13. Dolce il pensiero che resta

Sei anni fa ho fatto una piccola trasmissione per Radio Spazio 103: cinque minuti sul tema del viaggio e della musica. Ripropongo qui quelle puntate: è un’occasione per me di riprenderle in mano e approfondire alcuni aspetti. Alla fine ci sono anche dei “compagni di viaggio”, cioè delle canzoni legate allo stesso argomento.

Ci stiamo avvicinando alla conclusione di questa sezione di post e quindi stiamo arrivando alla fine del nostro viaggio, ma prima di scendere da questa grande giostra che è la musica, ho scelto di dedicare ancora una puntata all’amore e visto che siamo alla fine, parleremo della fine dell’amore. Molte persone, da quando è uscito il terzultimo CD della Nannini, hanno pensato “ma guarda che bella canzone per dire grazie al mio amore”: dice il ritornello: “Grazie del sole che è stato, tenerti vicino dentro di me, grazie di questo amore senza paura più forte di noi”. Ora, già la fine del ritornello ci fa drizzare le orecchie: “questo amore senza paura più forte di noi”. Eh già: la canzone si riferisce a un amore finito, basta andare avanti: “Dolce com’è dolce il pensiero che resta, ora dopo ora io ti perdo ora per sempre. Grazie di ogni tuo sguardo dentro di me. Dolce così dolce il pensiero che resta, ora dopo ora io ti cerco, vattene adesso. Lasciami il tuo silenzio, spegni la voce, le luci accese. Grazie.”

Basta poco per far finire le storie d’amore, anche dei banali errori linguistici (e una esagerata dose di orgoglio), come dimostra questo dialogo tra la francese Veranne e l’italiano Luca, tratto da “L’incosciente” di Diego Cugia, brano col quale concludo. “«Da giorni ti stavo appresso, “ragazzo infedele che di notte ti ho sognato”. Hai più ascoltato il nostro lied? Ti seguii dal momento dopo che ci presentarono all’Hotel du Casino in Piace de Clichy, al ricevimento delle Totali. Se di giorno tu uscivi dall’ufficio a comprare le sigarette, io ero lì, davanti alla vetrina, sul marciapiedi di fronte; quando passeggiavi per Parigi parlando da solo, cercavo di attirare la tua attenzione in modo discreto, precedendoti in un bar, o montando su un taxi e lasciando la portiera bene aperta; mi spinsi, certe notti, ad aspettarti in Rue de Rivoli, sotto la casa particolare di madame Engelmond.»

«Non mi sono mai accorto di te.»

«Tu non ti accorgi di nulla perché bruci la vita nel tentativo di recuperare il bene del quale ti ritieni rapinato, senza badare all’amore che ti scorta passo passo, temerario e fedele. Sono stata il tuo angelo custode fino alla notte di Capodanno, in quella boîte nella quale ti eri rintanato fra gente orrenda, perché è un sollievo frequentare cattive compagnie, o annullarsi nel gioco, trastullarsi con i vizi, fingere di essere uno scapestrato, pur di sottrarsi a quella che a te sembra un’ingiuria, mentre è la semplice e logica conseguenza dell’essere nati azzurri in un’epoca grigia: dover resistere agli assalti degli spiriti meschini e assistere al trionfo dei mediocri. Non sei il primo né l’ultimo, Luca. Io ero come te. Il nostro amore avrebbe ridipinto il mondo. Ma tu tenevi gli occhi a terra, scavavi in te stesso, cercavi il tesoro che non c’è e non poteva esserci, perché quel tesoro lo possiede solo l’altro, e ti viene offerto nella luce, mai nell’ombra; tu eri troppo intento a sacrificare la tua parte più nobile al demone dell’assenza per accorgerti della mia presenza, e del tesoro d’amore nato con la tua nascita, affiorato da sempre, ma visibile solo a noi… Dieci minuti prima che scoccasse la mezzanotte, per non perdermi definitivamente, ho dovuto affrontarti senza un briciolo di orgoglio femminile, perché come entrai nel locale e ci riconoscemmo, chiedesti il conto per andartene. Non potevo essermi sbagliata, avevi il marchio, un segno azzurro, mi amavi anche tu, ne ero certa, per questo ti raggiunsi sulla porta e ti dissi: “Mi piaci così tanto, portami via”.»

«No, cara, mi chiedesti: “Se ti piaccio così tanto, perché non mi porti via?”. Un guanto in faccia, una sfida; da te non potevo accettarla. Eri una rosa circondata da papaveri neri, i motociclisti vestiti di cuoio e di borchie che ti scortavano fra quella gente che ci esaminava sotto i cappellini dei cotillon, mostrandoci lingue di Menelik. Io ero un capobranco senza branco. Mi sono sentito perduto.»

«Ti dissi: “Mi piaci così tanto, portami via”, sei parole, un punto. Sei così sicuro di padroneggiare il francese?»

Una vertigine irruente come un’onda anomala mi ha rovesciato l’anima. Un equivoco. La più insolente delle incomprensioni, un banale tranello linguistico. Per un equivoco avevo eretto la mia torre solitaria, per un equivoco la vita di Veranne e la mia si erano scisse, trincerandosi dietro fossati invalicabili di acque stagnanti, colmi di dolori inutili, amicizie tradite, matrimoni sbagliati: per un equivoco! Un interrogativo immaginario, un punto di domanda rovesciato che si era trasformato in amo pungente, un gancio che cattura gli amanti predestinati, riducendoli a prede di quel pescatore d’infelicità che siamo noi stessi quando restiamo soli.”

