero ancora mostruoso. Ma non poteva esserci smentita più squillante per chi, seguace di qualche «Occupy» nel mondo, sostiene che la globalizzazione sia la causa delle peggiori nefandezze sociali ed economiche”. Non fosse per i riferimenti a Occupy, si direbbero parole scritte dopo il meeting del WTO di Seattle 1999 o il G8 di Genova 2001. Forse la prevenzione mi acceca, ma non mi pare di aver visto questi 200 milioni di esseri umani (più di tutta la popolazione della federazione russa, per avere un’idea) manifestare in favore della globalizzazione; mi risulta che i fenomeni violenti di reazione alla globalizzazione si siano fatti sempre più virulenti, vedi il fondamentalismo islamista e i rigurgiti nazionalisti; ma chissà, forse i ‘pro-global’ sono più timidi e riservati dei contestatori.
Battista, ansioso di comunicare al mondo i benefici della globalizzazione, è abbastanza impreciso sulla fonte dei dati che sta fornendo, cioé il Global Monitoring Report (GMR) 2015/16, realizzato da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, liberamente scaricabile on line (lo ammetto: malgrado l’avversione profonda per BM e FMI, ne ho sempre apprezzato l’estrema trasparenza. Affamatori di popoli sì, ma con grande classe: questo documento è addirittura distribuito su licenza Creative Commons! Governi di tutto il mondo, imparate!).
Il giornalista del Corriere parla genericamente di ‘poveri’ e ‘povertà’ senza mai specificare esattamente che cosa si intenda con questi termini, mentre il GMR è molto chiaro in proposito: ‘povero’ è chi percepisce un reddito inferiore a due dollari al giorno, meno di 700 dollari all’anno. Chiaramente, una soglia simile non è proponibile in tantissime nazioni, occidentali e no, dove il costo della vita è tale per cui due dollari (o anche tre o più) al giorno sono un biglietto di sola andata per la miseria più nera; la Banca d’Italia, ad esempio, fissa la soglia di povertà intorno ai 10 Euro al giorno. Tutti coloro che nel mondo hanno visto il proprio reddito fortemente danneggiato dalla crisi economica ma riescono ancora a guadagnare almeno 60 dollari al mese, stando ai canoni del GMR non sono poveri. Secondo i criteri dell’ISTAT, che sono ovviamente più consoni al nostro paese di quelli della BM, in Italia i poveri tra il 2011 e il 2014 sono aumentati di più di un milione; l’Eurostat stima che le persone vittime di grave deprivazione materiale nella UE siano passate da più di 41 milioni del 2010 a oltre 48 milioni nel 2014. Nell’euforia di comunicare la buona novella economica, a Battista tutto ciò è completamente sfuggito.
Il pensiero della decrescita ha sempre criticato le concezioni economiciste della povertà, preoccupate solo di quantificare il reddito monetario, perché, se riesci ad autoprodurti gran parte dei beni fondamentali o ti trovi inserito in una rete familiare o comunitaria tale per cui riesci a procurarteli in modo informale, anche con meno di due dollari al giorno si può affrontare vittoriosamente la sfida della povertà. Tenendo a mente ciò, osserviamo il prossimo grafico, tratto dal GMR e relativo all’andamento della povertà nel tempo per aree geografiche:

