Gemma n° 1929

“Ho deciso di portare il ricordo dei miei nonni: loro sono morti un paio di anni fa a distanza di un anno l’uno dall’altra. Ho sempre cercato di negare la loro morte, anzi più che negare cercavo di non pensarci in modo da non rendere vera la loro assenza. Però a fine gennaio c’è stato il compleanno di mia nonna e due settimane fa quello del nonno e ho pensato a loro. Ho capito che quando penso a loro non voglio pensare al fatto che non ci sono più: la gemma vuol significare che il loro ricordo è una cosa preziosa che voglio conservare, e che è rimasto sempre presente con me. Penso a loro non come a due persone che non ci sono più nella mia vita ma che ci resteranno sempre; pensare a loro voglio che mi porti felicità e non tristezza. E’ una cosa che ho realizzato da poco il fatto che il loro ricordo sia una cosa preziosa che ho sempre avuto dentro di me”.

La gemma di M. (classe quarta) mi ha fatto pensare ad un testo di Khalil Gibran dal libro Il profeta:
“Allora una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore.
Ed egli rispose:
La vostra gioia è il vostro dolore senza la maschera.
E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso fu spesso pieno delle vostre lacrime.
E come potrebbe essere diversamente?
Quanto più penetra e scava il dolore dentro di voi, tanta più gioia potrete contenere.
La coppa che contiene il vostro vino non è la stessa coppa che fu bruciata nel forno del vasaio?
E non è il liuto che accarezza il vostro animo il legno stesso scavato dai vostri coltelli?
Quando siete gioiosi, guardate a fondo nel vostro cuore e vedrete che solo quello che vi ha dato dolore vi dà ora gioia.
Quando siete dolenti, guardate ancora nel vostro cuore, e vedrete che state in realtà piangendo per quello che vi ha dato diletto.
Alcuni di voi dicono: “La gioia è più grande del dolore”, e altri dicono: “No, il dolore è più grande”.
Ma io vi dico che essi sono inseparabili. Essi giungono insieme, e quando l’uno siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l’altro dorme sul vostro letto.
In verità siete come bilance oscillanti tra il dolore e la gioia. Soltanto quando siete svuotati, siete fermi e bilanciati. Quando il tesoriere vi solleva per pesare l’oro e l’argento, necessariamente gioia o dolore dovranno alzarsi o ricadere”.

Gemma n° 1928

“Come gemma ho voluto portare un libro che avevo in Chiesa, non tanto antico, degli anni ‘50. E’ scritto tutto in latino e ci sono le preghiere per le varie feste e celebrazioni. Nella foto c’è un canto che un tempo era molto sentito e che ora si sente poco: il Missus. Mi piacerebbe riportarlo nella nostra Parrocchia, così come le Rogazioni, i Vespri perché sono molto legato alle tradizioni. Quando vedo questo libro mi brillano gli occhi. Molti chiedono perché non studi per diventare prete: ammetto di averci pensato più di qualche volta, ma mi dicono che sarei troppo serio e il mio sogno è di diventare sacrestano. Diciamo che sono lì, a metà strada”.

Non è frequente sentire parole come quelle di D. (classe prima). Sono apparentemente pochi i giovani interessati a scoprire o approfondire radici e tradizioni dei luoghi in cui vivono; più facile che si appassionino a quelli di un’altra realtà, anche molto distante. Va trovato il canale corretto, la leva giusta per suscitare quell’interesse che non può essere anteposto al senso di comunità. Don Andrea Gallo scriveva: “La Chiesa si ostina ad anteporre la legge all’amore, e a mettere al primo posto il corpus della tradizione anziché la comunione.”

Gemma n° 1927

“Ho portato il mazzo dei miei tarocchi e riguarda una questione di superstizione. In casa ho un altare in cui tengo tarocchi, cristalli, incensi, dell’alloro e un ramo di rosmarino. Una mia amica, che mi piace definire la mia anima gemella platonica, me li ha regalati e mi ha iniziato a questo mondo. Prima di alcune sfide che devo affrontare o quando mi sento giù mi consiglia di fare un sigillo (un simbolo frutto di una trasformazione di lettere e numeri che poi viene bruciato o attivato). Per me è un placebo, lo uso per l’ansia, quando sono nervosa per le interrogazioni o cerco un consiglio nelle lettura dei tarocchi. Il motivo per cui li ho portati è che mi ricordano questa persona che me li ha regalati, che per me è tanto speciale e mi aiuta sempre anche quando magari io non ci sono”.