Compagni di viaggio:

  • Tiziano Ferro, E fuori è buio
  • Claudio Baglioni, Amore bello
  • Luigi Tenco, Insieme a te non ci sto più
  • Dino, Te lo leggo negli occhi
  • Nek, Cielo e terra
  • Zucchero, Pane e sale
  • Biagio Antonacci, Così presto no
  • Vasco Rossi, Ciao
  • Max Pezzali, Nessun rimpianto
  • Mina, E poi
  • Fabrizio De Andrè, E fu la notte
  • Helloween, A tale that wasn’t right
  • Anastacia, Sick and tired

12. Una luce ti condurrà verso casa

Sei anni fa ho fatto una piccola trasmissione per Radio Spazio 103: cinque minuti sul tema del viaggio e della musica. Ripropongo qui quelle puntate: è un’occasione per me di riprenderle in mano e approfondire alcuni aspetti. Alla fine ci sono anche dei “compagni di viaggio”, cioè delle canzoni legate allo stesso argomento.

L’argomento di oggi è quello del viaggio in compagnia di un amico o di più amici. Se proviamo a pensare, per la maggior parte delle persone è difficile pensare alla propria vita senza amici; eppure, riflettendo meglio, o anche guardando il mondo dei bambini, la cosa non è così immediata. Quando un bambino inizia a frequentare l’asilo o il giardinetto sotto casa o di quartiere o la piazza, viene precipitato in un universo alieno diverso da quello protetto della famiglia in cui le attenzioni erano concentrate su di lui. Ora si trova a confrontarsi con dei pari che accampano i suoi stessi diritti e reclamano le stesse attenzioni: la prima impressione che ha è spesso quella della concorrenza e non della collaborazione o dell’amicizia (sia chiaro che sto esagerando e ragionando in termini assoluti, cosa che ha ben poco riscontro completo nella realtà). E’ solo con l’andare del tempo che l’amicizia vera inizia a farsi spazio: basta pensare alla divisione maschi femmine nel periodo della scuola primaria. Piano piano si cominciano a scegliere le amicizie e a volte il destino presenta degli persone che non sapevamo avrebbero incrociato il nostro cammino. Alcuni di loro diventano amici dell’anima, del cuore: sono sinceri e veri, sanno quando non stiamo bene, sanno cosa ci fa felici, conoscono qual è il momento di parlare e quale quello di lasciarci anche soli. Irene Grandi, prendendo spunto dal film intitola una canzone e un intero album “Come Thelma & Louise” e parla di un viaggio con un’amica, un viaggio a rischio di velocità e anche della vita: “Ci sentiremo noi più forti del mondo accelerando di più, spingendo quel pedale giù, giù in fondo. Vedrai, vedrai rideremo, magari poi ci perderemo, saremo noi che vinceremo, anche se poi moriremo”.

Canzone simbolo della vera amicizia è sicuramente “Amico” di Renato Zero. Ecco alcuni versi: “Resta amico accanto a me… Resta e parlami di lei, se ancora c’è… L’amore, muore, disciolto in lacrime, ma noi teniamoci forte e lasciamo il mondo ai vizi suoi!!! Io e te… lo stesso pensiero!!! Io e te… il tuo e il mio respiro!… Che fai, se stai lì, da solo!!! In due, più azzurro è, il tuo volo!!! Amico è bello… Amico è tutto… è l’eternità! E’ quello che non passa, mentre tutto va!”

Ci sono poi anche quegli amici di passaggio, talvolta una vacanza o un giorno o un’ora. Essi collocano un sorriso nel nostro viso per tutto il tempo che stiamo con loro e hanno la gran capacità di consolare il nostro dolore. Una canzone vecchia e una recente per immortalarli. Quella vecchia è dei Queen, ed è “Friends will be friends”. Così canta Freddie Mercury: “Il postino ha consegnato una lettera del tuo amore, lontano, solo una telefonata, hai cercato di rintracciarlo ma qualcuno in realtà ha rubato il suo numero. Ti stai abituando alla vita senza di lui, a tuo modo; è facile ora, perché hai amici su cui puoi contare. Gli amici sono amici, quando hai bisogno d’amore loro ti danno cure e attenzioni. Gli amici sono amici, quando hai chiuso con la vita e ogni speranza è perduta tendi la mano perché gli amici saranno amici per sempre.” La canzone più recente è la gettonata “Fix you” dei Coldplay, che è anche la canzone di oggi. Il momento di cui tratta il brano non è decisamente dei migliori: tutto va a rotoli e ogni tentativo per uscire dalla situazione non va a buon fine. Può capitare di ottenere ciò che si vuole ma non è detto che sia anche ciò di cui si ha bisogno: si è stanchi eppure non si riesce a dormire, e scendono le lacrime. E’ questo lo spazio dell’amicizia: “Una luce ti condurrà verso casa e infiammerà le tue ossa. Ed io cercherò di rimetterti in sesto”.

Mi sto dilungando troppo e allora, prima di arrivare ai compagni di viaggio di questa settimana, vi consiglio due cantanti che molto spesso nei loro brani parlano in prima persona plurale, usando il “noi” invece dell’“io”: Max Pezzali (“Come deve andare”, “Gli anni”, “Rotta per casa di Dio”, “Se tornerai”, “La dura legge del goal”, “Jolly Blue”) e Ligabue (“Libera uscita”, “Sogni di rock ‘n roll”, “Sarà un bel souvenir”, “Angelo della nebbia”, “Tra palco e realtà”, “Non è tempo per noi” e, ovviamente, “Urlando contro il cielo”).

Compagni di viaggio:

  • Giorgia, Come Thelma e Louise
  • Jovanotti, Bella storia
  • Jovanotti, Mi fido di te
  • Zucchero, Nuovo meraviglioso amico
  • Renato Zero, Amico
  • Modena City Ramblers, Il bicchiere dell’addio
  • Mina, Questione di feeling
  • Gang, Eurialo e Niso
  • Marina Rei, Ci sarò
  • Riccardo Cocciante, Per un amico in più
  • Helloween, I don’t wanna cry no more
  • Queen, Friends will be friends
  • Nirvana, Come as you are

11. Nascondere in due sciocchezze che son commosso

Sei anni fa ho fatto una piccola trasmissione per Radio Spazio 103: cinque minuti sul tema del viaggio e della musica. Ripropongo qui quelle puntate: è un’occasione per me di riprenderle in mano e approfondire alcuni aspetti. Alla fine ci sono anche dei “compagni di viaggio”, cioè delle canzoni legate allo stesso argomento.