povertà

E’ evidente come il calo più considerevole della povertà sia avvenuto nell’Asia orientale: in termini assoluti, si tratta di circa 65 milioni di persone, quasi un terzo dei 200 milioni complessivi, dove la Cina ovviamente fa la parte del leone. Tutto ciò mette non poco in crisi le concezioni di Battista.
In primo luogo, la Cina e l’Asia orientale sono state protagoniste di massicci esodi dalle campagne, testimoniati dalla creazione di numerose megalopoli da più di 5 milioni di abitanti: in città il reperimento dei beni fondamentali può avvenire solo tramite scambi monetari, (almeno legalmente: non è un caso che tali realtà iper-sovraffolate subiscano altissimi tassi di criminalità) per cui due dollari o poco più al giorno possono non bastare per un’esistenza dignitosa. Concetto troppo astratto e nebuloso? Cerchiamo allora di dargli una consistenza numerica.
Secondo L’indice globale della fame 2014, 805 milioni di persone assumono una quantità di cibo insufficiente, mentre altre due miliardi soffrono di ‘fame nascosta’, seguono cioè una dieta carente di vitamine e minerali fondamentali. Insomma, 103 milioni di persone si trovano nella strana situazione per cui non sono più povere ma rischiano costantemente l’inedia, mentre un paio di miliardi ha superato la soglia di povertà ma evidentemente non se n’è accorta.
In secondo luogo, il giornalista nel suo articolo presenta la riduzione della povertà come il trionfo di “dinamismo economico, quel poco di libero mercato e di libero commercio che riesce ad imporsi pur in condizioni ambientali tanto ostili”, a dispetto della narrazioni di “economisti che conoscono lo statalismo e il dirigismo come unico dogma”. Sarebbe riduttivo affermare che in Cina statalismo e dirigismo sono “l’unico dogma”, di sicuro però le politiche economiche si sono sempre contraddistinte per il totale disinteresse del verbo neoliberista predicato da BM e FMI e sempre sostenuto a spada tratta da Battista e il suo giornale. Non è un caso che l’India, altra grande nazione emergente la quale però ha seguito una strategia economica un po’ più ‘ortodossa’, patisca un tasso di povertà del 21,2% contro il 6,5% cinese (anche il GMR, malgrado la cruda esposizione dei dati, preferisce glissare e non approfondire).
Il peggio però deve ancora arrivare. E’ sempre antipatico mettere in dubbio la correttezza intellettuale e/o la capacità di comprensione di chicchessia, anche quando si tratta di critici della della crescita e apologeti del neoliberismo, i quali molto spesso ti costringono a pensar male e dubitare di loro. Scrive infatti Battista: “Ci sono 200 milioni di disperati che sono usciti dall’inferno della miseria assoluta, dell’indigenza più umiliante, dei bambini che muoiono per inedia, a cominciare dall’Africa sub-sahariana”.
Rivedendo il grafico appena esposto, è evidente che la curva della povertà rappresentante l’Africa sub-sahariana è proprio l’unica che non accenna a diminuire, fatto a cui il GMR dà per altro molto risalto, dimenticandosi però che quelle nazioni africane – a differenza dell’Asia orientale – hanno pressoché seguito fedelmente i dettami di BM e FMI, in particolare l’adozione dei famigerati piani di aggiustamento strutturale.
Siccome non vogliamo credere che un giornalista serio e preparato come Battista si sia limitato a leggere poche righe di una notizia d’agenzia per dedurne il brillante sillogismo ‘diminuzione delle persone che vivono con meno di due dollari al giorno > riduzione della povertà > trionfo della globalizzazione sui suoi critici’, è evidente che, causa i numerosi impegni, non ha potuto leggere il GMR con la dovuta attenzione e soprattutto con il giusto atteggiamento critico, dal momento che proviene da un’istituzione non certo neutrale sul piano ideologico (per quanto molto più obiettiva di tanti giornalisti, va detto). Per il resto, lo ringraziamo per la preziosa lezione di mistificazione, involontaria o meno che fosse.”

Infine Sara Gandolfi, sempre dal Corriere:

WASHINGTON – Il pianeta è ogni giorno un po’ più ricco e, forse, l’ambizione di sconfiggere la miseria non è un’utopia irrealizzabile. Il numero di persone che vive in povertà estrema scenderà infatti entro fine anno sotto il 10 per cento della popolazione globale. Lo assicura la Banca mondiale che ieri ha presentato le sue ultime proiezioni e ha aggiornato la soglia per definire il problema: è in estrema povertà chi ha meno di 1,90 dollari al giorno (non più 1,25), tenuto conto del reale potere d’acquisto dei singoli Paesi.
Erano 902 milioni — il 12,8% della popolazione — nel 2012 e secondo le ultime stime scenderanno a 702 milioni, ossia il 9,6%, nel 2015. «Siamo la prima generazione nella storia dell’umanità che può porre fine alla povertà estrema», ha commentato il presidente della Banca mondiale, Jim Yong Kim, sottolineando che questo sorprendente risultato è dovuto soprattutto ai sostenuti tassi di crescita economica nei Paesi emergenti, come India e Cina, oltre che agli investimenti nell’educazione e nella sanità.
Solo pochi giorni fa, l’Onu ha varato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. La fine della povertà estrema, entro 15 anni, è il primo dei 17 obiettivi e in qualche modo abbraccia gli altri, dalla giustizia sociale alla sfida «Zero fame». Per la prima volta sono chiamati ad agire tutti i 193 Paesi membri, sia quelli ricchi sia quelli poveri e a medio reddito. E, come ottavo obiettivo, figura pure la crescita economica «inclusiva, sostenuta e sostenibile» nonché «un lavoro dignitoso per tutti».
Non sarà una sfida facile, ammette Jim Yong Kim, «in un periodo di crescita globale rallentata, mercati finanziari instabili, guerre, alti tassi di disoccupazione giovanile e cambiamenti climatici». Soprattutto, in alcune aree del mondo. Nel 1990, oltre la metà dei poveri viveva in Asia orientale e circa il 15% nell’Africa subsahariana. Oggi la situazione è ribaltata. Milioni di asiatici godono di un migliore tenore di vita, grazie al dirompente sviluppo della Cina e dei suoi vicini, mentre l’Africa è ancora prigioniera di guerre, corruzione e sottosviluppo. E nessun dato recente è disponibile per Medio Oriente e Nord Africa dove i conflitti e il boom demografico creano ostacoli insormontabili nella lotta alla povertà, come sostiene il Global Monitoring Report che la Banca mondiale lancerà dopodomani.
Non sono gli unici motivi di cautela. «C’è turbolenza davanti a noi. Le previsioni economiche per il prossimo futuro sono meno brillanti del previsto», avverte l’indiano Kaushik Basu. La lotta a povertà, fame, malattie passa da una crescita economica pari almeno al 7% del Pil nei Paesi meno sviluppati, sostiene l’Onu. Un obiettivo troppo ambizioso di questi tempi?”

