Gemma n° 1925

“E’ una foto scattata ieri mentre andavo a fare una passeggiata. Non sapevo cosa portare e tornata a casa ho scritto alcuni pensieri fatti durante la passeggiata: ho pensato di condividerli oggi.
Giornata splendida dopo una settimana volata tra pioggia, allenamenti e verifiche, perché non andare a fare una passeggiata nel bosco per schiarirmi le idee?
Non è un periodo facile, non riesco a trovare la motivazione giusta per fare nulla, non trovo uno scopo, il mio scopo, ma magari sono stati solamente giorni faticosi, sono solo stanca.
Esco, cuffiette nelle orecchie, alzo il volume fino a che il rumore dei miei passi non scompare, chiudo la porta di casa e parto.
È stata una camminata di circa 50 minuti in cui ho ascoltato musica ininterrottamente, ma non saprei nominare nemmeno un titolo tra le canzoni ascoltate perché i pensieri erano più assordanti.
Mi sono ritrovata sola, sperduta per il bosco del mio piccolo paesino a fare i conti con me stessa ed è stata la cosa più difficile del mondo. Inconsciamente la mia mente ha iniziato a vagare, a scavare sempre più a fondo nei ricordi, ripensando a quanto successo negli ultimi sei mesi, poi in terza, seconda, prima superiore, fino ad arrivare alla terza media. Qui le riflessioni si sono protratte per più tempo, accompagnate da lacrime e singhiozzi che non riuscivo a sentire a causa del volume troppo alto, come se non riuscisssi ad accettare il mio dolore, come se non avessi il diritto di piangere.
Ad un tratto parte una pubblicità di Spotify che mi strappa un sorriso, ritorno con la testa alla mia passeggiata e mi sento stupida a camminare per i campi sola e piangendo.
Riparte la musica. Ormai penso di essermi sfogata e di poter godermi finalmente la passeggiata, ma ad un tratto, senza volerlo eccoli lì di nuovo, questa volta però sono i ricordi dell’estate tra la prima e la seconda elementare…quella maledetta estate.
Piango.
Cerco di distrarmi, ma l’unica cosa a cui riesco ad aggrapparmi sono i miei amici, più o meno recenti, e tutto d’un tratto mi sento incredibilmente sola, sento un vuoto dentro che ho paura di non riuscire a colmare, ho paura di non farcela, di deludere tutti.
Non riesco più ad ascoltarmi e comincio a correre. Mi sfogo. Ricomincio a camminare.
Arrivata a casa mi accorgo di aver passato l’ultimo tratto di strada senza aver ascoltato né le parole della canzone, né i miei pensieri, come se per un momento tutto il mondo si fosse messo in pausa.
Quanto fa paura restare soli con se stessi”.

E’ difficile commentare la gemma di R. (classe quarta) tanto è ricca di suggestioni, emozioni, riflessioni. Ha premesso di non sapere cosa portare: ci ha portato in classe se stessa, la sua interiorità senza sovrastrutture o artificiali costrutti, un suo momento di fragilità e al contempo di forza. Non poteva farci regalo più grande. E mi ha anche ricordato di ricominciare a fare una cosa che da un po’ non faccio: deserto. Per me ‘fare deserto’ ha sempre significato prendere del tempo per me, isolarmi, appartarmi, mettere a tacere le voci delle cose da fare, degli impegni, delle incombenze e, in questo silenzio, ascoltarmi. Un proverbio tuareg dice Dio ha creato le terre con i laghi e i fiumi perché l’uomo possa viverci. E il deserto affinché possa ritrovare la sua anima. Può far paura restare soli con se stessi, ma penso sia la via da percorrere e che a forza di essere percorsa porti alla nostra anima. E’ tornando da lì che poi il deserto si fa sentiero, si fa viottolo erboso e si fa giardino; è tornando da quel deserto che il “vuoto dentro” si fa pienezza e la “paura di non farcela” si fa sfida e voglia di farcela.

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