E’ stata veramente la scelta più dura quella della canzone di questa sezione: avrei potuto occupare tutti questo spazio semplicemente citando titoli di canzoni che parlassero d’amore con la certezza di non essere comunque esaustivo. Alla fine sono rimasti in ballo due brani; ho scartato un pezzo che penso in pochi abbiano ascoltato e che quindi consiglio ed è una collaborazione tra Simone Cristicchi e Sergio Endrigo: “Questo è amore”. Ho optato, visto che l’argomento è il viaggio in compagnia dell’amore, per la decisione di farmi guidare dal cuore e quindi scegliere una delle canzoni che amo di più.

“Vorrei”, così si intitola, si apre con un tentativo di immedesimazione di Guccini nel mondo dell’amata, un voler fondersi con la vita di lei perché a lei si sente ineludibilmente legato. E immagina un viaggio: “Vorrei con te da solo sempre viaggiare, scoprire quello che intorno c’è da scoprire per raccontarti e poi farmi raccontare il senso d’un rabbuiarsi o del tuo gioire; vorrei tornare nei posti dove son stato, spiegarti di quanto tutto sia poi diverso poter farmi da te spiegare cos’è cambiato e quale sapore nuovo abbia l’universo.” Sono pochi versi che parlano di dialogo tra due amanti e del piacere di raccontarsi le nuove sensazioni che si vivono a visitare luoghi già visti e che ora suscitano emozioni diverse. La vita, l’universo hanno ora un senso differente, tanto che non occorre neppure viaggiare: “Vorrei restare per sempre in un posto solo per ascoltare il suono del tuo parlare e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo impliciti dentro al semplice tuo camminare e restare in silenzio al suono della tua voce o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso dimenticando il tempo troppo veloce o nascondere in due sciocchezze che son commosso.” Restare in silenzio, ascoltare, parlare, esprimere emozioni, sono tutti modi dell’amore e sono parole che vanno direttamente a richiamare due altre canzoni.

La prima è “Le lettere d’amore” di Roberto Vecchioni in cui si canta l’importanza di esprimere l’amore scrivendo senza vergognarsi: “E scrivere d’amore, anche se si fa ridere, anche quando la guardi, anche mentre la perdi, quello che conta è scrivere; e non aver paura, non aver mai paura di essere ridicoli; solo chi non ha scritto mai lettere d’amore fa veramente ridere. Le lettere d’amore, di un amore invisibile; le lettere d’amore che avevo cominciato magari senza accorgermi; le lettere d’amore che avevo immaginato, ma mi facevan ridere, magari fossi in tempo, se avessi ancora il tempo, per potertele scrivere…”.

La seconda è “Imbranato” di Tiziano Ferro e canta la difficoltà, dovuta all’emozione, di dire il proprio amore a parole o con gli occhi o con il corpo: “E scusami se rido, dall’imbarazzo cedo. Ti guardo fisso e tremo all’idea di averti accanto e sentirmi tuo soltanto. E sono qui che parlo emozionato …e sono un imbranato! Ciao… come stai? Domanda inutile! Ma a me l’amore mi rende prevedibile. Parlo poco, lo so… è strano, guido piano. Sarà il vento, sarà il tempo, sarà…fuoco!”

Per concludere torniamo alla canzone di oggi, che termina con l’auspicio di tutti gli amanti: l’amore non finisce. Canta Guccini: “Vorrei cantare il canto delle tue mani, giocare con te un eterno gioco proibito che l’oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all’infinito”. Mi piace però pensare a un ruolo attivo dei due nella costruzione del loro amore e allora un ultimo consiglio prima dei compagni di viaggio: ascoltate “La cura” di Franco Battiato. “Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza. Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza. I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi, la bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi. Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto. Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono. Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. Ti salverò da ogni malinconia, perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te… io sì, che avrò cura di te.”

Compagni di viaggio:

  • Gianna Nannini, Amandoti
  • Tiromancino, Due destini
  • Max Pezzali, Il mondo insieme a te
  • Nek, Se io non avessi te
  • Negramaro, Estate
  • Mina, Grande grande grande
  • Le Vibrazioni, Vieni da me
  • Franco Battiato, La cura
  • Jovanotti, La valigia
  • Neffa, Il mondo nuovo
  • Roberto Vecchioni, Le lettere d’amore
  • Zero Assoluto, Sei parte di me
  • James Blunt, You’re beautiful
  • Hooverphonic, Mad about you
  • Justin Timberlake, Take it from here
  • Madonna, Hung up

10. Portando un po’ di paradiso quaggiù

Sei anni fa ho fatto una piccola trasmissione per Radio Spazio 103: cinque minuti sul tema del viaggio e della musica. Ripropongo qui quelle puntate: è un’occasione per me di riprenderle in mano e approfondire alcuni aspetti. Alla fine ci sono anche dei “compagni di viaggio”, cioè delle canzoni legate allo stesso argomento.

L’argomento della puntata di oggi è quello degli anziani e non è facile affrontarlo in quanto spesso le persone di una certa età non vogliono considerarsi o sentirsi chiamare anziane, tantomeno vecchie. E allora via con i giri di parole: appunto, persone di una certa età, coloro che hanno molti carnevali, persone dai capelli bianchi, età d’argento, terza o quarta età, ecc. ecc…

Va detto che la considerazione sociale odierna degli anziani non è il massimo; certo se ne fa un gran parlare, ma soprattutto in termini assistenzialistici, come di persone oggetto di servizi caritatevoli o sanitari, ma raramente come soggetto ancora attivo della società civile. Purtroppo è innegabile che il ruolo di saggi che fino a non molti anni fa i vecchi delle famiglie ricoprivano è andato scomparendo: non ci si rivolge più a loro per un consiglio, anzi spesso si sopporta con difficoltà il loro intervento o il loro parere. E va anche registrato il tutto come un disagio esistenziale di chi ha avuto sempre difficoltà a contare: quando i nostri vecchi erano più giovani contavano gli anziani di allora, ora che loro hanno raggiunto quell’età, non contano più.