Le 12 tesi di Spong. 10

Pubblico la decima tesi di John Shelby Spong. Qui la cornice di inquadramento del suo lavoro e qui la fonte.

La preghiera non può essere una petizione fatta a una divinità teista perché agisca nella storia umana in un Beim-Angeluslaeutendeterminato modo.
Di tutti i temi di cui mi sono occupato, quello della preghiera e della sua efficacia è sempre quello che suscita maggiori reazioni. Credo che sia perché, in ultima istanza, la preghiera è l’attività attraverso cui le persone definiscono chi è Dio per loro e cosa intendono con la parola “Dio”. (…).
La maggior parte delle definizioni della preghiera poggiano su una concezione teista di Dio. (…). Così, si percepisce la preghiera come un’attività rivolta a una figura esterna che possiede un potere soprannaturale di cui non dispone chi prega. La preghiera diventa allora una petizione di chi è impotente verso il potente, perché agisca in modo tale da fare per il richiedente quello che lui non può fare da sé e quello che desidera che succeda. In questa concezione, l’attività della lode, che tanto spesso accompagna la preghiera, diventa una sorta di adulazione manipolatrice. (…). Si tratta di una concezione in cui la preghiera risulta, in fin dei conti, idolatria, un tentativo di imporre a Dio la volontà umana. È l’idolatria che consiste nel trasformare Dio in colui che farà quello che dico io, e si basa sulla presunzione che io sono superiore a Dio, che io so cosa è meglio. E in tal modo si assume anche il fatto che Dio è un’entità separata, che non è necessariamente in contatto con l’umano, eccetto che attraverso interventi miracolosi. (…).
La vita è così piena di tragedie, di malattie e di dolore che nel più profondo di noi sappiamo che questo tipo di preghiera è un’illusione. Tuttavia, il dolore della vita fa sì che, invece di riconoscere questo carattere illusorio, le persone pensino di essere così cattive da meritare non la benedizione di Dio, ma la sua ira.
(…). Cos’è allora la preghiera? Non sono le richieste degli umani a un Dio teista che è al di sopra del cielo affinché intervenga nella storia o nella vita di chi prega. La preghiera è piuttosto lo sviluppo della coscienza che Dio opera attraverso la vita, l’amore e l’essere di tutti noi. La preghiera è presente in ogni azione che fa sì che la vita migliori, che il dolore sia condiviso o che ci si faccia coraggio. La preghiera è sperimentare la presenza di Dio, la quale ci porta ad unirci gli uni agli altri. La preghiera è quell’attività che ci fa riconoscere che “è dando che si riceve”, per usare le parole di San Francesco. La preghiera è più nella vita che viviamo che nelle parole che diciamo.
Per questo San Paolo ha potuto esortarci a “pregare incessantemente”. Ciò non significa che dobbiamo recitare preghiere ogni momento. Significa che dobbiamo vivere le nostre vite come una preghiera, camminare attraverso la tragedia e il dolore sapendo che in realtà non procediamo da soli. La preghiera è sapere e capire che possiamo essere le vite attraverso cui il divino entra nell’umano. La preghiera è il riconoscimento che viviamo in Dio, che è la Fonte della nostra vita, la Fonte del nostro amore e il Fondamento del nostro Essere. (…).”

Gemme n° 274

La mia gemma, la canzone, è un omaggio a Ben Linder, un ingegnere civile statunitense ucciso dai Contras in Nicaragua nel 1987. Questo brano fa ricordare che dall’arroganza e dalla violenza non può nascere nulla: l’atto finale che ha messo fine a una vita innocente sarà solo servito a ribadire che tra noi e l’inferno o tra noi e il paradiso c’è solo la vita, la cosa più fragile del mondo.” Queste le parole di S. (classe terza), che ha concluso il suo intervento con una citazione di Blaise Pascal.
Il protagonista del film “Into the wild” afferma che “la fragilità del cristallo non è una debolezza ma una raffinatezza”. Penso che la bellezza della vita sia connessa anche alla sua fragilità e questo ci insegna il rispetto che ne dobbiamo avere per apprezzarla quanto più possibile.

Le 12 tesi di Spong. 9

Pubblico la nona tesi di John Shelby Spong. Qui la cornice di inquadramento del suo lavoro e qui la fonte.