Mentre A. (classe quarta) parlava mi rimbombava nelle orecchie una famosa frasi di Eduardo De Filippo: “Essere superstiziosi è da ignoranti ma non esserlo porta male.” Che poi è molto simile a un aneddoto su Niels Bohr, fisico danese Premio Nobel nel 1922, che possedeva una casa di campagna dove si recava per riposarsi. Su una porta di questa casa aveva appeso un ferro di cavallo. Un giorno un amico gli chiese se per caso credesse davvero alla storia dei ferri di cavallo che portano fortuna. “Naturalmente no, – rispose Bohr, – ma mi hanno detto che portano fortuna anche a chi non ci crede!”.

Gemma n° 1926

“Ho portato una lettera che ho scritto a Lorenzo Parelli, morto il 21 gennaio a causa di un incidente sul lavoro mentre faceva stage. Con lui ho fatto le elementari e le medie. Il giorno del funerale, a sera, quando sono tornata a casa ho scritto questa lettera.
Ciao Lore,
ci manchi già sai?
Oggi, 02/02/2022 ti abbiamo detto “arrivederci”. Appena sono arrivata e ho visto tutta quella folla di amici, parenti, conoscenti, il mio istinto è stato quello di cercarti; non so perché, ma ti ho cercato tra le persone e quando non ti ho trovato ho sentito un senso di vuoto che non so nemmeno spiegarti. È difficile da capire, ma fino ad oggi non avevo ancora realizzato che te ne saresti andato per sempre. Ad accompagnarti in chiesa c’era il rombo delle moto dei tuoi amici e  sono sicura che a guidarli c’eri tu, tanta la passione che avevi; una cosa te la devo dire: hai degli amici con la A maiuscola e mi rende felice sapere che eri circondato da persone buone e genuine come te. Hai lasciato vuoto un po’ il  cuore di tutti, tante persone che nemmeno conoscevi erano lì a salutarti per l’ultima volta, molti ragazzi hanno preso la tua storia come esempio protestando per la tua morte, per evitare che lassù vengano a farti compagnia altri giovani. Anche se io e te ci eravamo un po’ persi negli ultimi anni, ogni volta che ci incontravamo non mancavano mai le chiacchierate e le risate, sentirti tornare a casa con la moto ed esclamare “aje pariell!!” sorridendo.
Ecco sono queste le cose che mi mancheranno, le particolarità che ti caratterizzavano, le tue abitudini che erano un po’ le abitudini di tutti, le domeniche a sgasare con la moto insieme ai tuoi amici in quel di gonny. Hai unito tutti quanti oggi pomeriggio, stringendoci in un abbraccio ed un pianto di dolore puro, ma non serviva che ci facessi questo scherzo perché succedesse eh!!
Ho abbracciato la tua mamma quando ti abbiamo salutato in cimitero, mi ha riconosciuta e mi ha stretta a sé; l’ho stretta con tutta la forza che avevo, ma la debolezza dettata dal dolore ha prevalso.
I suoi occhi erano spenti, bui, persi perché quella luce te la sei portata lassù proprio tu. Nonostante volessimo consolarla, era lei a fare forza a noi, assicurandoci che tu ci avresti osservato da lassù e dicendoci che eri felice, di questo ne era sicura e proprio mentre lo diceva le si sono illuminati gli occhi per un istante, istante che non dimenticherò mai.
Tanti giornalisti hanno scritto molto su di te in questa settimana, ma nessuno di loro ti conosceva davvero; il tuo obiettivo era essere felice, finire scuola, cominciare a lavorare, divertirti e realizzare i tuoi sogni più grandi e questo non te lo potrà ridare indietro nessuno.
Come ha detto la tua famiglia durante l’omelia: “Lore, tu che ci guidavi verso sentieri sperduti, guidaci ora nel buio che ci hai lasciato affinché non ci perdiamo nel dolore della tua perdita”, anch’io ti chiedo di proteggerci da lassù e stampare un sorriso su di noi ogni volta che ti ricorderemo, proprio come stai facendo adesso mentre ti scrivo questa lettera.
Ti voglio bene, G.
La foto riporta due emoji perché la famiglia ha consegnato a noi ragazzi un foglietto dove c’era scritto che Lorenzo si manifesterà secondo loro attraverso un fiore o una foglia.”

Queste le parole di G. (classe quinta). Penso che non ci sia un dolore più grande di quello di sopravvivere ad un figlio, in particolare quando ciò avviene in giovane età. Credo che sia fuori dalla comprensione umana, fuori dalle logiche, dai pensieri, dalle aspettative. E’ una vita che si spezza e che spezza con sé altre vite, perché nulla può essere più come prima. E’ un punto di rottura e penso che ci voglia molto tempo prima di raggiungere, se mai sia possibile farlo, un nuovo punto di equilibrio. Nuovo, perché quello di prima non si può ricreare.

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