Ma va anche detto che dal mondo del lavoro italiano viene spesso la protesta che gli incarichi dirigenziali, compresi quelli scientifici del mondo della ricerca, sono occupati da persone considerate anziane per tali ambiti di sviluppo.

Andrebbe poi fatta una distinzione tra anziani ancora completamente autosufficienti e anziani che hanno invece bisogno di assistenza, e da un punto di vista fisico e da un punto di vista psichico.

Bisogna inoltre considerare, e la canzone di oggi serve proprio a questo, quel tipo particolare di anziani che rientra nella categoria “nonni”. Innanzitutto va fatto un rimando al post precedente, in quanto il nonno è sicuramente stato genitore e spesso vive l’essere nonno come una genitorialità più libera: il nonno è, per antonomasia, colui che vizia i nipoti, anche se bisogna riconoscere che il nonno di oggi è diverso da quello di venti o trenta anni fa. Ho più di trent’anni e non ricordo di aver visto i miei nonni andare in palestra per tenersi in forma o truccarsi e mettersi la crema per cacciare o nascondere le rughe o fare footing per far star meglio il cuore. I miei nonni hanno sempre avuto problemi con la dentiera e spesso mi chiamavano perché non riuscivano ad abbassare il volume della tv. Ah sì, non ho ricordo dei miei bis-nonni. Le condizioni di un bimbo di oggi sono decisamente diverse. Non sto a discutere se siano meglio o peggio, ma sono sicuramente diverse. Resta il fatto che sovente il rapporto nipoti-nonni è uno di quelli emotivamente e affettivamente più coinvolgenti, e lo si nota, purtroppo, soprattutto quando uno dei nonni se ne va. “Nan’s song” canta appunto l’addio di un nipote alla nonna: “Dicevi che quando morivi avresti camminato con me ogni giorno. Io iniziai a piangere e a dire di non dire così”. Se è vero che può essere più sereno il distacco da una persona che ha vissuto comunque a lungo, il dolore è lo stesso forte: “Mi manca il tuo amore, mi mancano le tue carezze” e ciò a cui ci si aggrappa è il sentire quella persona vicina anche dopo la morte: “In silenzio, senza farmi paura, lei é vicina, portando un po’ di paradiso quaggiù… Ma ti sento vicina ogni giorno e riesco quasi a sentirti dire: “Sei venuto da molto lontano”. Ed ora tu vivi in paradiso ma so che lassù ti lasciano libertà di starmi vicino per prenderti cura di me.”

Compagni di viaggio:

  • Claudio Baglioni, I vecchi
  • Renato Zero, Spalle al muro
  • Pino Daniele, Cammina cammina
  • Francesco Guccini, Un vecchio e un bambino
  • Simon & Garfunkel, Voices of old people
  • Wings, Treat her gently
  • The farm, All together now
  • Jacques Brel, I vecchi
  • Echolyn, album “As the world”
  • Saga, Uncle Albert’s eyes
  • Beatles, When I’m sixtyfour
  • Cranberries, Never grow old

9. Se vuoi andare

Sei anni fa ho fatto una piccola trasmissione per Radio Spazio 103: cinque minuti sul tema del viaggio e della musica. Ripropongo qui quelle puntate: è un’occasione per me di riprenderle in mano e approfondire alcuni aspetti. Alla fine ci sono anche dei “compagni di viaggio”, cioè delle canzoni legate allo stesso argomento.

Dalla scorsa puntata abbiamo iniziato a parlare dei compagni di viaggio e abbiamo affrontato l’argomento del viaggio con se stessi e della solitudine. Oggi tratteremo del viaggio con i figli o, ribaltando il punto di vista, del viaggio con i genitori. Certo, detto così, ci si può immaginare la famigliola di trenta-quarantenni con i pargoli piccoli al seguito in partenza verso il mare per i quali la canzone spot potrebbe tranquillamente essere la vecchia “Sei forte papà” di “morandiana” memoria in cui si racconta di un’uscita giornaliera ed ecologica. Se qualcuno vuol farsi più audace può andare a rivedersi il cartone animato “Flo, la piccola Robinson”…

Tuttavia vorrei ampliare il discorso e soprattutto la fascia d’età. Non è facile con le sole canzoni, e allora oggi mi gioverò anche di un brevissimo dialogo preso da un film. Essere figli è un’esperienza che ciascuno di noi fa, al di là del fatto che poi tale esperienza sia costituita di dialogo, di monologo, di scontro, di presenze o di assenze. E’ un rapporto spesso fatto di corsi e ricorsi, corse e rincorse; due canzoni nuovissime ne sono testimonianza. Gianna Nannini nell’ultimo CD ha inserito il brano “Babbino caro”; il rapporto col padre non è stato facile ma ora le difficoltà sembrano appianate visto che la toscana dice “la rabbia ormai è cenere”. E’ forse il tempo del rimpianto, visto che lui non c’è più: “Babbo non l’avevi detto che finiva tutto e mi lasciavi qui. Babbo dammi ancora addosso la vita è un gioco rotto se non ci sei più”. E’ il momento in cui si vorrebbe riportare in vita la persona amata a qualunque costo: “E la vita che hai, e che vedi andar via io vorrei ridartela come se fosse mia”. Consiglio anche l’ascolto di Dottor John, dedicata da Piero Pelù al padre settantanovenne col quale, dopo una vita di conflitti, ha recuperato un rapporto di comprensione.