Non c’è alcun criterio eterno e rivelato, raccolto nella Scrittura o in tavole di pietra, che debba sempre reggere il nostro agire etico.
È Dio che ha redatto i Dieci Comandamenti? Naturalmente no. (…). Un dato interessante della storia biblica è che i Dieci Comandamenti non erano al principio leggi con validità universale. Erano pensati solo per reggere le relazioni tra ebrei. I comandamenti dicono: “Non uccidere”. Tuttavia, nel Primo Libro di Samuele si legge che Dio istruì il profeta perché dicesse a Saul di andare in guerra contro gli amaleciti e di uccidere tutti gli uomini, le donne, i bambini, i neonati, i buoi e gli asini (1 Sam 15,1-4). (…). I Comandamenti dicono “Non dire mosèfalsa testimonianza”. Tuttavia, il libro dell’Esodo presenta Mosè nell’atto di mentire al Faraone sul perché avrebbe dovuto permettere agli israeliti di andare nel deserto a offrire sacrifici a Dio (Es 5,1-3). Il codice morale della Bibbia si conformava sempre alle necessità del popolo. Questa era la sua natura. La pretesa di una paternità divina di questo codice morale era semplicemente una tattica per garantirne l’osservanza.
Ogni regola ha la sua eccezione. (…). È male rubare? Naturalmente (…). Supponiamo tuttavia che l’oppressione dei poveri da parte dell’ordine economico sia così estrema che rubare un po’ di pane sia l’unico modo per evitare che tuo figlio muoia di fame. (…). Potremmo riportare molti altri esempi, fino a prendere atto che non esiste un assoluto etico che non possa essere messo in discussione dinanzi alle relatività della vita. Pertanto, il criterio etico definitivo non può essere trovato semplicemente rispettando le norme. (…). Quello che ci guida non sono tanto le norme quanto le mete che perseguiamo. Se la forma suprema di bontà si esprime nella scoperta della pienezza della vita, allora tutte le decisioni morali, comprese quelle in cui non è chiaro cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, devono essere prese non in accordo alle leggi morali, ma secondo il fine che si persegue. La questione che bisogna porsi in ogni azione è: questo fatto fa sì che l’umanità si espanda e si consolidi? (…) Questa azione è contraria alla vita o la rende migliore? Incrementa l’amore o lo riduce? Chiama a un senso più profondo del proprio essere o lo reprime?
Se Dio è un verbo che bisogna vivere più che un nome da definire, allora i codici morali sono strumenti che bisogna apprezzare, ma non regole che devono essere seguite. (…). Non sempre è facile adottare la decisione corretta. Non è facile essere cristiani nel XXI secolo.”

Gemme n° 273

Ho scelto questa canzone perché mi fa riflettere sulla figura di Dio. Io sono agnostica; c’è stato un periodo della mia vita in cui ho cercato di avvicinarmi a Dio ma non ci sono riuscita. Non concordo con tutto quello che dice il testo, ad esempio penso sia troppo facile cercare Dio solo quando si è nei guai. Non penso sia una bestemmia questa canzone, come è stato scritto in rete; penso esprima il dolore dell’autore e la sua speranza di trovare Dio”. “Lettera dall’inferno” di Emis Killa è stata la gemma di J. (classe terza).
Riporto il grido rabbioso di Giobbe, ancora più forte di quello di Emis Killa, dal libro omonimo della Bibbia, capitolo 3: “Dopo, Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno; prese a dire: Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: «È stato concepito un uomo!». Quel giorno sia tenebra, non lo ricerchi Dio dall’alto, né brilli mai su di esso la luce. Lo rivendichi tenebra e morte, gli si stenda sopra una nube e lo facciano spaventoso gli uragani del giorno! Quel giorno lo possieda il buio non si aggiunga ai giorni dell’anno, non entri nel conto dei mesi. Ecco, quella notte sia lugubre e non entri giubilo in essa. La maledicano quelli che imprecano al giorno, che sono pronti a evocare Leviatan. Si oscurino le stelle del suo crepuscolo, speri la luce e non venga; non veda schiudersi le palpebre dell’aurora, poiché non mi ha chiuso il varco del grembo materno, e non ha nascosto l’affanno agli occhi miei! E perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? Perché due ginocchia mi hanno accolto, e perché due mammelle, per allattarmi? Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei pace con i re e i governanti della terra, che si sono costruiti mausolei, o con i principi, che hanno oro e riempiono le case d’argento. Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bimbi che non hanno visto la luce. Laggiù i malvagi cessano d’agitarsi, laggiù riposano gli sfiniti di forze. I prigionieri hanno pace insieme, non sentono più la voce dell’aguzzino. Laggiù è il piccolo e il grande, e lo schiavo è libero dal suo padrone. Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha l’amarezza nel cuore, a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, che godono alla vista di un tumulo, gioiscono se possono trovare una tomba… a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio da ogni parte ha sbarrato? Così, al posto del cibo entra il mio gemito, e i miei ruggiti sgorgano come acqua, perché ciò che temo mi accade e quel che mi spaventa mi raggiunge. Non ho tranquillità, non ho requie, non ho riposo e viene il tormento!”.

Gemme n° 272

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Vorrei condividere una citazione del film “Remember me”: “Qualsiasi cosa tu faccia sarà insignificante ma è molto importante che tu la faccia”. La frase in realtà è di Gandhi. Mi ha colpita: da una parte apre gli occhi sul fatto che nel mondo sei un puntino e ogni azione può essere insignificante, ma anche che per te può essere fondamentale. Penso sia importante prendersi le responsabilità, buttarsi, seguire i desideri e i sogni: a nascondersi dietro le paure si perde sempre. Troppo spesso ci ripariamo dietro un “E se andasse storto?”.” Questa la gemma di A. (classe quarta).
Ricordo ancora benissimo la sensazione che provai nel momento in cui decisi di abbandonare la facoltà di scienze geologiche: la descrive benissimo Milan Kundera ne “L’identità”: “Scese per l’ultima volta il grande scalone esterno della facoltà con il presentimento che avrebbe finito per ritrovarsi da solo su un binario dal quale tutti i treni erano ormai partiti”. Quella sensazione di vuoto e di solitudine era però accompagnata in me dal desiderio del nuovo viaggio che mi avrebbe portato a insegnare religione. Buttarsi… seguire i sogni… prendersi le responsabilità: sì, ne vale la pena.

