Da Missionline
«Ieri mi hanno minacciato dicendo che mia madre deve prepararsi a indossare l’abito nero e che se non chiuderò la mia grossa bocca faranno in modo che resti spalancata solo per le preghiere. Le mie intenzioni non sono contro la mia nazione, non sono affatto un traditore, io amo il mio popolo: siete voi i veri traditori, voi che vi comportate così con la vostra gente. Giorno e notte ricevo telefonate e lettere, ma non posso stare in silenzio davanti al dolore e alla tragedia che vedo. Non ci sarà mai nella mia vita un momento in cui sarò messo a tacere, anche se questo dovesse portare alla mia morte. Signori, non potreste essere voi a chiudere la bocca e a porre fine alle ingiustizie in modo che noi non dobbiamo denunciarle? Ogni giorno affrontiamo arresti, torture ed esecuzioni di gruppo mai dichiarate ufficialmente, i prigionieri politici subiscono il peggiore trattamento, privati persino della presenza degli avvocati. Non lasciano neppure alle famiglie la possibilità di raccogliere informazioni sui loro cari detenuti. Che razza di legge è questa? Quale nazione senza legge si comporta così? Credete che far sopravvivere il vostro regime qualche giorno in più valga tutti questi omicidi ed esecuzioni? Non abbiamo più paura. Le violenze e le torture non fermeranno il nostro impegno a far uscire le notizie dall’Iran. Il vostro motto è: “Arresteremo, tortureremo, vi faremo tacere e non potrete più dare informazioni”. Ma il nostro è: “Vogliamo uscire dall’oppressione, otterremo la nostra libertà o con la fine della nostra lotta o con la fine della vostra ingiustizia”. Lunga vita all’Iran e agli iraniani e che la mia vita sia sacrificata per il mio Paese».
Così aveva scritto pochi giorni fa sul suo blog Sattar Behesti, 35 anni, uno dei blogger iraniani che diffondono le notizie sul dissenso mai spento a Teheran. Sapeva benissimo di essere nel mirino: le immagini di qualche settimana fa sulle manifestazioni nel bazar rilanciate attraverso i social network sono costate agli attivisti un nuovo giro di vita della cyber polizia degli ayatollah. Fatto anche di minacce personali, che per Sattar si sono tragicamente avverate: arrestato la scorsa settimana, ieri la sua famiglia ha ricevuto una telefonata dal carcere di Kahrizak. «Venite a ritirare il cadavere di vostro figlio». Secondo la ricostruzione dei siti dell’opposizione iraniana Sattar non è sopravvissuto alle torture. Si è avverato, dunque, quanto scriveva nel suo blog. Ma il vero problema è che si sta avverando anche il resto delle minacce rivoltegli dal regime iraniano. Quelle che non dipendono dalla violenza degli sgherri di Teheran, ma dall’indifferenza del resto del mondo. Perché purtroppo è vero: la morte di Sattar sta scivolando via nell’indifferenza. Diffusa ieri pomeriggio la notizia si è guadagnata qualche riga su qualche sito, ma non ce n’è già traccia – ad esempio – sui grandi quotidiani italiani di oggi. Ha scelto anche il giorno sbagliato per morire, Sattar, quello della sbornia da otto o dieci pagine sulle elezioni americane.