Anche la persona che non ha mai conosciuto i propri genitori è possibile che si percepisca comunque figlia, anche colui che litiga e decide di non aver più a che fare con loro resta figlio. Non è detto però che tutti coloro che sono figli saranno anche genitori per svariate motivazioni. E’ però interessante notare che chi è genitore resta genitore, anche se i figli crescono. Nel film “L’ospite d’inverno” c’è un bellissimo dialogo tra la figlia Emma Thompson e la madre Phyllida Law: «“Non devi continuare a controllarmi, mamma.” “Non provarci ancora a dire una cosa del genere. Ero una ragazzina quando ti ho messa al mondo. Sei stata tu a insegnarmi a prendermi cura di te. Tu mi hai insegnato a inseguirti e a controllarti 24 ore su 24. Sono cresciuta con te, passo dopo passo. E adesso, cosa ti aspetti? Che solo perché sei una donna adulta io smetta di preoccuparmi, che smetta di chiedere se stai bene?”». Per una mamma novantenne, il figlio settantenne resterà sempre “Il me frut, la me stele”.

Ora, per tutti i viaggi, ma per quello del rapporto genitori-figli in particolare, il momento più duro, anche se magari non definitivo, è rappresentato dal distacco, che è quello di cui parla la canzone di Cat Stevens che abbiamo ascoltato oggi. Il cantante si rivolge alla figlia che ha deciso di andarsene di casa e il dolore è forte: “mi sta rompendo il cuore il fatto che te ne stai andando”. La preoccupazione per quello che il wild world, il mondo selvaggio, può riservare alla figlia è altrettanto grande: “il mio cuore si sta rompendo in due perché non voglio mai vederti soffrire”. Ma è un padre che alla fine lascia andare la figlia pur dandole, appunto da buon padre, dei consigli: “Ma se vuoi andare, fai bene attenzione, spero troverai molti buoni amici là fuori, ma ricordati che ce ne sono molti cattivi, quindi stai attenta”.

Concludo con “Salirai la collina”, una poesia dedicata da Danila Compiani alla figlia:

“Salirai la collina

e dall’alto guarderai la valle

e con le dita toccherai le stelle

e griderai alla luna la vittoria del cuore.

Sotto di te vedrai il sentiero

rorido del tuo sudore

gravido della tua fatica

e di lontano udrai l’eco delle mie parole.

Salirai la collina,

io ti indicherò la via,

io illuminerò il tuo cammino,

ma tuo sarà il peso della salita,

tua la tentazione dell’arresa,

tuo sarà il dolorante incedere

del passo stanco…

E solo tuo sarà l’osannante

tripudio del mondo

quando dall’alto guarderai la valle

e con le dita toccherai le stelle.”

 

Compagni di viaggio:

  • Jovanotti, Ciao mamma
  • Gianna Nannini, Babbino caro
  • Piero Pelù, Dottor John
  • Mondo Marcio, Dentro una scatola
  • Vinicio Capossela, Signora Luna
  • Fabrizio De André, Canzone del padre
  • Eugenio Finardi, A mio padre
  • Pooh, Eleonora mia madre
  • Subsonica, Gente tranquilla
  • Cesare Cremonini, Padre e madre
  • Beatles, Let it be
  • Cat Stevens, Father & son
  • Oasis, Live forever
  • Metallica, Mama said
  • Lenny Kravitz, Thinking of you

8. Non s’era mai svegliato solo prima d’allora

Sei anni fa ho fatto una piccola trasmissione per Radio Spazio 103: cinque minuti sul tema del viaggio e della musica. Ripropongo qui quelle puntate: è un’occasione per me di riprenderle in mano e approfondire alcuni aspetti. Alla fine ci sono anche dei “compagni di viaggio”, cioè delle canzoni legate allo stesso argomento.

Riepiloghiamo velocemente il percorso che abbiamo compiuto: siamo partiti per un viaggio e abbiamo affrontato alcune tappe come il mare, il fiume e la strada e alcuni momenti come la notte, il sogno e l’alba. Ora è venuta la volta dei compagni di viaggio veri e propri. Nelle prossime puntate parleremo della famiglia, degli anziani, degli amici e degli amori, ma oggi ci dedichiamo forse al compagno di viaggio che conosciamo meglio di chiunque altro: noi stessi.

La canzone di oggi si intitola “Già ti guarda Alice”, dedicata alla neonata figlia di un cugino di Tiziano Ferro, ed è la traccia numero 10 dell’ultimo (penultimo, ndr) CD del cantante che prende il nome proprio dal ritornello di oggi: “Nessuno è solo”. Cito dalla canzone: “Nessuno è solo finché di notte anche lontano ha chi non dorme per pensare a lui…”. Nel libretto del CD c’è tuttavia scritto: “Nessuno è solo! Lo dico, lo provoco ma resterò incapace di capirlo, perennemente esposto al dubbio.” Certamente nel brano e nell’album non si dà un’accezione positiva della solitudine, ma sarebbe il caso di indagare brevemente su due tipi di solitudine.

Essere soli perché si sceglie di esserlo ha dei risvolti positivi: si può decidere di stare in solitudine per leggere meglio dentro di sé, magari prima di prendere una decisione importante (il famoso deserto interiore). Diventa un momento per vagliare tutte le strade e le prospettive che mi si propongono e cercare di valutare con attenzione le varie conseguenze senza essere influenzati da presenze che magari percepiamo in quel momento come invasive. Oppure si cerca la solitudine solo per rilassarsi un po’, staccare la spina dalle mille attività di ogni giorno: basta guardare quanto sia aumentato negli ultimi anni il turismo presso santuari, monasteri ed eremi. Oppure c’è il viaggio da soli come sfida verso se stessi, come mettersi alla prova. In tutte queste occasioni si è sì da soli, ma in realtà si è in compagnia di se stessi: si avverte cioè la compagnia di qualcuno con cui si ha voglia di stare. Forse sono gli altri a preoccuparsi perché dal di fuori ci vedono magari un po’ seri, come fa Vasco in “Da sola con te”: “Lo so che tu quando parli sei davvero tu, ma è che quando sei lì sola ho paura e… non mi sembri più sincera, non mi sembri te!”. Per prendere un po’ di coraggio consiglio, per chi ama il metal anche “I want out” degli Helloween: “Ci sono un milione di modi per vedere le cose nella vita, ci sono un milione di modi per essere folli, alla fine nessuno di noi ha ragione. A volte abbiamo bisogno di stare da soli”.