Gemme n° 271

Ho voluto portare come gemma la canzone di queste tre ragazze francesi che rifanno alcune canzoni riarrangiandole con la loro voce, un violoncello e qualche percussione. Fanno dei bei giochi vocali e per me sono bravissime: penso sia una forma d’arte fantastica e vorrei farle conoscere.”
Così F. (classe quinta) ha presentato la sua gemma. Mi capita a volte di restare affascinato da una voce che canta, ho l’impressione di partire per un viaggio senza sapere quale sarà la destinazione. Un po’ come descrive F. Scott Fitzgerald: “Era il tipo di voce che le orecchie seguono come se ogni parola fosse un arrangiamento di note che non verrà mai più suonato”.

Gemme n° 270

bimbi

La mia gemma è una foto in cui sono con mio fratello appena nato. Per 6 anni avevo chiesto ai miei genitori un fratellino. Adesso magari sono un po’ meno contenta perché dà un po’ di lavoro… ma in quel momento ero la persona più felice del mondo. La prima volta che l’ho preso in braccio avevo paura di romperlo e la maglietta che avevo indosso l’ho tenuta: avrei voluto portarla ma è in qualche baule della soffitta… quindi ho portato la foto”. Questa la gemma di G. (classe quarta).
La bellezza e la capacità talvolta di saper tornare bambini, magari per riuscire a meravigliarsi pienamente, magari per guardare il mondo in modo diverso: “Lasciati guidare dal bambino che sei stato.” (Josè Saramago)

Gemme n° 269

eleonora

E. (classe seconda) ha presentato così la sua gemma: “Vi presento Eureka, la mia cavalla, anche se è da un po’ che non cavalco. Era anche una passione di mio nonno che in pratica non ho mai conosciuto, perché scomparso quando io ero molto piccola. E’ un modo per avvicinarmi a lui.”

Così dei cavalli parlava Lev Tolstoj: “Il cavallo possedeva al massimo una qualità che faceva dimenticare tutti i suoi difetti; aveva il “sangue”, sangue “che si fa sentire”, come dicono gli inglesi. I muscoli fortemente rilevati al di sotto della rete delle vene, distesi sotto la pelle sottile, mobile e liscia come raso, sembravano duri come ossa. La testa asciutta, con gli occhi in rilievo, luminosi e vivi, si allargava verso le froge prominenti dalle membrane iniettate di sangue all’interno. In tutta la linea della cavalla, e in particolare nella testa, c’era qualcosa di volitivo e nello stesso tempo di dolce. Era una di quelle bestie che sembra non parlino solo perché la conformazione della loro bocca non lo permette”.

Gemme n° 268

Alice copia

Arrivo a casa e getto lo zaino per terra, è finita un’altra giornata… “come è andata la visita sportiva xxx, faticato?” è una di quelle domande che fai per educazione, per fare conversazione: tanto l’idoneità la danno sempre, a tutti, sempre.
Mamma è seria, ma non seria da arrabbiata perché la mia camera è un disastro; ha il viso abbattuto di chi si fa un sacco di domande “allora come è andata questa visita?” insisto “Ha la scoliosi, xxx ha la scoliosi”. Aspetta, faccio mente locale, anche yyy ha la scoliosi, ha la schiena un po’ storta ma finisce qui. “Oddio, ma..ma quindi cioè non cambia niente?”. “Il medico non se la sente di darle l’idoneità, bisogna fare altre visite, si vedrà”.
E’ febbraio 2015 quando scopriamo che xxx, mia sorella, ha la scoliosi ossia un problema alla schiena.
È maggio, poche ore e i miei genitori torneranno a casa, con il verdetto, continuerà o no ginnastica?
Peccato, peccato perché c’era dell’altro, molto altro, e io di lì a poco lo avrei scoperto.
Quindi?” scendo in cucina appena sento la chiave muoversi nella serratura.. Ho visto una sola volta papà davvero serio in tutta la mia vita ed è stato quel pomeriggio, non sapevo a cosa pensasse, non capivo perché tanta tristezza nei loro occhi… “xxx deve mettere il busto” arriva fredda come la doccia delle spiagge in estate, dura come lo spigolo del tavolo sul mignolo, è la batosta alla quale non sono pronta, quella che avevo letto sui blog ma avevo ritenuto “casi speciali”, quella che “xxx non metterà mai quella roba, lei è un caso meno grave” e invece no, xxx aveva un inclinazione della colonna vertebrale di già __ gradi, il che era gravissimo.
In 15 anni sono sempre riuscita a schivare le brutte notizie i piccoli problemi che mi si presentavano, ma quella volta era diverso, non c’era il piano B, non c’era un’uscita di sicurezza, era così e basta e a me le cose così e basta non piacevano.
Nelle parole della mamma c’era l’amaro di chi non vuole farsene una ragione, quell’orribile senso di colpa che si teneva addosso, si sentiva responsabile, e poi in fondo c’era la rabbia per non averlo scoperto prima, per non poterlo evitare.
Così salgo in camera, mi chiudo e torno su quel dannatissimo blog, e leggo fino ad aver finito le lacrime, fino ad addormentarmi.
Avete presente gli incubi, quelli in cui ti svegli e capisci che era tutto un sogno, che grazie al cielo era finito tutto? mi sarebbe piaciuto davvero tanto credere che anche quel pomeriggio di maggio fosse solo stato un brutto sogno.
xxx non l’aveva presa male, non le pesava tanto, certo era meglio non averlo ma non aveva pianto, urlato o cose simili, lo aveva messo ed era arrivata a casa con quello che lei ha chiamato jeansetto; è un busto in una speciale plastica leggera color jeans, perché secondo lei è molto più carino e alla moda. xxx lo indossa 20 ore al giorno, ci dorme e soprattutto ci va a scuola, gli amici le hanno fatto mille domande all’inizio, le hanno chiesto di toccarlo e di mostrarlo e lei, lei è spensierata e tranquilla, lo mostra con orgoglio e si diverte pure.
A volte mi capita di pensare a qualcuno che un giorno mi chieda di esprimere tre desideri, me ne basterebbe anche solo uno e sarebbe eliminare questo problema, ridarle la totale libertà.
La cosa che mi fa più male è sentirla dire “questo non lo posso mettere perché si vede sotto il busto” odio sentirla parlare così, non lo merita.
La mamma le ha insegnato che “jeansetto” la rende forte e indistruttibile che si può difendere dagli amici dispettosi, che avrà sempre la pancia piatta e che in inverno non avrà mai freddo. Cose così la rendono forte, le fanno capire che le prese in giro sono inutili.
Il medico disse una cosa quel pomeriggio “la sua vita cambierà radicalmente perché dipenderà totalmente dal busto” una frase così oltre che angosciante è anche totalmente falsa, xxx fa quello che vuole con o senza busto e soprattutto vive come vuole, con o senza busto.
Sono fiera di lei, e non smetterò mai di esserlo, sono fiera per la sua forza, per la determinazione con cui non sgarra, perché se lo tiene un’ora in meno si sente in colpa e soprattutto sono fiera della sua spensieratezza di chi guarda le cose con positività, a lei che è la più grande certezza della mia vita.”

Questa è la gemma con cui A. (classe seconda) ha voluto parlare di sua sorella. E ci ha fatto un grande regalo parlando di coraggio, di paura e di speranza. Sant’Agostino diceva “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle”. Anche guardare le cose in modo diverso dal previsto è cercare di cambiarle. E ci vuole coraggio.

Le 12 tesi di Spong. 8

Pubblico l’ottava tesi di John Shelby Spong. Qui la cornice di inquadramento del suo lavoro e qui la fonte.

Il racconto dell’ascensione di Gesù presuppone un universo a tre livelli e, pertanto, non può essere tradotto nei concetti di un’era post-copernicana.
Quando nei vangeli venne scritta la storia di Gesù, tra gli anni 70 e 100, esisteva un consenso generale sul Ascensionfatto che la terra fosse il centro di un universo disposto su tre livelli. Il luogo in cui Dio abitava era al di sopra del cielo; l’inferno, il luogo del male, era sotto la terra (…). Cosicché buona parte dell’interpretazione tradizionale del cristianesimo ha assunto presupposti basati sulla conoscenza pre-moderna. Non è stato pertanto difficile comprendere come, nel momento in cui Luca introdusse nella tradizione cristiana (…) il racconto del ritorno di Gesù a Dio, ciò sia avvenuto secondo l’immagine di un mondo su tre livelli. Gesù poteva tornare al Dio che viveva al di sopra del cielo solo ascendendo verso questo cielo. Tutto aveva senso all’interno di questo universo pre-moderno. (…).
Lo studio delle Scritture rivelerà, tuttavia, che Luca sapeva di raccontare una storia basata sul racconto dell’ascensione di Elia, nel capitolo 1 del Secondo Libro dei Re. Luca non pretese mai che il suo scritto venisse interpretato letteralmente. Non abbiamo reso giustizia al genio di Luca interpretandolo letteralmente. (…).

Gemme n° 267

Mi è stato difficile scegliere cosa portare, perché volevo trattare di qualcosa che mi stesse veramente a cuore e non sono poche le cose in questo senso. Questo però è uno dei temi a cui tengo maggiormente.

Ero indecisa perché trovo la fine un po’ forzata (ma è un corto). Per me è ottimo modo per far capire situazione di queste persone. Di solito non si rispetta o si tende a non rispettarle per l’evidenza del genere sessuale. Ma non è giusto nei loro confronti. Ho conosciuto persone come Emile ed è dura, difficile mettersi nei loro panni. Ci vuole sensibilità e rispetto nel rapportarsi con loro. Non è un genitale a rendere il sesso di una persona. Sentirsi nati nel corpo sbagliato deve essere durissima; è un percorso lungo da affrontare quello di chi vuole cambiare sesso. Servono rispetto e comprensione”.
George Bernard Shaw affermava: “L’unico uomo che conosco che si comporta sensibilmente è il mio sarto; ogni volta che mi vede prende di nuovo le mie misure. Gli altri invece vanno avanti con le loro vecchie misure e si aspettano che io faccia altrettanto”. Penso che sensibilità, rispetto e delicatezza invocate da A. (classe quinta) siano alcuni dei vestiti necessari che dobbiamo ricordarci di indossare quando ci approcciamo alle altre persone per far sì che il nostro cuore diventi per loro luogo di calore accogliente e non freddo antro respingente.