Dall’altra parte c’è invece la solitudine imposta, quella subita e non frutto di una scelta libera: in questo caso si avverte la mancanza dell’altro, che sia amico, marito o moglie, figlio o genitore, amante o conoscente non importa. Cantano i Pearl Jam in “Alone”: “Si sveglia e trema dal panico, non s’era mai svegliato solo prima d’allora. Aveva la sua donna da quanto potesse ricordare. Prova a dimenticare, ma non può”. Essere in compagnia di se stessi in questo caso viene vissuto come ingombrante, scomodo. Si ha la sensazione che tutto andrebbe meglio se l’altro fosse presente; il problema è che l’altro non c’è.

E’ struggente anche l’incontro casuale nel bar di un’area di servizio di un’autostrada tra un viaggiatore e la ragazza che serve al banco raccontato da Guccini in “Autogrill”. L’automobilista immagina per un attimo di prendere per mano la ragazza e proporle di fuggire la malinconia e la solitudine insieme a lui: “Ma nel gioco avrei dovuto dirle: “Senti, senti io ti vorrei parlare…”, poi prendendo la sua mano sopra al banco: “Non so come cominciare: non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia? Non lasciamo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via.””. Ma all’improvviso nel bar entra una coppia, l’incanto svanisce e la solitudine torna.

Concludo con una frase di Paolo Conte che ci ridona il sorriso: “Si nasce e si muore soli. Certo che in mezzo c’è un bel traffico.”

Compagni di viaggio:

  • Laura Pausini, La solitudine
  • Vasco Rossi, Siamo soli
  • Gianna Nannini, Treno bis
  • Litfiba, Dall’alba al tramonto
  • Pooh, Uomini soli
  • Tiromancino, Nessuna certezza
  • Natalie Imbruglia, Leave me alone
  • Pearl Jam, Alone
  • Elton John, Candle in the wind
  • Him, Killing loneliness
  • Paul Simon, The sound of silence
  • Green Day, Walking Alone
  • Bruce Springsteen, Thunder Road
  • Anastacia, You’ll never be alone

7. L’alba dentro l’imbrunire

Sei anni fa ho fatto una piccola trasmissione per Radio Spazio 103: cinque minuti sul tema del viaggio e della musica. Ripropongo qui quelle puntate: è un’occasione per me di riprenderle in mano e approfondire alcuni aspetti. Alla fine ci sono anche dei “compagni di viaggio”, cioè delle canzoni legate allo stesso argomento.

Dopo due puntate dedicate alla notte e al sogno è arrivato il momento della sveglia e per farlo ho scelto il successo degli Zero Assoluto, una canzone dal testo molto semplice (sinceramente un po’ povero). Oggi parliamo dell’aurora, dell’alba, del mattino, insomma, delle prime luci del giorno. Tutto ha inizia da quel primo disperdersi delle tenebre che precede il sorgere del sole: la luce lentamente si fa largo e comincia a ridare forma alle cose. Per ora il colore ancora non c’è, o meglio tutto è un azzurro vicino al grigio: non è ancora il momento delle sfumature. Cantava Modugno di un uomo in frac: “E’ giunta ormai l’aurora, si spengono i fanali, si sveglia a poco a poco tutta quanta la città; la luna s’è incantata, sorpresa ed impallidita, pian piano scolorandosi nel cielo sparirà; sbadiglia una finestra sul fiume silenzioso e nella luce bianca galleggiando se ne van un cilindro un fiore e un frac.”

Poi, quasi all’improvviso, i primi raggi del sole iniziano a fare capolino e il giorno prende vita, la rugiada brilla sull’erba poco prima di evaporare e anche i rumori cambiano rispetto alla notte.

Ora, mentre parlo, mi rendo conto che ci sono due verbi che dominano nel mio discorso: iniziare e incominciare, e non penso sia casuale. Ogni alba è un inizio; pensiamo anche a delle cose banali. Quando vogliamo dare il via a una cosa, magari a un cambiamento, solitamente prendiamo come riferimento l’inizio del giorno successivo: “da domani smetto di fumare” o “da domani, dieta!”.

L’alba è la speranza quando le cose vanno male: dice Gibran “Nel cuore di ogni inverno c’è una primavera palpitante e dietro la nera cortina della notte si nasconde il sorriso di un’alba.” Ecco, vorrei approfittare di questa frase per rivolgere il pensiero a chi non sta passando un’estate propriamente di svago, e sta lottando proprio per cercare di ridare sollievo e speranza alla propria vita, a chi sta cercando di trovare l’alba nel mezzo della notte che sta vivendo. Franco Battiato in “Prospettiva Nevski” canta “e il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Voglio riportare un brano di un autore che ho già citato nelle puntate di “Lo credevano nella carovana”: Diego Cugia.

“Non esistono difese alla vita e alla morte, sono palle! La vita e la morte fanno di noi quello che vogliono. L’unica carta che possiamo giocare è stabilire che cosa noi vogliamo dalla vita e dalla morte e questo io l’ho già scelto da bambino: tutta la luce e tutto il buio che io potessi sopportare, e allora devi accogliere e devi reggere, accogliere e reggere, solo questo puoi fare. E la felicità e il dolore ti porteranno su e giù come gli oceani le navi. E il dolore ti insegnerà ogni volta a contenere ancora più oceano e il tuo pianto non lo tratterrà, lo restituirà fino a che sarai parte di un unico respiro e imparerai a raccordarti col fiato lungo delle maree. E’ qui che credi di morire, mentre è qui, se sei riuscito a reggere tutte le bordate senza colare a picco, che comincia la vera vita. Perché resistere alla morte non serve a nulla, a niente servono i lifting, le bugie, i colpi di testa, i viaggi del miracolo, a niente serve resistere se non impari anche ad assecondare. E come si impara questo? non lo so, accogliendo il dolore degli altri, per me è così. La mia bussola siete solo voi. Chi soffre più di me, e c’è sempre purtroppo, lui è il mio medico, gli altri. Tutto quello che ho, e non è poco, l’ho sempre ricavato per sottrazione, guardando chi aveva molto di meno. Solo questo è l’amore che torna, l’amore che dai.”