Gemme n° 266

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Nell’ultimo anno ho potuto scoprire come la fotografia sia un modo per esprimersi e anche per conoscere come una persona vede le cose o magari le modifica: si vede il suo lato interno e come osserva i vari aspetti del mondo. Si capisce anche cosa la gente pensa vedendo le tue foto, e fa piacere che vengano apprezzate e condivise da qualcuno che le vedo allo stesso modo.”
Questa la gemma di N. (classe seconda). Mi piace fotografare e ammirare gli scatti delle altre persone: è come fare un viaggio dentro di loro. Mi diverto anche a mettermi al posto loro: avrei fatto lo stesso scatto? Cosa mi stanno dicendo con quello scatto? Il grandissimo Ansel Adams diceva: “Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato.”

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Libertà quanto è cara

Ero piccolo quando mi ritrovai per le mani un libro delle favole di Fedro. Non ricordo se si trattasse di un regalo o di un prestito; so di averlo letto molto spesso. Una di quelle che mi piaceva maggiormente era senza dubbio quella del cane e del lupo, che in questi giorni mi è tornata alla mente. La riporto però in una delle versioni che amo di più, la traduzione di Alessandro Marchetti (1633-1714).

Libertà quanto è cara, in breve espongo.lupo_cane_fontaine
Un Lupo, cui consunto ha lunga fame,
Un ben pasciuto Cane a sorte incontra:
Fermi si salutaro. Primo il Lupo:
Onde tal liscio, onde sì lauto cibo,
Il ventre ti distese? Io più robusto
Di te, a perir son da ria fame astretto.
Semplicemente il Can: Fia ugual tua sorte,
Se ugual servizio il mio padron n’ottenga.
E qual? Custode il dì sia de la soglia
Da i ladri la magion guardi la notte.
Io son pronto; nè boschi, e pioggia, e nevi
Soffrir m’è forza, e dura vita io meno;
Quanto più agevol fora sotto il tetto
Viver agiato, e largamente pascermi?
Vien dunque meco. Nel cammin s’accorge,
Che roso il Can da la catena ha il collo.
Onde è ciò, amico? Nulla. Amo saperlo.
Poichè sembro feroce, il dì mi legano
Perchè allor dorma, e desto sia la notte:
Sciolto su l’imbrunir, vo dove voglio:
Benchè nol chiegga, mi si porta il pane;
Da la mensa il padron l’ossa mi porge;
La famiglia gli avanzi; e se a taluno
Vien qualche cibo a noja, a me si getta:
Così senza fatica empiomi il ventre.
Ma se d’altrove andar mi vien talento,
Possol’io far? O questo no! e tu goditi,
Cane, le tue venture: io non le curo.
Regnar non vo’, se libertade io perdo.

Le 12 tesi di Spong. 7

Pubblico la settima tesi di John Shelby Spong. Qui la cornice di inquadramento del suo lavoro e qui la fonte.

resurrezioneLa resurrezione è un’azione di Dio. (…). Pertanto, non può consistere in un resuscitare fisico all’interno della storia umana. (…).
È interessante notare che Paolo, il primo autore di uno scritto entrato a far parte del Nuovo Testamento, non descrive mai alcuna apparizione del Cristo risorto. Ci fornisce semplicemente una lista di quanti erano stati testimoni della resurrezione (1 Cor 15, 1-6, risalente all’anno 54). Nella lista include se stesso, con la differenza, dice, che quella era stata l’ultima apparizione. Gli esperti stimano che la conversione di Paolo avvenne non prima di un anno dopo la crocifissione né dopo sei. Fu un corpo fisicamente risorto quello che vide Paolo? (..). Di certo Luca non la pensava così. Descrive la conversione di Paolo, la sua percezione del Gesù risorto, come qualcosa derivante da una visione durante il cammino di Damasco, non come la percezione di un corpo fisico (At 9,11ss). (…).
I racconti di Pasqua del Nuovo Testamento, quando vengono esaminati nel loro insieme, non dimostrano nulla. Riguardo al momento della Pasqua, discordano in tutti gli aspetti significativi. (…). Ciò potrebbe significare che non esiste un momento oggettivo della resurrezione e che, di conseguenza, tutto quello di cui disponiamo sarebbero teorie soggettive. Ma potrebbe anche significare che quello che chiamiamo “resurrezione” sia stata un’esperienza così potente e trasformatrice da non poter essere espressa a parole e che quello che ci stanno indicando tali contraddizioni non è altro che l’esistenza di tentativi soggettivi di esprimere quella che è stata e sempre sarà l’esperienza di una meraviglia ineffabile.
Credo che la resurrezione di Gesù sia reale. Non credo che abbia nulla a che vedere con una tomba vuota né con un corpo che resuscita. È la visione di qualcuno che non è più legato ad alcuno dei limiti della nostra umanità. È il richiamo a una nuova coscienza, il richiamo a una nuova realtà, oltre il tempo e lo spazio. (…).”

Le 12 tesi di Spong. 6

Pubblico la sesta tesi di John Shelby Spong. Qui la cornice di inquadramento del suo lavoro e qui la fonte.

L’interpretazione della croce come sacrificio per i peccati è pura barbarie: è basata su concezioni primitive di Captive_MaidDio e deve essere respinta. Nel libro dell’Esodo si racconta che l’inquietudine del popolo giunse a limiti pericolosi allorché Mosè rimase a lungo assente per ricevere da Dio la Torah e i Dieci Comandamenti. Per calmare la propria ansia, il popolo andò dal sommo sacerdote Aronne, fratello di Mosè, e gli chiese di costruire un idolo, un vitello d’oro, per avere una divinità che tutti potessero vedere. (…). Mosè tornò dal popolo proprio allora, portando, secondo quanto narra la storia biblica, le tavole di pietra in cui erano scritti i Dieci Comandamenti. Dinanzi all’atto di idolatria, ruppe le tavole contro il suolo e si infuriò con il popolo, il quale, secondo il racconto, soffrì l’ira di Dio finché finalmente Mosè decise che sarebbe tornato dal Signore e avrebbe cercato di realizzare un’“espiazione” per il popolo (Es 32,30). In questo antico riferimento notiamo che l’espiazione aveva a che vedere con il perdono. Con un Dio che offre una seconda chance.
Quando lo Yom Kippur – il Giorno dell’Espiazione – venne introdotto nel culto ebraico, era questo, secondo il Levitico, il suo scopo: celebrare il perdono di Dio, non il suo castigo (Lv 23,23ss). (…). Lo Yom Kippur includeva il sacrificio di animali che rappresentavano i sogni umani di perfezione. (…). Quando i gentili conobbero questa pratica, pensarono che gli animali fossero sacrifici richiesti e che dovessero presentarli come offerta a Dio per essere perdonati. Questi animali sarebbero stati il prezzo che Dio reclamava per offrire il suo perdono. (…).
Lo Yom Kippur si riferisce al popolo che torna a unirsi a Dio. Non ha nulla a che vedere con il castigo. Al momento dell’elaborazione dei vangeli, le immagini dello Yom Kippur vennero più volte trasferite nel racconto di Gesù. Fu Paolo a dare il via a questo processo nella prima Lettera ai Corinzi: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1 Cor 15,3). Era un chiaro riferimento all’azione liturgica dello Yom Kippur. Più tardi, Marco usò la parola «riscatto» per riferirsi alla morte di Gesù (Mc 10,45). (…). Quando venne scritto il quarto Vangelo, verso la fine del I secolo, il suo autore mise in bocca a Giovanni Battista, la prima volta che vede Gesù, questa interpretazione, con le parole: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,29). Tali parole derivano direttamente dalla liturgia dello Yom Kippur. (…).
Le generazioni successive di cristiani gentili, che non erano consapevoli della tradizione ebraica dello Yom Kippur, sottoposero questi simboli a una rozza interpretazione letterale e svilupparono le idee ora associate alla cosiddetta “espiazione di sostituzione”.
Il concetto inizia a svilupparsi a partire dall’idea della depravazione degli esseri umani, caduti nel “peccato originale” a causa della disobbedienza umana alle leggi di Dio. (…). Si pensava che fossero talmente corrotti dal peccato originale che solo Dio potesse riscattarli, per mezzo di un suo intervento. Dal momento che il castigo per il loro peccato era più di quanto qualsiasi essere umano avrebbe potuto sostenere, si sviluppò l’idea che Dio avrebbe messo il suo figlio divino al posto dei peccatori. Cosicché (…) Gesù si trasformò nella vittima dell’ira divina. (…). I cristiani iniziarono a dire: “Gesù ha sofferto per me”. E la frase “Gesù è morto per i miei peccati” diventò il mantra della vita cristiana (…). Siamo così diventati i responsabili della morte di Gesù. Gli assassini di Cristo, pieni di colpa. (…). Con il tempo, questa teologia ha fatto sì che la nostra principale risposta nel culto diventasse quella di presentare suppliche a Dio perché abbia misericordia. (…).
Che razza di Dio è questo di fronte a cui ci vediamo ridotti a mendicanti servili che supplicano misericordia? (…). L’espiazione di sostituzione è sbagliata sotto tutti i punti di vista. Il nostro problema non è quello di essere peccatori caduti da una perfezione originale in qualcosa chiamato “peccato originale”. Il nostro problema è che siamo essere umani incompleti che anelano a essere di più, a raggiungere la pienezza. Non abbiamo bisogno di essere risollevati da una caduta che non abbiamo mai sofferto. Abbiamo bisogno di essere accettati e amati semplicemente per quello che siamo, per arrivare a essere tutto quello che possiamo essere. (…).”