Concludo citando l’alba per eccellenza per una persona cristiana, l’alba su cui si fonda la speranza di ogni sofferenza: la mattina della resurrezione. E’ l’uscita da quella lunga notte che inizia nel Getsemani e si protrae fino all’annuncio evangelico: consiglio, a chi non l’abbia mai letto, il brano “la notte del Signore” di David Maria Turoldo. Nelle ultime parole il sacerdote, pur ammettendo la fede nella resurrezione, sottolinea la profonda solitudine dell’uomo, anche di Gesù, davanti alla morte, davanti alla notte: “Sappiamo, sappiamo che fosti «esaudito per la tua pietà»: Resurrezione, non altro è la risposta. Ma Tu non sapevi! Come noi non sappiamo. E compatta ancora sale sul mondo la Notte.” Non è un caso che l’inno della Gmg romana si apriva con le parole “Dall’orizzonte una grande luce viaggia nella storia, e lungo gli anni ha vinto il buio facendosi memoria, e illuminando la nostra vita, chiaro ci rivela che non si vive se non si cerca la verità”.

Compagni di viaggio:

  • Piero Pelù, Buongiorno mattina
  • Vasco, Albachiara
  • Le Orme, L’aurora
  • Litfiba, Spirito
  • Raf, E’ quasi l’alba
  • Franco Battiato, Impressioni di settembre
  • Giorgia, Alba
  • Delta V, L’alba ogni mattina
  • Eros Ramazzotti, L’Aurora
  • Maroon 5, Sunday morning
  • Sugar Ray, Every morning
  • Placebo, Pure morning
  • Lee Ryan, In the morning
  • Jarabe de Palo, Bonito
  • Oasis, Morning Glory

6. Finché i raggi del sole ti trovino

Sei anni fa ho fatto una piccola trasmissione per Radio Spazio 103: cinque minuti sul tema del viaggio e della musica. Ripropongo qui quelle puntate: è un’occasione per me di riprenderle in mano e approfondire alcuni aspetti. Alla fine ci sono anche dei “compagni di viaggio”, cioè delle canzoni legate allo stesso argomento.

Un elemento tipico della notte, e in particolare delle notti estive, è sicuramente il sogno. Ma in questa puntata non voglio occuparmi del sogno come elemento completamente irrazionale: avete presente quei sogni che a volte si fanno e ci si sveglia con la domanda “ma come ho fatto a fare una fantasia del genere? come ho fatto ad associare persone che non hanno niente a che fare tra loro?”. No, qui voglio occuparmi di quei sogni che si fanno ad occhi aperti, e che quindi una parte, se pur minima, di fondamento o di possibilità ce l’hanno. Mi viene in mente la domanda che a volte si fa: “Cosa ti aspetti da questa estate?”. Spesso la risposta è: “Spero di trovare il vero amore”. Ecco cosa intendo per un sogno ad occhi aperti e lo sintetizzo con una frase di Edgar Allan Poe, uno che forse si intendeva più di incubi che di sogni: “Chi sogna di giorno conosce molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte.”

E partiamo proprio dall’amore, che tra l’altro approfondiremo anche in un’altra puntata, amore che è uno dei principali protagonisti dei sogni. Lo canta Michael Bublè in questa canzone: “Le stelle brillano chiare sopra di te, la brezza notturna sembra sussurrare “ti amo”, gli uccelli cantano sul sicomoro, sognami un po’… Sogni d’oro6, sogni d’oro che ti fanno lasciare alle spalle le preoccupazioni, ma nei tuoi sogni, qualsiasi essi siano, sognami un po’”.

Solitamente non si parte con delle grosse attese per gli amori estivi, li si immagina come fugaci, come delle cotte o delle avventure; ma resta, seppur recondito, il pensiero o, appunto il sogno, dell’amore importante, quello con la a maiuscola, come canta, con rimpianto, Pierangelo Bertoli in “Favola”: “Sognai per me un mondo con te, un fragile sogno che forse non c’è… Rimase a me un mucchio di “se”: “se avesse”, “se fosse”, “se disse”, “se c’è”. Amai, cantai, pensai e parlai, e adesso ho soltanto un ricordo oramai. Scoprii, sognai, scherzai e pregai; ricordi di un tempo più morto che mai.”

Un aspetto curioso del sogno e del sogno d’amore in particolare è affrontato da Nek nella canzone “Tu sei, tu sai”. Il cantante si immagina a letto, colpito dall’insonnia, mentre guarda la sua lei dormire sorridendo e non può sapere da chi siano popolati i suoi sogni: “magari adesso un altro sta con te, se potessi li ucciderei tutti i sogni tuoi … quando sogni non sei mia”. Nek si tormenta nella paura e nella tentazione di svegliare il suo amore per avere delle rassicurazioni (“piano piano vorrei svegliarti per rassicurarmi e per parlare un po’”), fino a quando, verso mattina, lei si sveglia e gli dice “sognavo di te!”.

Concludo sottolineando un ultimo aspetto del sogno: la sua necessità, ma anche un rischio che vi è insito. Penso che sia molto importante sognare se nel sogno possiamo collocare le ragioni del vivere, la speranza, l’amore, l’emozione, la paura e anche la voglia di infinito. Ma penso anche che sia fondamentale far sì che i sogni non diventino rimpianti e per arrivare a questo è necessario intravedere nel sogno la realtà. E’ con questo, a mio avviso, che i sogni possono diventare speranza e tradursi poi in presente. Consiglio, a questo proposito, una vecchia canzone di Vasco che forse non è stata compresa in tutta la sua portata: “Sballi ravvicinati del 3° tipo”. Vasco immagina che gli uomini aspettino la salvezza dagli UFO: “non c’era che aspettare fino all’alba, con pazienza e rassegnazione, avrebbero risolto tutto quanto loro senza fare il minimo rumore”. Ma alla fine l’umanità si rende conto che deve risolvere i problemi rimboccandosi le maniche: “Non si poteva più aspettare invano, qualcuno già diceva che non esistevano nemmeno… dovevano fare da loro, fu allora che presero il volo…”

Compagni di viaggio:

  • Pierangelo Bertoli, Favola
  • Roberto Vecchioni, Figlia
  • Enrico Ruggeri, Quando sogno non ho età
  • Ligabue, Regalami il tuo sogno
  • Ligabue, Sogni di Rock n’ Roll
  • Laura Pausini, Tu cosa sogni
  • Carmen Consoli, Sulle rive di Morfeo
  • Timoria, Il sogno
  • Eros Ramazzotti, Un nuovo amore
  • Samuele Bersani, Sogni
  • Edoardo Bennato, Sogni
  • Cranberries, Dreaming my dreams
  • Billy Joel, The river of dreams
  • Eurythmics, Sweet Dream Are Made Of This

5. Quando finisce la notte

Sei anni fa ho fatto una piccola trasmissione per Radio Spazio 103: cinque minuti sul tema del viaggio e della musica. Ripropongo qui quelle puntate: è un’occasione per me di riprenderle in mano e approfondire alcuni aspetti. Alla fine ci sono anche dei “compagni di viaggio”, cioè delle canzoni legate allo stesso argomento.

Non c’è molto da dire sul testo della canzone di questa settimana, se non il fatto che si tratta di uno dei successi dell’estate e che va ad aggiungersi al grande numero di testi dedicati al tema di questa puntata, quello della notte (la prossima settimana approfondiremo in parte l’argomento con il sogno per poi, fra due settimane, svegliarci con una puntata dedicata all’alba).

La canzone descrive tipiche situazioni estive: “Notte di mezza estate, feste improvvisate; diavoli alle chitarre, ma angeli sotto le stelle. Sogno di mezza estate, beati o voi che entrate; nel girone degli innamoramenti, miracoli e tradimenti.” E via con il ritornello: “Perché c’è nell’aria, c’è stasera, c’è qualcosa che non sai cos’è… qualcosa di speciale in questo cielo blu, dipinto di blues.” Nel 1988 gli 883 cantavano la notte come un regno in cui tutto è permesso, in cui bisogna lasciarsi andare per vedere che anche se non cambia niente ci si divertirà lo stesso. “Nella notte un ritmo che ti prende, nella notte ti sembra di volare, nella notte che batte, batte, batte e che ti porta via lontano.”

Sono molte le canzoni, soprattutto quelle estive che, parlando della notte, ne tratteggiano gli aspetti trasgressivi e misteriosi, il divertimento e il lasciarsi andare. Canta Jovanotti: “La notte è più bello, si vive meglio, per chi fino alle 5 non conosce sbadiglio”. E d’altronde non si può fare a meno di ammettere che di notte le difese vengono meno: se scriviamo una lettera d’amore quando tutto attorno è buio, riusciamo a buttare sulla carta cose che alla luce del giorno non avremmo il coraggio neppure di pensare (mai rileggere la mattina una lettera scritta di notte! non la spediremmo mai). E’ di notte che si confidano più facilmente i segreti come se l’oscurità, quella stessa oscurità che a volte ci incute timore, ci proteggesse da orecchi e occhi indiscreti. E’ di notte che confessiamo un amore, che chiediamo perdono per un torto o un’offesa arrecati, come se il fatto che le forme siano più indistinte ci proteggesse dalla durezza degli spigoli della vita.

E così si hanno le notti animate delle città turistiche in cui è difficile trovare attimi di silenzio, le notti umide delle afose città in cui il ronzio di condizionatori e di auto fanno da rumore di fondo, le notti delle campagne in cui, a meno che non ci siano contadini a bagnare i campi, si colgono i rumori della natura e degli animali e le notti delle montagne in cui il regno del silenzio si estende ovunque.

Ci sono poi gli elementi della notte: le stelle e la luna che possono fare la differenza in una canzone come “Emozioni” di Lucio Battisti in cui canta “e guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se è poi è tanto difficile morire”.

E ci sono le musiche della notte: Britti e Bennato ci suggeriscono a parole il blues, ma ci sarebbero anche il jazz e lo swing, il latino-americano e la etnica, la house e la progressive, ma anche il rock e il metal, il pop e il rap… E non dimentichiamo le radio, mentre le tv hanno sempre un ruolo piuttosto marginale (basta vedere la programmazione, ricca di repliche).

E c’è il popolo della notte, chi dorme ma anche chi tira fino a tardi per divertirsi o perché vorrebbe dormire ma proprio non ce la fa; e c’è anche chi lavora. Canta ancora Jovanotti: “La gente della notte fa lavori strani, certi nascono oggi e finiscono domani, baristi, spacciatori, puttane e giornalai, poliziotti, travestiti, gente in cerca di guai, padroni di locali, spogliarelliste, camionisti, metronotte, ladri e giornalisti, fornai e pasticceri, fotomodelle.”…

Concludo con una significativa storiella orientale:

«Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno.

“Forse da quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?”. “No”, disse il rabbino. “Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi?”. “No”, ripeté il rabbino.

“Ma quand’è, allora?”, domandarono gli allievi. Il rabbino rispose: “E’ quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto, è ancora notte nel tuo cuore.”»

Compagni di viaggio:

  • Claudio Baglioni, Notte di note, note di notte
  • Jovanotti, Gente della notte
  • Le Vibrazioni, In una notte d’estate
  • Vasco Rossi, L’una per te
  • Lucio Dalla, Baggio… Baggio
  • Antonello Venditti, Notte prima degli esami
  • 883, Nella notte
  • Nannini – Bennato, Notti magiche
  • Zero Assoluto, Semplicemente
  • The Doors, Moonlight drive
  • Down Low, Moonlight
  • Mike Oldfield, Moonlight shadows
  • Jon Bon Jovi, Midnight in Chelsea